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FRANZ LUDWIG CATEL

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA

FACOLTÀ DI MAGISTERO

Tesi di Laurea in Materie Letterarie

FRANZ LUDWIG CATEL”

RELATORE: chiar.mo prof. Giorgio FALCIDIA

LAUREANDO: Giuseppe BONIFAZIO

matr. H/10085

 

ANNO ACCADEMICO 1975 – 1976

 

Il presente studio, integrale ma da completare con le immagini, può essere utilizzato gratuitamente, purché non a fini di lucro e comunque citando sempre l'autore e la fonte.

 

INDICE

CAPITOLO I

BIOGRAFIA pag. 3

Note al capitolo I pag. 27

 

CAPITOLO II

CATALOGO DELLE OPERE

1) Opere di Catel di certa attribuzione pag. 52

2) Opere attribuibili a Catel pag. 62

3) Disegni e incisioni di Catel ed altri attribuibili a lui pag. 72

4) Opere di altri artisti e di dubbia attribuzione pag. 76

5) Elenco di altre opere di Catel pag. 78

 

Note al capitolo II pag. 95

 

CAPITOLO III

PROFILO CRITICO DELLA SUA OPERA PITTORICA,

DELLA SUA FORMAZIONE E DEL SUO SVILUPPO pag. 103

 

Note al capitolo III pag. 112

 

BIBLIOGRAFIA pag. 117

 

 

CAPITOLO I

 

BIOGRAFIA DI FRANZ LUDWIG CATEL

 

Franz Ludwig Catel, nato a Berlino il 22 febbraio 1778 (1) dagli ugonotti Friedrich Catel e Friederike Koble (2), “fu di cari costumi, d’indole mansueta, affabile, cortesissimo di modi, affezionatissimo alla consorte, caritativo coi poveri, tenero cogli amici, e molti ne ebbe, e per dirlo in una parola, i più cospicui artisti del suo tempo” (3). La faF L Catel, autoritrattomiglia paterna era originaria di Sedan (4).

Il padre dell’artista, anch’egli berlinese, gestiva un negozio di chincaglierie e di giocattoli nella Bruderstrasse di Berlino ed inoltre possedeva uno spirito vivace, una fantasia scintillante e una notevole intraprendenza (5), doti queste che caratterizzeranno il giovane Catel. Fin da piccoli i due figli, Ludwig che divenne architetto e Franz pittore, si sentirono attratti dalla costruzione di giocattoli meccanici animati (6).

Con il Natale, nella vetrina del prospero negozio, si vedevano fra le tante scene di fantasia una casa in costruzione con figure mobili e un’immagine del Vesuvio in eruzione, come apparirà in tanti suoi dipinti. Per consiglio del grande incisore Daniel Chodovieki (7), che sembra fosse legato d’amicizia con la famiglia Catel, Franz entrò con il fratello maggiore nell’ accademia d’arte di Berlino ma ambedue si distinsero per frequenti assenze e per scarsa diligenza (8).

Franz amava i lunghi viaggi e preferiva disegnare per gli editori di almanacchi e di libri tascabili tedeschi i modelli per le illustrazioni (9). Lo scarso interesse per la scuola era dovuto probabilmente, oltre che al suo carattere, al tipo d’insegnamento vigente in tutte le accademie dell’Europa continentale alla fine del XVIII secolo. Qui, meglio che altrove, si divulgarono e persistettero più a lungo le teorie di Winckelmann e del Mengs, così che l’arte non rispose alle nuove istanze romantiche ma si chiuse in formule fisse ed astratte, riducendosi a mere composizioni standardizzate, ad esercizi di copiato sia di calchi greci e romani che di pittori rinascimentali (10).

La sua opposizione agli insegnamenti accademici, precorrendo di molti anni la secessione dei “Fratelli di San Luca”, fu importante non solo nel processo di rinnovamento dell’accademia stessa ma anche e soprattutto per la sua formazione artistica e culturale, che sarà essenzialmente quella di un autodidatta (11). Questo spirito aperto, cosmopolita, desideroso di conoscere la vita tramite l’esperienza resterà una peculiarità del carattere di Franz. Nel 1797 Catel, in compagnia dell’architetto Friedrich Gilly e di un altro costruttore, intraprese un viaggio in Turingia, dove visitò a Weimar il poeta-principe Goethe, proseguì per la Svizzera e la Francia recandosi anche a Parigi dove soggiornò per alcune settimane (12). In questo periodo disegna moltissimo e si dedica con successo allo acquerello.

Nel 1799 su ordinazione dell’editore Vieweg disegnò a Braunschweig dieci illustrazioni per la nuova edizione del celeberrimo poema di Goethe “Hermann und Dorothea”, che fu uno dei primi e più bei lavori di Catel come illustratore di libri (13). Con quest’opera egli superava lo stile un po’ teatrale e di maniera, tendente al rococò, del Chodowiecki e ideava composizioni classiche e idilliche su piccolo formato, dando meno spazio alla scena e più importanza alle figure (14).

Anche i piccoli disegni ornamentali sono delineati con accuratezza classicistica ed hanno forma di medaglia, come le decorazioni librarie di Friedrich Tieck. Il quadretto più armonico e sensibile è quello del canto di Melpomene il cui bozzetto si trova nella collezione Kippenberg (15).

Intorno al 1800 Wolfgang Goethe espresse a Wilhelm von Humboldt il seguente giudizio, molto preciso per quel tempo e per certi aspetti profetico, sul giovane artista Catel: “Egli dimostra un bel talento nei suoi lavori, solo si vede, vorrei dire, che vive fra le distrazioni del mondo. Il singolo artista non si può certo isolare eppure ci vuole solitudine per penetrare nella profondità dell’arte e schiudere l’arte profonda nel proprio cuore. Certo non solitudine assoluta, ma solitudine entro un cerchio artistico vivo e ricco" (16).

Infatti fu un pittore di nome e con delle qualità, amante di quelle “distrazioni” che coltivò per tutta la vita come i viaggi, il mare e il sole mediterraneo, i salotti e le feste. Ciò non limitò la sua attenzione verso i problemi della cultura che promosse in ogni senso. Nel 1801 Catel, incaricato dallo stesso Goethe, eseguì i disegni delle incisioni per un suo racconto avente per titolo “Le donne buone contrapposte alle donne malvagie” e stampato come libro tascabile per signore. (17). Sempre nel 1801 Catel sposò a Berlino Sophie Friederike (18), figlia del ricamatore d’oro Christian Friedrich Kolbe, un parente del noto disegnatore e incisore su rame, e con lei visitò la Sassonia presso Dresda. La giovane moglie mori prematuramente (19).

Accanto all’attività artistica ve ne era una più “industriale” che occupava non poco il nostro pittore. Intorno al 1800 i due fratelli fondarono a Berlino una fabbrica che produceva “marmo per mosaici” avente nome di “Fratelli Catel” (20). Vi si lavorava una sostanza molto resistente, che per la sua compattezza e per la sua grande possibilità di rifinitura fu chiamata marmo artificiale. Questo tipo di stucco fu impiegato per costruire ogni specie di decorazione, sia di grande che di piccolo formato, come recipienti, piedistalli, candelabri, piani per tavoli e comò, coperture per stufe e per camini e persino colonne e pilastri (21). I vari rilievi ornamentali si producevano in serie per ché era propria del classicismo la concezione che esistessero forme eterne, assolute non più soggette all’esecuzione individuale (22). La fiorente impresa ricevette il 2 marzo 1801 la visita della coppia reale prussiana accompagnata dal gran duca Karl August di Sassonia-Weimar (23) il quale, dopo averli elogiati ed incoraggiati per la “varietà e l’eleganza dei nuovi prodotti artistici e per il gusto delle varie forme e degli ornamenti”, assegnò loro l’importante incarico di abbellire con il loro marmo musivo il suo castello a Weimar (24).

Qui i due artisti insieme a Gottfried Schadow, al quale erano strettamente legati,dal 1802 risiedettero con una squadra di specialisti per tutta la durata del lavoro a cui partecipò anche Goethe (25). Ancora oggi si può vedere qualcosa di questa imponente opera nelle oltre venti colonne giganti della sala di festa, in molti pilastri intarsiati e in lavori di stucco sparsi per tutto l’edificio (26). Mentre Ludwig negli anni che vanno dal 1802 al 1804 si tratteneva il più delle volte a Weimar o faceva spola con Berlino, Franz, che si occupava più di progetti artistici e di disegni, viaggiava molto (27).

Nel 1802 partecipò ad una esposizione d’arte a Weimar con acquerelli raffiguranti paesaggi (28) che furono paragonati alle opere “piene di spirito” di Salomon Gessner (29) e, a quanto si diceva, apprezzati in particolar modo da Goethe (30)*. August von Kotzebue aveva pubblicato a Lipsia nel 1804 da Paul Gotthelf Kummer un almanacco di cronache ed aveva affidato la copertina, le illustrazioni e tutta la decorazione libraria a Catel (31).

Con queste incisioni Franz avrebbe dovuto parodiare il romanticismo dei cavalieri e dell’orrore, secondo il desiderio di Kotzebue, ed infatti l’almanacco doveva schernire i fratelli Schlegel e la loro glorificazione del Medioevo, se non che il risultato lasciò trasparire un’autentica atmosfera romantica (32). Molto probabilmente ciò si deve al fatto che Catel intimamente aderiva alle idee e ai sentimenti del Romanticismo e dei fratelli Schlegel, anche se le loro richieste programmatiche non erano ancora state pubblicate. Le illustrazioni sono meno riuscite rispetto alle altre incisioni anche per le molte figure non bene inserite nell’ordine spaziale e compositivo. L’incisione del frontespizio mostra un fanciullo in costume medioevale che suona il liuto su di un’aperta finestra gotica con lo sguardo rivolto verso un paesaggio montuoso che sale fin su le cime alpine e su una chiesa posta in cima ad una montagna boscosa. Lo stato d’animo è quello che “I viaggi di Franz Sternald” ispirano: canto e paesaggio si fondono (33).

