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Interpretazioni e usi dei fuochi cerimoniali nella valle dell’Aniene

Ciò che oggi è solo sopravvivenza residuale di antiche usanze popolari, smembrate dall’ originario contesto  di produzione economica e di relazioni sociali, un tempo costituiva parte integrante della millenaria cultura agro-pastorale, con i suoi cicli, valori e riti dai forti significati reali e simbolici.
Non sempre sappiamo comprendere le radici storiche delle molteplici cerimonie giunte fino a noi da un passato lontano, che continuano a perpetuarsi  in forza della loro  tradizione, come quelle incentrate sull'elemento fuoco.
Le “feste del fuoco” nelle varie stagioni dell’anno, al di là delle differenze locali, hanno una somiglianza abbastanza stretta e si prestano sostanzialmente a due linee interpretative : la teoria “solare” e la teoria “purificatoria”.
Nella prima i riti del fuoco, “imitando in terra la grande sorgente di luce e di calore nel cielo, avrebbero avuto, nella mentalità primitiva, la funzione di rafforzare, per magia simpatica, l’attività del sole, di aiutarlo a non declinare dalla posizione raggiunta e a proseguire il suo corso per dispiegare le sue virtù vivificatrici”.
Nella seconda, la più condivisa tra gli etnologi, senza però nette contrapposizioni, il fuoco avrebbe la funzione di eliminare le influenze nefaste che nel corso dell’inverno e in determinati momenti ciclici dell’anno minacciano la vita dell’uomo, del gruppo sociale e della natura.
In base a questa seconda teoria di purificazione, di protezione, di propiziazione, al fuoco è attribuito il potere di proteggere e liberare i campi, gli uomini, gli animali da eventi negativi, come grandine, temporali, malattie, sterilità, normalmente attribuiti ai malefici di streghe, demoni e spiriti maligni. Oltre ai fuochi di Natale, molto diffusi sono quelli di San Giovanni e del Venerdì santo, che sembrano collegarsi non tanto a sopravvivenze pagane, quanto ad arcaiche ritualità contadine.

 Le Focare di Filettino (FR)

Il 24 dicembre nelle principali piazze del paese di Filettino si accendono le focare, ( tradizionali fuochi di Natale ) costituite da grandi tronchi di faggio, che ardono ininterrottamente fino all’Epifania. Lo spazio del fuoco in questo periodo è luogo privilegiato di incontro, per i crocchi di persone che vi si riuniscono attorno in cerca di un po’ di caldo, visto che il paese è a più di mille metri di altezza e la neve d’inverno non manca.
Le focare si collocano alla fine e all’inizio di un ciclo annuale, un tempo considerato nevralgico dalle antiche popolazioni per il futuro andamento dei raccolti e della vita, perciò bisognoso di essere aiutato magicamente con riti di eliminazione del male e di purificazione, tramite il fuoco. Molto probabilmente la tradizione dei roghi natalizi si inserisce in questa antica credenza.

Fiuggi (FR)- La festa delle Stuzze

Molto probabilmente la festa delle stuzze di Fiuggi deriva da antichi riti pagani di purificazione, eseguiti con l’accensione di stuzze, stoppie che nei secoli sono diventate canne, tronchi d’albero, capanne di legno coperte da rami di ginestra e costruite appositamente per la ricorrenza, chiamate localmente capannoi . Secondo la tradizione fu proprio la festa delle stuzze a salvare la città dall’assedio delle truppe papali il 2 febbraio 1298. I soldati arrivarono di notte alle porte del borgo e, scambiando i fuochi delle celebrazioni per un incendio, pensarono di essere stati preceduti dagli alleati e se ne andarono tranquilli. L’indomani la città, saputo dello scampato pericolo, elesse il santo del giorno, San Biagio, a patrono della città, che allora era denominata Anticoli.