I quadretti nella pagine delle notizie sono molto piacevoli, come l’arpista che canta al la presenza di una ragazza in una fitta pergola di viti, e lo rivelano buon disegnatore di paesaggi e di figure (34). Nei piccoli formati si realizza la profondità spaziale della veduta e viene espresso lo spirito del giorno. La pagina con il titolo dei “Giorni festivi della felicità domestica e della vita sociale” è ornata da due incisioni dal tema prettamente romantico: una raffigura un banchetto all’aperto e l’altra un corteo che accompagna gli sposi (35). Senza dubbio Catel è stato stimolato dallo stile delle illustrazioni del XVII sec. che si considerava medioevale. La copertina è decorata in modo tradizionale, due colorate incisioni in rame mostrano in una cornice neogotica due figure di fondatori tratte dalle sculture del duomo di Naumburg, sul piatto anteriore vi è il margravio Hermann e sul retro sua moglie Reglindis (36). Queste sono versioni poco felici e poco rispondenti allo stile delle sculture, la loro plasticità monumentale fu adattata al gusto delle dame per le quali questi almanacchi erano soprattutto destinati. Tuttavia le due incisioni sono importanti perché furono le prime testimonianze di Naumburg apparse circa un decennio prima che la letteratura artistica se ne occupasse (37).

Franz Catel visitò il duomo con lo scultore Gottfried Schadow nel settembre 1802 durante un viaggio con Ludwig Catel da Berlino a Weimar e sicuramente i disegni utilizzati per questo lavoro appartengono a quel tempo (38). Riferisce lo Schadow nel suo diario: “A Naumburg disegnammo nel duomo, sullo stesso pulpito dove una volta aveva predicato il dott. Martin Lutero. Nei matronei avevano posto delle bancarelle, la qual cosa copre ed ostacola la bella veduta. Le grandi statue sono notevoli per la loro naturalezza e per il semplice tratto delle pieghe, del tutto diverse dallo stile del panneggio simile a carta di quel tempo, la qual cosa suscitava la domanda come, quando, dove e chi fosse quel maestro” (39). Negli anni 1805-1806 Franz disegnò con Karl Friedrich Schinkel le illustrazioni per le “Decorazioni dall’antichità” di Bussler (40) e ottenne con “L’assassinio del prevosto Nicola di Bernau davanti alla porta della chiesa di Maria a Berlino” del 1806, un acquerello di grande formato (h 3’4 1/2 x 1.3’8 1/2) (41), la nomina di membro ordinario all’accademia di Berlino il 23 novembre 1806 (42). L’opera, dal tema romantico-medioevale, rappresenta il parroco nel 1323 mentre esorta i berlinesi a ribellarsi e ad abbandonare il signore di quel paese (43). Il dipinto suscitò molto interesse all’esposizione artistica dell’accademia di Berlino del 1806 (44) e anche molti anni dopo fu apprezzato dalla critica (45). Nella medesima esposizione partecipò con un altro grande acquerello del quale l’artista, che più tardi a Roma si convertì alla fede cattolica, non si rammenterà volentieri e la diffusione del quale, con incisioni su rame o litografie, sembra avere poi interrotto (46). Il dipinto mostra Lutero che brucia la bolla papale di scomunica davanti alle porte di Wittenberg, il 10 dicembre 1520 (47). L’originale è scomparso e pochissime sono le copie conservate in pubbliche e private raccolte; una si trova nel noto castello di Wartburg ma la firma sembra essere stata cancellata con un temperino e una visita del Catel nel 1821 risulta dal libro degli ospiti (48). Da ciò si può avanzare l’ipotesi che il viaggio in Germania fu intrapreso dal l’artista anche con l’intenzione di cancellare il suo nome dal suddetto esemplare e di comprare il maggior numero d’incisioni (49).

A Berlino Catel eseguì alcune vedute della città con la tecnica ad olio, queste furono presto incise su rame da artisti di nome ed immesse sul mercato anche a colori, purtroppo gli originali sono scomparsi (50). Non si conoscono altri quadri ad olio appartenenti a quest’epoca dell’ artista, il quale era soprattutto un disegnatore ed insieme a J.H. Ramberg il più attivo illustratore di almanacchi (51).

Nel 1807 si recò con il fratello a Parigi per perfezionarsi nella pittura ad olio e per studiare le opere d’arte raccolte nel “Museo Napoleone” (52). Nella capitale francese Catel visse presso la colonia tedesca, qui frequentò i fratelli Olivier, fu certamente in relazione con Wilhelm von Schlegel ed ebbe rapporti di amicizia con il poeta romantico danese Adam Gottlob Oehlenschlaeger ( 53 ), come sappiamo da un album di memorie conservato a Federiksborg (54). Il periodo parigino resta piuttosto oscuro e si hanno poche notizie su di lui, per cui non si conosce l’atelier da lui frequentato (55). Di questo periodo è il grande disegno raffigurante l’imponente entrata dell’imperatore Napoleone a Parigi (56).

Sappiamo inoltre che Catel dipinse per il generalo Clarke, allora ministro della guerra, che aveva conosciuto per quel che si dice a Ber lino, due soffitti di un palazzo; i cartoni di queste pitture, che non si sono potuti trovare, sono stati .giudicati molto favorevolmente dai pittori Francois Gérard, Louis David e Robert Lefèvre (57).

S’incontrò anche con il cugino Charles Louis Catel che era celebre musicista e compositore(58). Un ritratto di costui inciso su rame mostra una sorprendente somiglianza con Ludwig e Franz, tanto che in alcuni dizionari e libri viene erroneamente indicato come loro fratello (59).

Nel 1811 andò in Svizzera, dove studiò la maestosità dello scenario alpino e alla fine dell’anno si recò a Roma (60).

Molti possono essere i motivi del viaggio, non escluso quello occasionale di raggiungere il fratello che soggiornava in Italia dall’estate 1811 (61). Ma esso trova una sua ragione più profonda se visto in quel vasto fenomeno di cui tura e di costume che fu il Neoclassicismo. Durante questo periodo l’Italia e Roma, che aveva no assunto la funzione-guida nella diffusione dell’arte, furono oggetto di un intenso pellegrinaggio da parte di archeologi, studiosi, collezionisti, amatori ecc. che visitarono soprattutto gli scavi di Pompei e di Ercolano e i monumenti classici della Città Eterna, ormai punto d’arrivo obbligato del “viaggio italiano”. Senz’altro un forte richiamo dovette destare l’arrivo a Roma il 20 giugno 1810 dei pittori Friedrich Overbek, Franz Pforr, Konrad Hottinger e Georg Ludwig Vogel (62).

I “Fratelli di San Luca” furono un po’ il polo di attrazione per tutti gli artisti tedeschi desiderosi di una nuova vita artistica più rispondente alle esigenze personali.

Questi volevano riformare la pittura tedesca lavorando secondo un programma comune, basato essenzialmente sulla rinascita della primitiva arte cristiana e scelsero come abitazione, dopo un primo soggiorno di tre mesi a Villa Malta, il convento di S. Isidoro sul Pincio. Qui condussero vita in comune insieme a Giovanni Colombo e Joseph Wintergerst fino al settembre 1812, anno in cui la confraternita abbandonò il monastero e cessò di condurre una vita ritirata e claustrale (63).

Pian piano la loro arte suscitò interesse e cominciò ad uscire oltre i limiti regionali e nazionali, così che altri se ne aggiunsero come Peter Cornelius, Wilhelm Schadow, Johann Veit nel 1811 e il fratello di quest’ultimo nel 1815.

In breve tempo si costituì una vera e propria colonia tedesca. Catel rappresentò con i tanti artisti tedeschi a Roma, si pensi che solo nei primi trent’anni del 1800 vi risiedettero più. di 500 fra pittori, scultori e architetti, una cultura e una moda durata oltre cento anni (64). In nessun’altra epoca i rapporti artistici con i pittori e scultori nordici furono così ricchi e vasti. Nella cerchia dei “Fratelli di San Luca”, ben presto più noti con il nomignolo di “nazareni”, entrò Franz quando giunse da Parigi ma come tutti gli altri arrivati non andò ad abitare nel cenobio e si stabilì in una strada molto vicina, via Sistina 79 (65).

Egli partecipava alle comuni esercitazioni artistiche che si tenevano nel refettorio e con l’Overbeck insegnava la prospettiva alla confraternita (66). Strinse relazioni anche con il Cornelius, con lo Schadow e soprattutto con Joseph Anton Koch (67). Tuttavia il vivace carattere del Berlinese, i suoi interessi e le sue tendenze pittoriche non si accordarono con questi artisti, con i quali ebbe scarsi contatti.

Fin dai primi tempi della sua vita romana Catel frequentò il Caffè Greco in via Condotti, ritrovo abituale di artisti, in cui convenivano personalità come il Thorvaldsen, Karl Philipp Fohr, l’Overbeck con i nazareni e Tommaso Minardi (68).

Tra il 1810 e il 1820 erano così numerosi gli artisti tedeschi intorno ai tavolini del Caffè, che il principe ereditario Ludwig di Baviera, assiduo frequentatore, dedicò loro uno dei suoi distici che tradotto potrebbe suonare così

Ritrovo d’alemanni dovremmo chiamarti

tedesco se affinità dell’arte, noi non

unisse ai greci! (69).

Qui Catel, durante il suo primo soggiorno romano vissuto nell’indigenza, fu aiutato e in quell’atmosfera cordiale e fraterna strinse profonde e durature amicizie (70). Da questi primi ricordi Catel conservò un sincero sentimento di affezione per questo locale che frequentò per tutta la vita.

Un acquerello di Ludwig Passini della metà del 1800 lo ritrae nel Caffè tra vari artisti con il suo cravattone nero e con in capo la tuba (vedi opera n.98).

Nel 1812 Franz accompagnò l’archeologo franceso Aubin Louis Millin in Sicilia e a Pompei per disegnare e dipingere gli scavi e il pittoresco paesaggio italiano (71). Subito dopo si fermò per un prolungato soggiorno nel golfo di Napoli e in quello di Salerno, dove nacquero molti paesaggi per lo più di piccolo formato (72).

Presto Catel fu considerato un valente paesista e le sue opere, quotate ad alto prezzo (73), furono richieste dai viaggiatori che venivano in gran numero soprattutto dalla Russia, Inghilterra e Germania dopo la fine delle guerre napoleoniche (74). Consolidata la sua fama e in condizioni relativamente agiate tornò a Roma. Subito dopo la sconfitta del Bonaparte le nazioni alleate il 21 aprile 1814 dettero nella Villa Borghese una grande festa a cui parteciparono anche monarchi e il Papa, nell’occasione ci furono dipinti allegorici, fuochi d’artificio, brindisi e spari (75).

Qualche settimana più tardi Catel si unì al giubilo della vittoria ed incise “Il banchetto di Belsazar”, come allusione alla caduta di Napoleone (76). In quel tempo Franz era ospite della famiglia Buti, allora conosciutissima nel ceto artistico della Città perché dava alloggio ad artisti stranieri (77). Egli suggerì all’av-vocato Cesare Buti, amico ed intimo consigliere, di aprire la casa agli artisti e agli uomini di lettere per ritrovi serali. Così grazie anche alla signora Buti, la celebre pianista Francesca Fioroni, cominciarono quella serie di salotti chiamati “i simpatici salotti di casa Buti” (78). Qui fra le molte personalità del tempo vennero il Thorvaldsen, Karl Begas e von Humboldt, qui dovette conoscere Margherita, figlia del noto scrittore Michelangelo Prunetti, che sposò dopo essersi convertito alla fede cattolica il 28 settembre 1814 nella parrocchia di S.Lorenzo in Lucina in Roma (79). Catel con la bella e giovane moglie, nata il 5 marzo 1790, andò ad abitare in via del Corso 151 (80). Margherita amava particolarmente la musica e il ballo ma ricevette anche una buona educazione intellettuale dal padre che la istruì negli “erudimenti della storia antica e moderna” (81).

Da lei ebbe l’unico figlio Federico, battezzato il 27 luglio 1816 e morto prematuramente (82).

Di nuovo ritroviamo il Berlinese con i Nazareni a Roma per affrescarvi il palazzo Zuccari, acquistato nel 1815 dal console generale prussiano Jacob Salomon Bartholdy. I lavori, commissionati dallo stesso console, iniziarono nel maggio 1816 e terminarono nel 1818 (83). I veri protagonisti dal ciclo furono Overbeck,

Cornelius, Wilhelm Schadow e Philipp Veit che trassero i soggetti da dipingere dalla storia di Giuseppe l’ebreo in Egitto.

Catel, chiamato per le sue doti di paesi sta, limitò la sua partecipazione a due soprapporte (84). Una, raffigurante un paesaggio con piramidi, stava ad indicare che la storia ebbe luogo in Egitto e non nell’Italia rinascimentale come si poteva dedurre dagli sfondi architettonici e paesaggistici degli affreschi (85). L’opera ha per titolo “Le piramidi d’Egitto” ed è in affresco (86). L’altra soprapporta raffigura “Le prigioni di Giuseppe” ed è dipinta su tela (87). I dipinti di casa Bartholdy furono venduti nel 1886 (88) dalla famiglia Zuccari alla Galleria Nazionale di Berlino e qui trasportati nel 1887, ove tutt’ora si trovano (89). I due dipinti di Catel restarono a Roma, l’affresco si conserva presso il Pio Istituto Catel che lo acquistò nel 1927 (90), mentre della tela si è perduta traccia. L’ultima notizia che se ne ha è nell’offerta di vendita da parte di Enrico Zuccari al Pio Istituto nel 1890 (91).

I rapporti con il console prussiano non si limitarono a questo breve incontro ma durarono per molti anni e dovettero essere particolarmente amichevoli, come ci testimonia un disegno dello stesso Bartholdy donato a Catel (vedi opera n. 99).

Nell’estate dal 1818 si recò nuovamente in Sicilia con il principe Gallizin per un lungo periodo e durante questo viaggio nacque “il bel dipinto delle rovine del teatro antico dì Taormina” (92) (vedi opera n. 3).

Sin dal 1818 Franz ricevette frequenti ordinazioni dal ceto aristocratico di Germania, Russia e Inghilterra (93), confermandosi ottimo paesista e riscuotendo favorevolissimi consensi di critica. Con la Restaurazione troviamo a Napoli e a Roma il feldmaresciallo austriaco Franz von Koller, grande collezionista di va i greci, bronzi, monete e vasi di vetro, mecenate di artisti tedeschi fra i quali Catel (94). Nel 1819 dipinse per Milord Bristol “una veduta in grande del lago di Albano, presa dalla estremità del bosco del Cappuccini” (95), del la quale il Giornale Arcadico scrisse: “Alla sinistra del quadro vedesi la parte estrema del bosco di foltissimi alberi di ogni specie, i quali formano una massa molto bella, e ridente. Dalla stessa parte è immaginata una cappella a foggia di tempietto di buono stile, e più innanzi tra le roccie due scale per le quali si scende a un piano, ch’è nel mezzo, e che viene terminato da un muro, che serve di parapetto al la go. Alcuni Cappuccini parte in piedi, e parte sedenti intorno una tavola, danno anima al paese, il quale, pure nel mezzo, ha sull’indietro il monte Cavi, o Laziale. Venendo poi verso la diritta incomincia il lago, che si vede in gran parte, finché rimane chiusa la veduta con un gruppo di alberi, che umidi ancora di rugiada sono in armonia coi vapori, e colle tinte di tutto il componimento, e principalmente coll’aria, tal quale si vede nel principio di un bel mattino. E in questa parte di dipintura si dimostra il Cattel assai valente, e studioso imitatore della natura” (96). Nello stesso anno portò a termine due opere per lady Acton, una è “la veduta del golfo di Napoli in tempo di notte, presa dalla strada nuova, che conduce a Posilipo, al dissopra del Palazzo della Regina Giovanna”; l’altra è “quasi la stessa veduta, ma presa dal basso, sulla riva del mare, e nell’interno delle rovine del Palazzo di Giovanna, colla luce del pieno meriggio” (97). Lo stesso Giornale scrive della prima: “Sul primo piano è la detta strada, e la parte sinistra è tutta occupata dal mare, nel quale si rifrange la luce della luna, che risplendente, e chiarissima produce un effetto misterioso, e melanconico. Nel fondo del mezzo è adombrato il Vesuvio, e sulla sinistra si disegna in una curva la città di Napoli vista dall’alto in giù finché si riattacca alla strada laddove una casa, ch’è sullo stesso primo piano viene a terminare il quadro. Vicini a quest’ultimo luogo sono raccolti alcuni pescatori, i quali stanno intorno ad un foco, il cui lume rischiara debolmente quella parte, e sta in opposito col gran chiarore della luna: non può essere né più vero né più maestrevolmente toccato. E a noi pare avere tratto l’artefice tutto quel partito, che si può ottenere da un argomento così difficile per l’effetto; essendoché l’arte, che si conforta esprimendo coi colori la luce, non può riuscire al tutto bene, ove la privazione di quella essere debba il soggetto principale” (98). “E questa opera, parlando della seconda, è veramente condotta dal Cattel con una evidenza singolare, e con un raro valore di pennello. Tra particolari, che ci hanno maravigliato, noteremo quella verità della trasparenza dell’acqua marina, allor quando è penetrata dai raggi del sole. Il qual mirabile effetto ha egli saputo ottenere principalmente al disotto di una barca di pescatori, che sta sul davanti dell’apertura del gran d’arco, né crediamo si possa in simili cose fare meglio. Un ampio sotterraneo, che per mezzo di archi, e di porti si prolunga verso la parte destra, e guida l’occhio per entro a cadenti costruzioni è il soggetto del quadro. Un grande arco apre sulla sinistra tutta la vista del mare, ch’entra a bagnare gran parte dell’interno. Il sole caldissimo illumina con diversi effetti gagliardi tutto quanto il sotterraneo, che si vede rosso e debilitato dal continuo battere dei flutti. Nel fondo del golfo si vede il Vesuvio egregiamente accennato, cosiché l’occhio ne misura giustamente la distanza” (99).

Il Kunstblatt del 27 marzo 1820 afferma che: “Tra gli eccellenti pittori di paesaggio che vivono a Roma Vogd, olandese, Verstappen di Anversa e Catel di Berlino hanno in modo particolare molto da lavorare. I soggetti marini dell’ultimo sono di grande effetto e poiché è anche un pittore di storia i suoi paesaggi sono ben ornati di figure. La scena di un molo vicino Napoli brulicante di figure, dipinta per il generale Koller, è molto vivace e particolarmente ben riuscita” (100).

Nel 1820 dipinse per il pittore inglese sir Thomas Lawrence due “quadri di architettura raffiguranti il piazzale della chiesa di San Pietro al chiaro di luna” (101) e subito dopo il 1821 ritrasse dal vero a Roma il Papa Pio VII (102), di cui si conserva una litografia di Maximilian Frank, essendo andato perduto l’originale (103). Accanto ai riconoscimenti, di tanto in tanto si levarono critiche piuttosto severe che giudicarono la sua pittura troppo superficiale. Molto presumibilmente nel 1818 Catel conobbe il principe ereditario Karl August Ludwig di Baviera, della Casa Wittelsbach, asceso al trono il 13 ottobre 1825 con il nome di Ludwuig 1°. Sulla conoscenza fatta con il principe, con il quale strinse veri rapporti amichevoli, si è tramandato un aneddoto alquanto singolare, non privo di invidie e di pungenti osservazioni. Si racconta che Catel, avendo saputo che il principe passeggiava ogni mattina da Villa Malta, sua dimora, all’Acqua Acetosa, si fosse messo con il cavalletto su di un’altura lungo la strada e che nel momento stesso in cui Ludwig passava con un accompagnatore fosse rotolato, come per caso, con cavalletto e quadro davanti ai piedi del meravigliato principe (104). Questi venne a Roma, per la seconda volta, nell’ottobre 1817 (105) e qui Franz ebbe modo d’incontrarlo nelle numerose feste della colonia o in uno dei tanti circoli tedeschi. Il 29 aprile 1818 si tenne nella Villa Schultheiss sul monte Parioli, vicino all’Arco Oscuro, una festa in onore del principe ereditario, a cui parteciparono ben 120 persone (106).