Subiaco (RM)- I foconi nella processione del Venerdì santo

Rispettando un’antica tradizione,oggi alquanto affievolita, i ragazzi di Subiaco andavano in gruppi nelle settimane prima di Pasqua a raccogliere innumerevoli fascine nelle campagne circostanti, per rinnovare la suggestiva accensione dei falò durante la processione serale del Venerdì santo con il Cristo morto e la Madonna Addolorata.
Ogni rione si dava da fare per la buona riuscita del focone e per l’occasione attorno alla catasta di rami secchi cresceva un vivace fermento  tra tutti i soggetti che spontaneamente offrivano la propria opera, in spirito di collaborazione. Lungo il tragitto altissime fiamme squarciavano il buio e riverberavano bagliori rossastri sulla suggestiva rappresentazione religiosa e sulle circostanti abitazioni. Nel mondo antico si riteneva che, fin dove arrivava la luce dei fuochi rituali, i campi sarebbero stati fertili e il grano sarebbe cresciuto meglio e le case su cui giungeva il loro riflesso sarebbero state immuni da catastrofi e malattie. Era usanza mettersi in competizione fra i gruppi rionali per realizzare il focone più grande, fino ad arrivare a ruberie notturne, e siccome si calcolava il tempo per far scaturire le fiamme più alte al passaggio del Cristo, avveniva che il forte calore portava un certo scompiglio al raccolto  corteo processionale. Il fuoco di fatto distraeva e distoglieva l’attenzione. Scrive C.A. Pinelli :”Ancora oggi il movimento della fiamma ci mette in allegria e risveglia in noi indecifrabili emozioni inconsce. Soprattutto i bambini mostrano di fronte al fuoco un’eccitazione di cui è difficile scoprire il significato, ma che forse rappresenta l’ultimo residuo di un antichissimo processo di sublimazione della paura”. Certamente non è priva di significato la scelta del materiale vegetale destinato al falò, tralci di viti, canne, rami di olivo, che ci aiuta a riconoscere nella cerimonia un’antica significazione agreste e un’azione purificatrice in un periodo primaverile estremamente delicato per i lavori agricoli e per la futura raccolta.

La benedizione del fuoco e dell’acqua nella veglia pasquale

Nella liturgia della Chiesa cattolica il cero pasquale, come indica il nome, viene acceso all'inizio della solenne veglia di Pasqua e simboleggia la luce di Cristo risorto, che vince le tenebre della morte e del male.

Il cero pasquale durante la veglia di Pasqua

Il rito prevede che all'inizio della veglia pasquale, spente le luci nella chiesa, l'assemblea sia radunata in un luogo buio, illuminato solo dal fuoco nuovo, simbolo del Cristo risorto. Prima dell’accensione del cero il sacerdote incide su di esso con uno stilo una croce, sopra di essa traccia l’alfa e l’omega, prima e ultima lettera dell’alfabeto greco, per indicare che Cristo è il principio e la fine di tutte le cose; poi incide le cifre dell’anno corrente, per significare che Gesù, Signore del tempo e della storia, vive oggi in mezzo a noi. Quindi vi conficca 5 grani di incenso in forma di croce, simbolo delle 5 piaghe della passione.
Nel compiere tali riti il sacerdote dice:
« Il Cristo ieri e oggi:
Principio e Fine, Alfa e Omega.
A lui appartengono il tempo e i secoli.
A lui la gloria e il potere per tutti i secoli in eterno. Amen.
Per mezzo delle sue sante piaghe gloriose,
ci protegga e ci custodisca il Cristo Signore » . Amen
Infine il sacerdote accende al fuoco nuovo il cero pasquale dicendo :
« La luce del Cristo che risorge glorioso
disperda le tenebre del cuore e dello spirito. »

Camerata accensione del cero pasquale
Camerata accensione del cero pasquale
Cervara, accensione delle candele dal cero asquale
Cervara accensione delle candele dal cero asquale

Subito dopo si avvia all’entrata della chiesa cantando: Lumen Christi o Cristo luce del mondo, mentre l’assemblea risponde: Deo gratias, oppure rendiamo grazie a Dio. Sulla soglia della chiesa i fedeli accendono la loro candela al cero, a simboleggiare la loro comunione nel Cristo, da cui hanno ricevuto il fuoco e la luce e si incamminano verso l’altare.
La chiesa ora torna ad essere illuminata e successivamente l’officiante nel presbiterio immerge il cero pasquale nell’acqua, che benedice dicendo:
«Discenda, Padre, in quest’acqua, per opera del tuo Figlio la potenza dello Spirito Santo…».