Troviamo accanto ai diplomatici degli stati tedeschi con le loro signore e alle dame della colonia, presenti la signora von Humboldt, Dorothea Schlegel e Henrietta Herz, alcune mogli di artisti tra le quali Margherita Catel che si distingueva per giovinezza e bellezza (107). Il Geller riferisce che Ludwig “ad una grande festa artistica”, molto probabilmente questa, restò “molto impressionato” dalla leggiadria della Prunetti e “che danzò con lei quasi tutti i balli” (108). Catel non è nominato, ma si può pensare che vi partecipò, anche per la presenza degli artisti tedeschi che decorarono la villa, quali Cornelius, Ph. Veit, W. Schadow, J. Schnorr, Sutter, Tischbein, Wach ecc. (109). Un luogo di ritrovo era Villa Malta, presa in affitto dal diplomatico Franz Wilhelm von Reden dal 1819 al 1825 che qui riunì il numeroso gruppo dei tedeschi e degli stranieri abitanti a Roma (110). Wilhelm Christian Müller, professore di Göttingen, in una lettera di viaggio del 1820-21 descrive la socievolezza che vi e a in casa Reden e annota: “A parte il principe ereditario di Baviera s’incontravano il ministro vom Stein, Thorvaldsen, il barone Stackelberg di Russia, il paesista Catel di Berlino, August Kestner e altri” (111).

Inoltre anche un professore di Brema che nell’inverno 1821 visitò regolarmente le serate del sabato in casa del suddetto diplomatico, ci riferisce che lì incontrava Ludwig di Baviera, Thorvaldsen, Catel, von Stackelberg ed altri personaggi (112). Il principe si recò di frequente al Caffè Greco durante gli anni che vanno dal 1820 al 1824 per cercare i suoi amici artisti che conduceva a lauti pranzi nelle sue osterie preferite (113) come quella al Teatro di Marcello, della Campana (114), dell’“Osteria del Baiocco” a Piazza Barberini, dove il suo posto era segnato da un baiocco falso inchiodato sul tavolo (115). Là si ritrovava con il Thorvaldsen, Pollak, Wursinger, Catel e con tanti altri assidui frequentatori di quel celebre locale (116). Sovente andava anche alla famosa osteria di Ripa Grande che offriva ottimi frutti di mare, buon marsala e vini “forastieri” (117).

Un vivace quadretto di Catel ci fa assistere ad una di queste allegre feste nella taverna spagnola di Ripa Grande con il principe che brinda assieme ad alcuni artisti, fra i quali l’autore si è raffigurato (vedi opera n. 8). Da quast’amicizia ricevette presto ordinazioni anche dai membri della casa reale prussiana residenti a Roma, quali il conte Jugenheim e il principe Heinrich di Prussia (118). Per quest’ultimo, tramite Friedrich Schinkel, dipinse a Roma nei primi mesi del 1834 (119) una grande pala d’altare “La resurrezione di Cristo” che il principe regalò alla chiesa di Santa Luisa a Charlottenburg e qui scoperta nel giorno di Pasqua dello stesso anno (120). Il dipinto, non molto riuscito, fu posto in una cornice disegnata dallo Schinkel e distrutto dalle bombe nel 1944 (121). Un “bozzetto di Risurrezione” figura nell’elenco dei quadri e disegni lasciati in legato alla Cassa Sussidi Artisti Tedeschi e sicuramente si riferisce all’opera suindicata (122).

Intorno al 1819 Catel si recava spesso nel palazzo Caffarelli, di cui la Germania prese in affitto un appartamento fin dal 1817 (123). Oltre ad essere adibito ad ufficio ed abitazione per diplomatici divenne un importante luogo di ritrovo di artisti e intellettuali tedeschi ad opera dell’ambasciatore di Prussia presso la Santa Sede B. Georg Niebuhr e di C.K.J. von Bunsen, che lì ebbero la loro sede ufficiale (124), Per dare un’idea di quanto fosse frequentato, basti dire che nei due decenni che seguirono si riunirono attorno ai due inviati, per più o meno tempo, oltre il citato Catel, J. Schnorr, K. Eggers, Friedrich Olivier, A. Grahl, Thorvaldsen, Schinkel, L. Richter, V. Hensel, F. Nerly (125). Accanto a questi troviamo gli scultori E. Wolf e C. Rauch, i poeti A. Kopisch e W. Waiblinger, i musicisti Reisiger, Nicolai e Felix Mendelssohn e molte altre personalità della cultura, con l’immancabile presenza di Ludwig di Baviera (126). Il Bunsen, segretario di ambasciata nel 1817, successe al Niebuhr nel 1823 e rappresentò la Prussia presso la Santa Sede fino al 1° aprile 1838, hanno in cui lasciò Roma (127).

Questi due illustri studiosi oltre a mantenere vivo e fecondo il cenacolo degli artisti, dettero un enorme contributo alla diffusione delle nuove tendenze artistiche dei pittori o scultori tedeschi e come dice il Kunstblatt “meritano ogni ringraziamento” per aver offerto ai romani la possibilità di conoscerle (128).

Nell’aprile 1819 si tenne nel palazzo Caffarelli una nutrita ed importante esposizione d’arte tedesca in occasione della visita a Ro ma dell’imperatore d’Austria Francesco 1° di Asburgo con l’imperatrice (129). La mostra fu organizzata dai soli prussiani, primi fra tutti il Niebuhr, il console generale von Bartholdy, sostenuti dalla signora von Humboldt che la fece allestire in alcuni locali del palazzo (130), ma anche Catel collaborò con entusiasmo (131). Questa fu la prima mostra tedesca a Roma (132), di notevole interesse non solo per la qualità e gli sviluppi futuri, ma anche per le risonanze che ebbe ed in particolare per le polemiche e le dispute che suscitò fra classicisti e romantici.

Nell’esposizione figurarono 181 opere,fra cui 21 Madonne, e parteciparono ben 65 artisti quasi esclusivamente tedeschi e in maggioranza Nazareni (133). Di diversa nazionalità furono due olandesi, uno svedese, un russo, l’italiano Tenerani e il Thorvaldsen (134) che non poté esporre nella sala di scultura le tre “Grazie” perché incompiute (135). All’inaugurazione del 16 aprile furono presenti oltre il sovrano e l’imperatrice, il principe Metternich, Friedrich Schlegel e Franz Grillparzer (136). La mostra ebbe un pieno insuccesso dal punto di vista finanziario, non ci furono acquisti né ordinazioni, l’imperatore Francesco non nascose il suo disinteresse ed anzi manifestò apertamente il suo disappunto (137). Era prevenuto contro i Nazareni che indossavano le antiche cotte tedesche e portavano i capelli lunghi, perché orano sospetti di demagogia e per il loro atteggiamento anticonformista. Con evidente allusione si dispiacque di non aver potuto vedere le “Grazie” del Thorvaldsen e con pungente ironia disse che nella mostra mancavano soltanto “le Grazie” (138).

Il .Metternich fu ancora più duro quando si rifiutò di acquistare un’opera per questioni di prezzo, ma lo smacco più grande si ebbe allorché l’imperatore e il principe comprarono quadri dagli italiani e francesi per alte somme.

Forti critiche negative le espressero anche i francesi in Roma e gli italiani tentarono addirittura di boicottare l’esposizione con un’altra mostra ma poi desistettero (139). Più seria di queste rivalità fu la disputa fra Schlegel e Goethe. Questi pur non visitando la mostra si schierò contro di essa perché i Nazareni gli sembravano minare i principi classici dell’arte che agli riconosceva come unica vera tradizione. Per Goethe poi, questo amore perle cose cristiane si poneva in maggior modo lontano dalla sua concezione di un panteismo universale, riguardo all’instabilità dei sentimenti religiosi individuali. Rimproverava proprio allo Schlegel di aver offerto questo “nuovo elemento medioevale e cattolico-cristiano” al campo delle arti (140). Per l’occasione scrisse questo mordace epigramma:

Io concederei a loro lode e onore però queste cose non si possono avere dall’estero, essi finalmente vedono la loro dottrina sepolta in Caffarelli” (141).

In favore dei Nazareni si levarono molti scrittori fra cui lo Schlegel che pubblicò sull’Allgemeine Zeitung” un’ampia recensione sulla mostra e particolarmente la difesa per aver visto in essa la realizzazione delle sue teorie (142).

Egli diresse le sue critiche contro il Goethe o lo stile del David e della sua scuola additata come esempio della “‘buona arte”, alla qua le contrappose i risultati della nuova scuola tedesca in Roma, ma restrinse i suoi commenti e riferimenti ai soggetti più esemplari e strettamente cattolici che erano scarsamente rappresentati (143). Lo Schlegel riserva poche parole per la pittura di paesaggio e il suo giudizio al riguardo non si sofferma esclusivamente all’esame dei dipinti ma è strettamente legato all’opinione che ha degli artisti (144). Scrive: “L’esposizione tedesca presentava ambedue i generi di paesaggio già nominati (classico e romantico) e non soltanto nei loro eccessi, ma anche in alcune forme intermedie e molti meritori lavori di Koch, Catel, di Rebell, Rhode” (145).

Anche il Kunstblatt del 1819 ne prese le difese e lodò l’indipendenza artistica nei confronti dell’arte del tempo e la minuziosità dei particolari (146).

In ogni caso non si poterono ignorare i grandi bozzetti sul Paradiso di Dante del Cornelius e quelli dell’Overbeck sulla Gerusalemme Liberata fra cui l’“Olindo e Sofronia”, né passarono inosservati i dipinti figurativi di Veit, W. Schadow e K.W. Wach, i paesaggi di Reinhart, Rohden, Helmsdorf e Catel o le sculture di Rudolf Schadow e von der Launitz (147). Il Kunstblatt parlando della pittura storica afferma che vi sono quadri “molto buoni”. Tra questi “La Religione”, un piccolo “Sebastiano” e il bozzetto dei “Sette anni prosperi” di Ph. Veit, “Le nozze di Cana” di Schnorr, un “Cristo” e “Il giudizio di Daniele” di Vogel, un “Mercurio con Maja” di Rittig e il “Rodolfo d’Asburgo che offre il suo cavallo al sacerdote” di Catel, che a giudizio del giornale è stato “dipinto con molto spirito” (148). Lo stesso si esprime favorevolmente par l’acquerello di Catel “L’assassinio del prevosto Nicola di Bernau” quando afferma che “meriterebbe esecuzione in olio” (149) e al riguardo della “veduta da una finestra vicino Posillipo” sempre di Catel, dipinta per il generale austriaco von Koller, sostiene che “quantunque appartenga ad un genere misto, definendola come una raffigurazione caratteristica della vita nelle strade napoletane, può essere ricordata come una composizione molto eccellente” (150).

Altri noti artisti appartenenti alla colonia tedesca che parteciparono alla mostra furono i due Riepenhausen, Schaller, K. Eggers, Senff, W. Hopfgart, L.B. Jollage, Gmelin e Koch (151). Il Giornale Arcadico del 1819 non si occupò dell’esposizione anche quando prese a parlare di due dei tre dipinti esposti da Catel, confermando il giudizio positivo del Kunstblatt. Scrive a proposito della “veduta del golfo di Napoli presa dalla via che conduce al sepolcro di Virgilio”: “Si vede in fondo il Vesuvio, e più avanti il promontorio di Pizzofalcone, e il Castello dell’Uovo. La diritta del quadro rappresenta la marina, e la sinistra la strada che si prolunga dalla Chiaja, oltre i giardini della Villa Reale, e viene incurvandosi verso il mezzo del quadro. La strada è tutta ripiena di popolo, di cavalli di vetture. Qui è rappresentata una processione, più lontano un saltinbanco; lungo la via ogni condizione di rivenditori, e tutte queste numerose figure così ben raggruppate, che senza generare confusione all’occhio dello spettatore danno una idea adeguata di quel giornaliero tumulto, che tanto piace in quella vasta e deliziosa Città” (152).

Del secondo quadro rappresentante “un paese della Svizzera con una folta selva” commenta: “In questo le figure alte circa un palmo danno alla opera il carattere di Quadro storico. La scena è tolta da un racconto del Poeta Schiller, il quale narra che trovandosi un giorno Rodolfo conte di Hapsbourg alla caccia in un bosco vicino a un torrente, il di cui ponte era stato rotto dallo impeto delle acque, vide un venerabile sacerdote, che portando il Viatico ad un moribondo non poteva passare il guado. Ond’egli sceso dal suo cavallo ve lo fece montare sopra, e rispettosamente lo accompagnò fino al torrente. Per la qual cosa il vecchio venerando lo benedisse e gli presagì come premio della sua pietà la futura grandezza della sua famiglia. Il qual fatto è stato con tanto magistero espresso dal Catel che riempie di stupore. E’nel mezzo il sacerdote rivestito di abiti sacri, e assiso sopra un bel cavallo bianco. Egli ha inclinato con la testa verso Rodolfo, e mostra di parlargli. Una folta, e bianca barba renda più maestoso il Ministero degli Altari. Il conte è in atto di consegnargli le redini del cavallo, e sta religiosamente intento alle parole del sacerdote. Un chierico precede il cavallo: e nell’indietro un famigliare di Rodolfo ritenendo un altro cavallo ammira la pietà del suo signore. Si vede in lontananza, una chiesa, e varie strade che girano pel bosco. La leggiadria e la fedele rappresentazione degli abiti Nazionali; la freschezza degli alberi, quali sono appunto dopo le pioggie, e il magistero con che veggonsi trattate le foglie, e tutti i particolari di questa scena danno un’alta idea del valore di questo Artefice, il quale va sempre progredendo verso il perfezionamento dell’arte, e conferma vieppiù la sua riputazione” (153).

Alla fine del 1819 apparve il primo volume della magnifica edizione romana della traduzione dell’Eneide di Annibal Caro, ideata, organizzata e fatta eseguire nella tipografia De Romanis dalla duchessa Elisabetta Hervey di Devonshire (154). Il secondo volume fu pubblicato nel 1820 e sia il Kunstblatt che il Giornale Arcadico si occuparono dell’opera. Quest’ultimo scrive che “questa edizione si farà singolarissima dalle altre” sia “per la carta, le lettere e tutta l’esecuzione tipografica, che per la qualità dei “rami””, rappresentanti nel loro stato attuale i vari luoghi nominati nel poema (155). Infatti “il leggitore con quel libro in mano vive con molti secoli: cioè cogli antichi ne’ versi del divino poema, e co’ moderni nelle tavole che l’adornano; ond’è che congiunge idee fra loro lontanissime: e le andate grandezze di Cartagine e di iTroja paragonando colle lor presenti rovine, vede e tocca in un libro stesso il girare de’ casi umani, e la misera fine delle più potenti nazioni dell’universo (156). Le illustrazioni furono affidate per la maggior parte al famoso incisore tedesco Wilhelm Friedrich Gmelin che le completò poco prima della sua morte avvenuta il 22 settembre 1820 (157).

Il Gmelin incise 24 paesaggi tratti in parte da disegni propri, in parte da quelli di G. Gabrielli, Abraham Teerlink, Hendrik Voogd, Williams, Gian Battista Bassi, Montgomery, M. Eastlake, F. Guglielmo Gell e Catel (158).

Quast’ultimo già conosceva la duchessa avendo inciso per lei nel 1818 tre vedute italiane (vedi opera n. 79, 80, 81).

Altri disegnatori dell’opera furono Rie penhausen, Camuccini, Minardi, i disegni dei quali furono incisi da Pietro Fontana, Pietro Bettelini e Domenico Marchetti. Il Kunstblatt del 1821 giudicò molto favorevolmente le incisioni e riconobbe agli altri “squisiti disegnatori” il merito di aver saputo rendere nel paesaggio “la poesia dell’aria e dell’acqua”. Segue dicendo che “le vedute, spesso molto semplici, acquistano un particolare fascino magico e ciascuna trasporta la mente in uno stato d’animo diverso. Catel ci sembra essere il più eccellente in questo” (159). Il Giornale Arcadico scrive in proposito: “Quest’opera ornandosi di molti lavori del Catell, vogliamo credere, che anche il nome di tale artista le acquisterà molta grazia presso gl’intelligenti. Recatosi egli al monte Agragante ne ha dipinto l’aspetto vero, e specialmente quella cima da cui si vede a sinistra il mare, e a destra dalla lungi la nuova città di Girgenti. Nel mezzo tengono il campo quelle colonne, che ancor rimangono del tempio di Giunone Lucina” (160).

Catel disegnò anche “Gli scogli delle sirene”, “ove il mare è in quel moto nel quale si vede quando è rotto da grandi sassi. Pare che tremi tutto: e più si fa nero, dov’è più cheto: e dove più si rompe, ivi più si fa bianco. Le nuvole, che si strascinano sovra le punte di que’ sassi, volando assai leggiere, e si cangiano con luce così varia, che accompagnano d’ogni parte il tremante lume dell’acqua sottoposta” (161).

Cosi descrive l’opera il Giornale Arcadico che a proposito de “La grotta della Sibilla” ci

riferisce: “Qui il sig. Catel ha quasi vinto se stesso: specialmente pel contrapposto dell’oscuro del sasso colla chiarezza del cielo che splende, dove si squarcia l’antro” (162). Altri disegni di Catel sono “La costa di Cuma” (vedi opera n. 82), “Il tempio di Apollo”, “Il promontorio di Palinuro” e “Ardea” (163).

Tutte le sue opera furono incise dal Gmelin ed eseguite a Roma e tranne l’ultima appartengono al primo volume (164).

Nel 1820 Franz partecipò ad un’esposizione d’arte a Monaco sulla quale il Kunstblatt del 16 novembre 1820 stese un’ampia recensione. Occupandosi dei paesaggi scrive che “soddisfano in uguale misura” dei ritratti e nota, cosa molto importante e “gradita”, un significativo progresso rispetto ai lavori precedenti. “L’interpretazione si è arricchita moltissimo di animo poetico e dì una elevata visione della natura, le composizioni di ricchezza e buon gusto, il colore di pienezza e chiarezza” (165).

A proposito di Catel aggiunge: “Nella veduta di Palermo sono riuscite straordinariamente bene le figure, come nella grotta del TiroIo dello stesso artista, l’effetto del colore e la luce” (166). Altri paesisti presenti alla mostra furono Rebell, che espose una “Veduta di Napoli”, Cogels, Conjola, Wagenbauer, Heinzmann, Warenberger e DiIlis. Anche la pittura di genere fu rappresentata e con il maggior numero di opere, ma il suindicato giornale afferma che “sarebbe bene se si facesse più pittura di storia” (167).

Quando nel 1820-21 il grande paesista J. Christian Clausen Dahl si recò in Italia scelse come luogo di studio il golfo di Napoli dove soggiornò dall’estate del 20 fino ai primi mesi del 21 (168). Qui s’incontrò con F. Catel, con il quale dipinse studi all’aria aperta (169). A testimonianza di questa sincera amicizia lo stesso Dahl si effigiò accanto a Catel nel suo personalissimo modo di stagliare piccoli scorci su ampie zone di cielo (vedi opera n. 105). L’incontro con il pittore norvegese fu decisivo per Catel il quale, oltre a subirne l’influenza, trasse un nuovo modo di vedere il paesaggio, più aderente al reale ed essenziale. “Il golfo di Napoli con il Vesuvio” (vedi opera n. 4) ne è un esempio.

Un’altra mostra tedesca con l’attiva partecipazione di Franz si allestì nel dicembre 1822 a Roma in onore della visita del re di Prussia Federico Guglielmo III Hohenzollern (170). Il sovrano non soltanto visitò l’esposizione due volte e manifestò la sua particolare soddisfazione a tutti gli artisti presenti con frasi molto benevole, ma anche l’incoraggiò a dipingere comprando e ordinando più quadri (171). Il Kunstblatt del 3 marzo 1823 scrisse che l’intera esposizione dava “un’eccellente impressione, pienamente degna delle lodi regali” sebbene gli artisti prussiani più importanti esposero opere del loro medio livello, non avendone altre disponibili.

Aggiunge inoltre: “Un risultato di questo genere conseguito soltanto dalla colonia tedesca-prussiana in Roma era impensabile 10 o 15 anni prima” (172). Fra i temi prevalentemente religiosi e copie da vecchi maestri erano presenti quadri sulla vita pastorale e popolare italiana di Catel, Dräger e dello svizzero Leopold Robert. Catel espose “una veduta dai Cappuccini vicino Sorrento sul mare e le belle rive con il Vesuvio”: “In primo piano vi è un effetto di sole molto reale ed anche il mare è buono e di bel colore, un gruppo di cipressi è trattato magistralmente, meno riuscita è la restante parte, in special modo le figure sono trattate troppo superficialmente” (173). Oltre a questo, espose due piccoli quadri dipinti dalle spiagge vicino Napoli, di cui uno ai chiaro di luna; una famiglia di pastori delle montagne romane; una famiglia di pastori romani con pecore e capre nella loro abitazione invernale, una grande casetta di paglia dove si prepara il formaggio; due schizzi di combattimento fra turchi e greci vicino ad Atene. Il Kunstblatt sintetizzando il suo giudizio su Catel scrive: “Il pennello pieno di spirito dell’artista, anche se talvolta troppo superficiale, non si disconosce in tutte queste opere; in molti particolari rallegra perfino uno studio minuzioso della realtà (174).