Cervara, benedizione dell'acqua
Cervara benedizione dell'acqua

È l’acqua sacramentale che rigenera, che purifica e in questo contesto si svolge la rinnovazione delle promesse battesimali di tutti i fedeli, che stanno in piedi con la candela in mano.
L’acqua e il fuoco, così presenti nella solenne veglia, sono tra i simboli fondamentali dell’esperienza religiosa dell’umanità.
Nei cinquanta giorni del tempo di Pasqua il cero pasquale viene acceso in tutte le celebrazioni, fino al giorno di Pentecoste, quando viene spento.
Accanto ai riti liturgici sopravvivono, in alcuni paesi della valle dell’Aniene e zone limitrofe, comportamenti propri della tradizione popolare, come l’atto del prelievo deju foco benittu (del fuoco benedetto) e dell’acqua benetta (benedetta), da portare e conservare in casa, a scopo protettivo. La brace ancora accesa posta nel focolare avrebbe portato benedizioni alla casa, mentre l’acqua bevuta o portata a persone bisognose avrebbe dato benessere o lenito dolori corporali.

Arcinazzo Romano (RM)- Ju Foco Santo

Ad Arcinazzo Romano fino a pochi anni fa si sono tramandate alcune pratiche terapeutiche dalla chiara valenza magica, come quella del Foco Santo, che avveniva tra la notte del 23 e del 24 giugno, festa di San Giovanni Battista. Il rituale extraliturgico con il fuoco aveva la funzione di scongiurare il rachitismo nei bambini, cosa tutt’altro che infrequente nel passato per la estesa denutrizione, e nel tempo ha acquisito anche una certa giustificazione sacrale per i rimedi d’ordine psicofisico e medico.
Nella festività del Corpus Domini è usanza diffusa spargere per terra fiori, foglie, rametti di piante aromatiche per  onorare la processione eucaristica, che  secondo talune credenze popolari, con il solo passaggio sul tappeto floreale rende le verzure “diverse”, come fossero state benedette. Ad Arcinazzo le donne al termine della manifestazione religiosa, raccoglievano questi vegetali con aggiunto “valore sacrale” e li conservavano nella chiesetta di Santa Lucia per essere accesi nella notte di San Giovanni, tempo magico per eccellenza per la sua posizione solstiziale e dispensatore di benefiche influenze.
In questa notte i bambini si facevano dondolare verso il fuoco con la recitazione della seguente formula:
“Sballeca, sballeca San Giuanni,               Supera, supera San Giovanni
te puzzi fa più ranne,                                  ti potessi fare più alto,
più ranne deju campanile,                         più alto del campanile,
sballeca, sballeca San Giuanni”.                Supera, supera San Giovanni.

Quando le fiamme erano alte il bambino un po’ più sviluppato, saltandoci sopra, doveva dire: “San Giuanni meo ( tre volte ) famme cresce' de più”, quando le fiamme erano più basse la persona che lo dondolava recitava: ”San Giuanni meo ( tre volte) fa cresce' questo bambino”.