Il Robert partecipò con “Un brigante con donna e bambino”, “Un brigante di Sonnino” e “Un ritratto femminile in un bel costume di Procida”. Presero parte all’esposizione anche K. Eggers, Begas, Hopfgarten e Jollage, Mila di Berlino, Rittig di Coblensa, Senff, Philipp Veit, E. Wolff ecc. (175). Nel maggio 1823 Franz partecipò alla seconda mostra, di arte e industria a Karlsruhe, nello stato di Baden, con una pittura ad olio “Una veduta dal convento dei cappuccini sul lago con il paesaggio di Albano” (176). Con molta probabilità l’opera esposta è quella dipinta per Milord Bristol, di cui il Giornale Arcadico, a differenza del Kunstblatt, dà un ottimo giudizio (177).

Infatti quest’ultimo scrive: “Il bozzetto pieno di spirito spesso può essere posto con pieno diritto più in alto di un’esecuzione molto rigorosa e noi ammiriamo l’artista che accanto alla veduta fuggevole sa cogliere la natura nelle sue particolarità. Ma se è più la consapevolezza della virtuosità che non la fedeltà pia e piena d’amore che guida la mano dell’artista, se si abbandona troppo alla sensazione dell’abilità allora necessariamente deve cadere nella maniera, la quale pur sempre può essere soltanto l’ombra della natura. Oltre a ciò singole parti di questo quadro, il cui pregio del resto noi certamente riconosciamo, difettano di stile” (178).

Carl Nehrlich in un suo articolo sull’ esposizione afferma: -“I quadri di Catel e Voogd sembrano dipinti da una mano, solo che il paesaggio del primo è anche più plastico e meglio colorito” (179). Altri artisti presenti furono: G. Dittenberger, Gesler, Hackel, Huber padre e figlio, Koster ecc.

Nel 1824 Catel si trasferì definitivamente nel grande appartamento di Piazza di Spagna al n. 9 (180).

Questa casa resterà sempre aperta agli ospiti che qui si riunivano o partecipavano alle galanti feste serali con intrattenimenti musicali e deve aver avuto un tono molto elevato, come risulta da lettere e diari di pittori tedeschi e visitatori (181). Il pittore Moritz Oppenheim di Francoforte scrive nelle sue “Memorie” che per frequentare la casa Catel “deve vestirsi accuratamente più spesso di prima” e che adesso deve fare “spese prima mai fatte e cioè per scarpe lucide,.nastri bianchi e guanti glacé chiari” e che tutto ciò “pesava parecchio sul suo bilancio” (182).

Lungo il corso degli anni vi troviamo il Thorvaldsen, i pittori Karl Begas, Wilhelm Hensel, August Grahl, che dipinse un eccellente ritratto della signora Prunetti (vedi opera n. 96), il professor Minardi di Perugia, Sulpiz Boisserée, il grande conoscitore e collezionista d’arte noto per aver portato a termine la costruzione del duomo di Colonia, Adolf Stahr, Fanny Lewald, come lei stessa ci racconta più volte nel suo diario romano del 1845-46, Adele Schopenhauer e Friedrich Schinkel, a cui Franz era particolarmente legato da vincoli di amicizia (183).

Da un album di 97 disegni provenienti dall’appartamento di Piazza di Spagna e conservato nel Pio Istituto Catel possiamo rilevare che molti altri artisti frequentarono la loro casa ed ebbero rapporti di amicizia con la famiglia Catel.

Per lo più doveva trattarsi di doni di amici come dimostra la seguente dedica su un acquarello del pittore Senff: “Questi fioretti, seminati ed educati nel proprio giardino da Augusta Senff, dipinti da Adolfo Senff, mandano per l’album dell’amica Margherita Catel i suoi sempre riconoscenti amici A.S. ed A.S. Ostrau 1854” (184). Inoltre ciò è confermato dal fatto che vi sono disegni del sunnominato Hensel, di Leo von Klenze (185), J.M. von Rohden, Peter Rittig, F. August Elsasser e Giacinto Gigante (186), artisti che incontreremo in altre occasioni accanto a Franz. A questi si aggiungono quelli di W.L. Leiten, J. Nepomuk Rauch, Alfred van Muydan, Karl Werner, Karl Haag, Consalvo Carelli, Achille Vianelli ed altri di autori ignoti (187).

Nel 1824 si recò di nuovo nel golfo di Napoli con Hess, Begas e Schinkel che Catel dipinse nello stesso anno in un noto quadro (vedi opera n. 9) (188).

Eduard Gerhard ci riferisce nella sua biografia che un piacevole viaggio, “ravvivato dalla presenza di vari eccellenti artisti, tra i quali F. Catel e Heinrich Hess “fu intrapreso nel 1824 a Paestum e a Salerno (189). Nell’autunno 1824 Catel prese parte all’esposizione artistica che si tenne nel celebre palazzo Brera e Milano (190). Sebbene la critica e il pubblico avessero apprezzato particolarmente migliara, che presentava tra l’altro alcuni interni di monasteri e Granet una “Chiesetta di francescani”, anche il Berlinese riscosse un buon giudizio. Scrive il Kustblatt: “Inoltre si vedeva con piacere la veduta di una certosa nel regno di Napoli, uno scenario al chiaro di luna, piccolo quadro di Catel. Esso appartiene al marchese Visconti. Le figure sono molto bene disegnate e di grande varietà”. E ancora: “Altre due vedute delle cascate di Tivoli, una di Catel, l’altra con la Villa di Mecenate dello Chauvin. Io preferirei quella di Catel” (191). Esposero nella stessa, Voogd con una “Veduta della campagna romana”, Teerlink con un paesaggio, Bassi con le “Cascate di Tivoli”, Verstappen ed altri (192).

Il “Voyage pittoresque en Sicile” scritto da Delasalle e stampato da Didot nel 1824 fu illustrato con i disegni di molti artisti fra cui Gr. Forbin, Cassas, Michalon, Cockerell, Frommel, Birmann figlio. Huber e Catel che ne consegnò “una serie” (193). L’opera è costituita da cento a centoventi vedute in acquatinta. Il Kunstblatt del 17 marzo 1825, affermando che “quelle già pubblicate appartengono ai lavori più belli di questo genere”, ci informa che J.F. Ostervald “sta per completare a Parigi l’intera edizione composta dallo scritto e dalle illustrazioni. Il tutto dovrebbe formare due grandi volumi in-folio ed essere pubblicato in 25 o 30 fascicoli, ciascuno di quattro fogli. Il testo storico con una carta topografica uscirà in due fascicoli” (194).

MoIto probabilmente per questo lavoro Catel prese spunto dai disegni e dipinti eseguiti nei suoi viaggi in Sicilia e nel meridione. Scrive il Kunstblatt del maggio 1824: “Catel sa interpretare i suoi soggetti con abile scelta e mente poetica, per cui Napoli e dintorni, Sorrento, Salerno e la Sicilia gli offrono ricca materia. Con la massima fedeltà e verità poetica raffigura il poetico Etna, la flora rigogliosa di queste magiche regioni, la poesia pittoresca, le grotte naturali, i burroni di montagna e le rocce, le coste marine e gli edifici, spesso costruiti nelle fenditure di queste, attorniati da viti e aranci o sorretti da rovine e colonne” (195).

Un testo completo in lingua francese con 11 incisioni ad acquatinta figura nell’inventario delle opere del pittore stilato nel giugno 1874 nell’appartamento di piazza di Spagna (196). Nell’elenco dei quadri e dei disegni lasciati in legato da Catel alla Cassa Sussidi Artisti Tedeschi è nominata una “Grotta di Cervara” (197), che può essere molto indicativa circa la partecipazione di Franz all’omonima festa che si tenne regolarmente ogni anno fin oltre la metà dell’800 e saltuariamente per tutto il secolo.

Principalmente per iniziativa di J.C. Reinhart fu fondata nel 1812 la “Società di Ponte Molle” (198) che verso il 1825 dette vita alla trionfante festa primaverile di Cervara, comunemente chiamata il carnevale degli artisti (199). I membri della cosiddetta “Società” erano quegli artisti tedeschi, in maggior parte, stranieri che andavano sempre incontro a Ludwig di Baviera a Ponte Molle per dargli il benvenuto con il bicchiere in mano; suo primo presidente fu il Thorvaldsen (200). L’ultima volta che questa singolare figura di sovrano venne a Roma come Kronpiuz, fu nel 1825, poco prima della sua incoronazione (201). All’inizio questa festa consisteva in una gita in campagna con mascherate improvvisate alla meglio, ma dopo che Reinhart ebbe scoperto le grotte nella tenuta di Cervara, vicino la Tiburtina, la comitiva si trasformò in una vera e propria istituzione, con i suoi statuti, le sue cariche e i suoi cortei in costumi variopinti (202). Si trovavano tutti insieme, camuffati con le acconciature più. strane, la mattina del primo maggio vicino Porta Maggiore e di lì raggiungevano le grotte chi a cavallo di asini, mascherati con bizzarre bardature, chi a piedi

(203). Con il tempo tanti altri personaggi di ogni nazionalità presero parte a quella stravagante scampagnata che si concludeva verso il tramonto con il conferimento di commende e cavalierati del baiocco da parte del presidente ai suoi dignitari e vincitori delle corse.

La commenda del “Baiocco” era una medaglia, molte volte modellata da qualche artista famoso, che si dava molto gelosamente ai personaggi più illustri partecipanti alla festa ed era accompagnata dal seguente diploma del P.P.Q.P., (Praeses populusque Pontemollicus) (204). “Noi per Grazia di Giove e del Popolo, presidente di Ponte Molle e Cervara, nominiamo in virtù di nostra podestà, il Signor… Cavaliere dell’Ordine del Baiocco” (205). Di questa originale decorazione fu insignito un anno il Thorvaldsen e persino il principe Ludwig, il quale restò così entusiasta che volle parteciparvi nuovamente quando ritornò a Roma nel 1842 (206). Senz’altro Catel prese parte alla festa durante la sua lunga vita romana, almeno una volta! Il suo carattere vivace, brillante e socievole, non poteva trascurare questa divertentissima scampagnata e per la presenza di personaggi a lui molto legati e per la partecipazione dell’intera colonia tedesca che Franz aveva sempre seguito e favorito in ogni sua iniziativa.

L’esposizione d’arte del 1826 a Berlino fu caratterizzata dalla partecipazione di numerosissimi artisti quali L. Robert, il prof. Dähling, Fr. Krüger, P. Mila ecc. (207). Vi erano quadri di architettura, di storia, prevalentemente tratta dal Medioevo, copie di vecchi maestri e dipinti di genere, a proposito dei quali il Kunstblatt scrive: “Qui ce n’è un gran numero”. Franz Catel, che ha dato particolarmente impulso a questo genere, ha consegnato anche un pezzo eccellente, una famiglia di pifferari, cioè un vecchio suonatore di zampogna con sua figlia davanti ad un’immagine della Madonna sulla strada. Queste due fi gure ci fanno ricordare di averle già viste, tanto sono piene di espressione: il vecchio forte pastore nel suo abito marrone di lana, vicino a lui seduta la figlia un po’ malata ma bella, in costume molto pittoresco, qui però molto povero. L’esecuzione è più diligente che normalmente” (208).Catel figurò anche con “La veduta del convento dei benedettini vicino S. Cosimato” e con la “Veduta dal portico dalla cattedrale ad Amalfi” (209). Il Kunstblatt nel complesso giudica con poco favore la mostra che a suo giudizio difetta in più punti e particolarmente nelle copie di vecchi maestri (210).

Nello stesso anno Catel partecipò con un solo quadro, “Interno di casa di pescatori”, alla “Mostra delle Opere di Belle Arti esposte nel palagio del Reale Museo Borbonico il dì 4 ottobre 1826”, come si esprime l’aulico catalogo della Stamperia Reale (211). Questa fu la prima delle mostre napoletane che durarono fino al 1859 e la prima prova in pubblico di G. Gigante (212) che si presentò con le vedute “dell’interno d’un edificio con S. Onofrio”, “del Colosseo”, “dell’Anfiteatro di Pozzuoli” e “della marina di Sorrento” (213). Inoltre presero parte all’esposizione A.*Pitloo con le vedute “del giardino del Chiatamone”, “dei tre templi di Pesto”, “di Bacoli” e “di una ferriera di A malfi”, Raffaele Carelli con 16 opere, Salvato re Fergola con 7, Gabriele Smargiassi con 3, Vervloet con 2 ed altri (214). Purtroppo non resta neppure un cenno critico di questa mostra, eccetto una silloge d’epigrammi latini di D.S. Oliva, tradotti in versi italiani dal Conte Giuseppe Perticari, “ad elogio di alcune opere scelte tra le molte commendevoli della esposizione” (215). Presto a Catel giunsero vari riconoscimenti: il 14 maggio 1826 ricevette una lettera dal direttore della Reale Accademia di Berlino nella quale si chiedeva quali fossero le sue pretese per insegnare disegno nella stessa. Il 14 ottobre dello stesso anno ottenne la nomina di socio dell’Accademia di Belle Arti di Anversa (216). Un fenomeno particolare di questi tempi sono le frequenti proteste con disegni e scritti di alcuni artisti tedeschi a Roma contro il Kunstblatt. Nel 1826 i fratelli Riepenhausen, J.A. Koch, Reinhart, Rohden, Thorvaldsen, Ph. Veit e Catel pubblicarono sulla “Allgemeine Zeitung” “Osservazioni e opinioni sulle scartoffie d’arte attualmente dominanti in Germania inviate da artisti residenti a Roma” (217). Nel 1833 questo scritto con un altro di Reinhart indirizzato a Schnorr e di Friedrich Rudolf Meyer fu pubblicato da J.C. Fritsche a Dessau sotto forma di libro con il titolo “Tre scritti da Roma contro le scartoffie d’arte in Germania” (218).

Le proteste iniziarono quando nel Kunstblatt del marzo 1823 Passavant espresse un giudizio negativo sui disegni dell’altorilievo per il famoso Valhalla presso Ratisbona di J.M. Wagner senza aver visto le opere (219). Poi altri scrittori nello stesso giornale esposero pareri negativi sull’arte tedesca a Roma provocando lo sdegno degli artisti i quali per derisione chiamarono il Kunstblatt “Dunstblatt”, cioè “Giornale di fumo” (220).

Intorno al 1827 venne da Dresda a Roma, dove risiedette per due anni, la contessa di Kielmannsegge con sua figlia che Catel dipinse ad Albano nel costume delle fanciulle di Nettuno (221).

Le sedute per il ritratto, di cui non si ha più traccia, furono descritte “in modo vivacissimo” dalla contessa nel suo diario (222). Costei ordinò inoltre a Catel di “dipingere una raccolta di vari fenomeni naturali ed effetti di luce relativi a diversi stati d’animo” (223).

Di questo lavoro ci restano quattro opere, due dalle quali sono “Il tramonto del sole ad Albano” e il “Paesaggio lunare con due monaci in cammino” (vedi opere n. 12, 13) (224).

Il Kunstblatt ci riferisce che in una mostra artistica della Pasqua 1827 a Lipsia furono esposte due collezioni sia di mercanti d’arte che di privati (225). “Tra la opere dagli artisti viventi con le quali la collezione privata di von Speck è stata recentemente arricchita, vi è una famiglia di contadini napoletani che abita sotto un antico rudere romano circondato da un panorama bellissimo. Il quadro è di F. Catel e respira veramente calore del sud” (226).

Nell’ottobre 1828 Catel partecipò all’esposizione d’arte di Berlino, visitata dal re Federico Guglielmo III e dal principe Karl di Potsdam. (227). Sia il re che il Kunstblatt dettero un giudizio positivo sull’intera mostra tanto che il sovrano fece delle ordinazioni e il giornale disse che vi erano “quadri eccellenti” (228). Lo stesso parere favorevole non fu espresso per Catel da Amalia von Helvig che scrisse nel Kunstblatt: “Perché il sig. Catel che tante volte ha abbellito la nostra esposizione con paesaggi pieni di spirito ed ha ravvivato le sue vedute con belle f¬gure, in questo senza dubbio ha fatto cose eccellenti, perché, come per capriccio, ci ha voluto mostrare questa volta i limiti del suo talento nel ritratto di sua maestà reale il principe Heinrich di Prussia” (fratello del re F. Guglielmo III) (229).

Altri artisti presenti furono W. Hensel, P. Mila, von Klöber, Julius Schoppe e Ternite.

Nell’autunno 1828 per un periodo di 13 mesi Karl Blechen venne in Italia e durante questo tempo conobbe Franz (230). G.I. Kern scrive che al suo ingresso nel Caffè Greco “fu subito salutato da conoscenti berlinesi. Egli non fa i nomi ma Wilhelm Ahlborn e F. Catel sicuramente ne facevano parte” (231). Il 28 gennaio 1829 fu pubblicato un manifesto sottoscritto da 58 artisti, soprattutto tedeschi, con lo scopo di riorganizzare l’amministrazione delle mostre attraverso la creazione di un centro d’arte (232). Oltre a Catel e Blechen troviamo le firme degli scultori Thorvaldsen, Wagner, Wredow, dei pittori Reinhart, Koch, Führich, Riepenhausen, Dräger, W. Schirmer, Ahlborn, Preller, Magnus, Weller, Riedel, E. Meyer, Nerly, Lindau, del disegnatore B. Genelli e dell’incisore in rame Felsing (233). Da questa iniziativa ne scatutirono altre, tra cui la fondazione della “Società degli Amatori e Cultori delle Belle Arti” avvenuta il 24 novembre dello stesso anno e nata con gli atessi intenti del centro d’arte (234). Allora fu nominato presidente il duca Corchiano e tesoriere il principe Carlo Torlonia, Minardi compilatore dello statuto e segretario; facevano parte della direzione del consiglio l’ ambasciatore austriaco conte Lützow, il barone von Malzen, Bunsen, Thorvaldsen, P. Tenerani, i pittori P. Rittig, Senff e Catel che fu uno dei promotori più zelanti (235). L’Inaugurazione delle esposizioni ebbe luogo nel 1830 nelle sale capitoline concesse per l’occasione dal senatore di Roma (236). Vi parteciparono tra gli altri O. Vernet, F. Podesti e P. Tenerani ed è molto probabile che ci fosse anche Catel (237). Questi fu anche confondatore delI’Associazione artistica romana” e collaborò con il Bunsen all’istituzione in Roma della “Biblioteca degli artisti tedeschi” (238), alla quale donò varie stampe ed i suoi “libri tedeschi e artistici e scientifici” (239).

Con il tempo Catel divenne possessore di una considerevole proprietà. Nel 1830 acquistò una vasta tenuta di campagna nei pressi di Macerata (240) e qui, quando non viaggiava, si recava durante l’estate e l’autunno per riposare (241). A ciò si deve aggiungere una vigna nella vallata di Tor di Quinto a Roma, vicino a Ponte Molle, la bella casa di Piazza di Spagna e un’altra in Via delle Fratte, l’odierna Trastevere (242). Non mancarono invidie e gelosie soprattutto da parte di quegli artisti che non trovavano facilmente acquirenti, tra i quali J.A. Koch. Scriveva Ludwig Richter che si stabilì a Roma nel settembre 1823 e conobbe Koch: “Durante i tre inverni che ho trascorso a Roma vedevo questi quadri (riferendosi ai dipinti del Koch) sempre nello stesso luogo e non si trovava un solo acquirente per essi, mentre, per esempio, le vedute più comprensibili di Catel non dovevano attendere i compratori, la qual cosa istigava moltissimo il temperamento satirico del vecchio” (243). Ecco come il Koch si espresse una volta in una lettera inviata a Joseph Sutter a Vienna, datata “Roma 6 maggio 1830 - … La schiera degli artisti cresce di giorno in giorno come i vermi nel formaggio marcio, per questo vi sono numerose parate d’arte chiamate esposizioni, presso le quali il famoso Catel non si raddrizzerà mai più dal suo eterno inchino” (244).