l'uso di saltare il fuoco con vari significati magici, con evidenti rituali di passaggio o di comparatico è talmente diffuso in Italia ed Europa che qui si rimanda alle numerose pubblicazioni sul tema,  citando solo come esempio ancora attuale alcune  tradizioni presenti nella notte di San Giovanni.
A Pescosansonesco , provincia di Pescara, il 23 giugno si compie il "Rinnovo dell' acqua e del fuoco", con la benedizione dell' acqua, che sarà  impiegata durante l'anno nei battesimi e con i salti sul fuoco purificatore e taumaturgico. Ad Artena, provincia di Roma,   si salta il fuoco anche per farsi compare di San Giovanni, un legame che dura e si rispetta per tutta la vita, allo stesso modo degli altri comparatici liturgici. Il genitore che vuole stipulare questo vincolo prende il bambino in braccio e accompagnato dal futuro compare salta il fuoco. A Barisciano, AQ, i giovani compiono salti spettacolari sopra il fuoco di San Giovanni nella piazza del paese.

Canterano (RM)– La festa della Madonna degli Angeli

Il paese di Canterano festeggia il 1 e 2 agosto la Madonna degli Angeli con grande partecipazione popolare. Sia la sera del primo che il giorno successivo si porta in spalla il pesante simulacro dal paese fino alla chiesetta rurale, posta molto distante dall’abitato, in località Maonna. In entrambi i giorni si compie il tragitto di andata e ritorno, per cui occorrono robusti portatori per dividersi il peso e darsi i turni. Tra le feste popolari della valle dell’Aniene è forse quella che più di altri paesi ha conservato rituali propri della civiltà contadina durante lo svolgimento processionale. È nella sera del 1 agosto, all’ arrivo nel piccolo santuario dove si fa una sosta prima di riprendere il cammino di rientro, che si accende in suo onore un grande fuoco.
Ma tutto il percorso è illuminato da bengala, fuochi artificiali, torce, luminarie, che conferiscono grande suggestione all’evento religioso e ne sottolineano la  solenne ricorrenza.

Il ballo della pupazza

Nella valle dell’Aniene è molto diffuso il ballo della pupazza, che di solito chiude le feste principali del paese e si attende con gioia per l’allegria contagiosa che trasmette.
La popolaresca pantomima si svolge in genere nel periodo primaverile ed estivo, come il 16 agosto a Cervara e il 31 agosto a Trevi nel Lazio.
Il fantoccio, noto anche come pantasema, signoraccia, marmotta, coinvolge in modo sfrenato la gente, che vi balla attorno e si spinge spesso a fare dispetti e lazzi, in un crescendo di caos rigenerante per le esplosioni liberatorie che riesce a scatenare. Il ritmo musicale incalzante e ripetitivo di una orchestrina completa l’esaltazione di un’atmosfera surreale. Al termine fatalmente viene bruciata, in un rito propiziatorio e di certo nell’antichità anche apotropaico, ma agli occhi dei bambini di oggi resta solo il rammarico di una così breve apparizione.

Trevi nel Lazio (FR) – Jo focone in onore della Madonna di Loreto

Analogamente alla tradizione sublacense dei fuochi del Venerdì santo, la raccolta dei rami di ginestre per jo focone in onore della Madonna di Loreto è condotta dai giovani del paese di Trevi, già alcuni giorni prima della ricorrenza religiosa. Nel recente passato ogni rione si attivava per avere un falò di grandi dimensioni, perchè tra i ragazzi si innescava una vera e propria gara per formare la pira vegetale più imponente. Oggi ne è rimasto solo uno, di grandi proporzioni, e per consuetudine viene acceso nella piazza antistante Porta Romana alle ore 03,00 del 10 dicembre, alla presenza di molte persone, nonostante il freddo e a volte il cattivo tempo. La manifestazione prima era molto più sentita e contemplava anche la celebrazione della messa notturna. Tutto brucia in pochissimo tempo e le fiamme altissime, per come si attorcigliano, sembrano mordere il cielo. È uno spettacolo davvero impressionante. Un racconto popolare del luogo narra che il viaggio della Santa Casa della Vergine Maria, trasportata in volo dagli Angeli da Nazaret a Loreto, sarebbe stato accompagnato da una lunga scia luminosa, che il rogo trebano vuole così ricordare.