Altri criticavano il suo modo di vivere e sostenevano che Catel, tanto per citarne una, aveva comprato la vigna al Ponte Molle con il solo scopo di poter salutare e ospitare per primo gli stranieri che giungevano dal nord (245), magari “per vendere loro un quadro” o “ricevere un’ordinazione in cambio di un bicchiere di vino” (246). Nel 1830 Catel insieme a W. Hensel, W. Schadow, K. Begas, W. Wach, E. Magnus, P. Hess ed altri prese parte all’esposizione d’arte di Berlino nella quale figurarono “eccellenti” dipinti di genere, di storia, ritratti, fiori, animali e paesaggi (247). Alcuni di questi ultimi come “La veduta di Salisburgo e la cascata di Gasteim dell’Agricola mostrano la maestosità della natura nordica mentre nei paesaggi italiani di Fries, Franz Catel (presente con “La baia di Napoli”) e Siegert, specialmente nella veduta di Tivoli del primo, sembra trasmettersi tutta la chiarezza e il calore della graziosa natura di Esperia” (248), Catel con Maximilian Frank e G. Gigante fu tra gli illustratori e litografi del “Viaggio pittorico nel Regno delle Due Sicilie” di R. Liberatore (Napoli 1830), la cui pubblicazione avvenne nel 1834 (249). Altri riconoscimenti gli giunsero per i molti meriti acquisiti. Il 26 gennaio 1831 ottenne un diploma di accademico ad onore dall’Accademia di Belle Arti di Bologna, un diploma di accademico per merito dall’Accademia di Belle Arti di Perugia il 1° febbraio 1831 ed un altro di professore accademico di prima classe all’Accademia di Belle Arti di Firenze il 21 settembre 1831 (250). Una nutrita ed importantissima esposizione d’arte si allestì a Berlino nel dicembre 1834 (251). Più di 60 artisti parteciparono alla mostra con quadri di storia, di genere, ritratti e paesaggi, giudicati piuttosto bene dal Kunstblatt (252). Fra i molti, a differenza delle altre volte, vi erano personalità di alta statura come Dahl, presente con una “Cascata di Norvegia” e un “Naufragio nella costa norvegese”, Carus con una “Veduta del Battistero di Pisa”, prof. Friedrich con due notturni, Blechen con un “Paesaggio della Germania”, una “Rovina di una chiesetta” e vedute della “Serra di palme”, Koch con un paesaggio di Roma (253) e Catel con una “Vigna romana” (vedi opera n. 17) e “Veduta su Roma da Villa Medici” (254). Di lui inoltre si vedeva, scrive il Kunstblatt: “A parte qualche dipinto piuttosto manierato, una veduta della strada delle tombe della Via Appia, nell’effetto chiaro del giorno a cui la sua tavolozza è abituata” (255). Nota ancora che “il paesaggio con una luce chiara come il giorno rendeva pallidi i quadri sul Reno appesi lì vicino” (vedi opera n. 18) (256). Altri artisti partecipanti furono Begas, Elsasser, L. von Klenze, Ahlborn, W. Schadow, Merly ecc.

Una mostra dell’associazione d’arte romana, Società degli Amatori e Cultori delle Belle Arti, fu inaugurata a Roma. il 15 gennaio 1836 nella “bella sala a Porta del Popolo” messa a disposizione, come l’anno scorso, dal governo” (257). Il Kunstblatt scrive: “sembrano mancare dei partecipanti in quanto gli italiani non desiderano prendere parte a queste associazioni e gli stranieri, quasi esclusivamente presenti all’esposizione, sono venuti in numero ridotto. I quadri finora esposti sono molto pochi perché gli artisti anziani di rado sono disposti a concedere le loro opere. Gli eccellentissimi pittori che hanno contribuito sono Catel, Pierini, Wilson, Flohr, Weidemann, Pauletti, Monti, Rittig” (258).

La colonia tedesca festeggiò il 27 dicembre 1836 l’anniversario dell’arrivo a Roma di Catel e per l’occasione fu espresso il ringraziamento della generazione più giovane (259). Anche il Kunstblatt ricorda l’avvenimento: “In onore di Franz Catel di Berlino, pittore di paesaggi pieno di merito e per festeggiare la sua venticinquesima presenza a Roma è stata organizzata un’allegra festa dagli artisti tedeschi abitanti lì” (260). “Solo poche opere eccellenti” furono presentate nell’esposizione dell’Associazione d’arte romana nel gennaio 1837 a Roma (261). Oltre a quelli di Rittig, Lindau, Senff, Monti ecc., “Catel aveva consegnato un paesaggio italiano con bestiame, intitolato dintorni di Lucca e un quadro storico più piccolo che rappresenta una scena tratta dal romanzo “René” di Chateaubriandt” (vedi opera n. 21) (262).

Anche la mostra dell’Aprile 1837 a Piazza del Popolo fu piuttosto scarsa di significato (263). Catel, insieme a Lindau, Cavalieri, Prestel e Wittmer espose “una veduta molto pittoresca dal portico di un monastero ad Amalfi verso la costa e il mare. In primo piano una processione di monaci francescani che tornano in chiesa, il popolo inginocchiato tra i pilastri che sostengono la volta. La composizione è già nota” (vedi opera n. 22) (264).

Nell’esposizione artistica della fine di giugno e prima metà di luglio dello stesso anno a Posen sappiamo che figurarono “100 singoli oggetti di Schadow, Sohn, Stilke, Catel ecc.” oltre a 200 opere giunte da Breslau (265). Il Kunstblatt riferisce che a Roma dal 7 al 14 agosto 1838 “i seguenti artisti avevano esposto i loro dipinti destinati per la mostra artistica di Berlino nello studio di Elsasser: Dunker Kretrschmer, Pollack, Catel, Senff ed Elsasser” (266). Nello stesso anno prese parte all’esposizione dell’Associazione d’arte del Reno che in quell’anno si tenne a Mennheim, Mainz, Darmstadt, nella prima città con 205 opere e nell’ultima con più di 400. In queste tre, scrive il Kunstblatt “vi era pochissimo di eccellente e veramente soddisfacente…, del mediocre e dell’usuale. Tra i quadri di genere meritano di essere nominati solo Creul, Petzl, Catel ecc.” (267). In onore del gran principe erede al trono russo, il futuro Alessandro II, gli artisti tedeschi in Roma allestirono nel gennaio 1839 un’esposizione negli studi di Lindau, Elsasser, Reinhard e Catel (268).

Nell’atelier di quest’ultimo “si vedevano vari bei paesaggi dello stesso, soprattutto una marina di Venezia, qualche costume di Pollack” (269). Il principe visitò la mostra il 4 gennaio e dovette restare entusiasta se fece numerosi acquisti e ordinazioni che anche Catel ricevette (270); si dice che spese 300.000 franchi (271). I dipinti commissionatigli furono ultimati nel 1841 come si apprende dal Kunstblatt: “Roma 2 luglio Catel proprio ora ha terminato tre vedute di paesaggio per il gran principe ereditario di Russia: una gondola veneziana che scivola nella laguna, una veduta di Roma presa dalla passeggiata del Monte Pincio, e il cratere del Vesuvio, dove il cono bruciato delle scorie forma un impressionante contrasto con il popolo pieno di vita del golfo di Napoli” (272). Il 24 febbraio 1839 s’inaugurò la settima mostra d’arte ad Hannover con una nutrita rassegna di dipinti giunti da ogni parte d’Europa. Figurano quadri di storia, di architettura, di genere, paesaggi, tra i quali “si distinguevano quelli di Achenbach, C. Kaufmann, Catel ed altri”, marine e sculture (273).

Nell’aprile dello stesso anno venne aperta al pubblico l’esposizione della Associazione d’arte romana a Porta del Popolo, appena annotata dal Kunstblatt: - “La mostra era molto mediocre, ma offriva anche delle cose attraenti di C. Massimi, Ferrant, Haugk, Catel ecc.” (274). L’8 maggio 1840 Franz intraprese un viaggio per tutta la durata dell’anno attraverso la Francia, Inghilterra, Olanda e Germania, recandosi a Parigì, Londra, Bruxelles e Berlino dove giunse dopo due mesi (275). “Berlino 22 luglio - Lo stimato pittore di genere e paesaggio prof. Catel, membro dell’Accademia Reale delle Arti, dopo una permanenza di più anni in Italia è giunto di nuovo qui da Roma” (276).

A Berlino gli fu assegnato il 15 novembre dello stesso anno da parte del re di Prussia, il titolo di Professore (277) e fu insignito dell’ordine di Cavaliere dell’Aquila Rossa (278). Nell’autunno 1842 Catel insieme a J.J. Frey, A. Achenbach, Senff, Magnus, agli scomparsi Gmelin e Koch ed altri partecipò alla esposizione artistica di Berlino nella quale comparvero in maggiornza vedute (279). Specialmente i paesaggi tedeschi riscossero molti consensi, mentre i soggetti italiani non furono rappresentati come una volta e secondo il Kunstblatt sono da nominare solo i tre dipinti dell’Agricola raffiguranti i dintorni di Napoli (280). “meno vigorosa è l’esecuzione di qualche paesaggio di Catel, il quale però resterà sempre uno degli artisti più importanti per la composizione come dimostra soprattutto la sua Villa di Mecenate (vedi opera n. 26) (281).

Quando nell’ottobre 1843 August Kestner si recò a Napoli, come apprendiamo da una lettera del 21 ottobre inviata ad un suo nipote, incontrò dal pittore Götzloff anche Vogel von Vogelstein e Catel (282). “Questi, scrive, faceva in ogni momento ritratti di singolari persone che si incontravano là, tra i quali alcuni erano buoni” (283). All’inizio del 1844 la principessa Marianna di Prussia volle fare molti acquisti di arte moderna a Roma ed incaricò l’inviato von Buch che favorì soprattutto i suoi preferiti Catel e Senff “i quali né appartenevano ai più bravi né avevano bisogno di sostentamento” (284). Fino al 1845 Catel amministrò la Cassa per il sostegno degli Artisti Tedeschi (285), esistente sin dal 1815, alla quale lasciò tutti i suoi quadri e tutti i suoi “studi fatti sul vero, abbozzi, disegni ecc.” (286). Fu tra i promotori dell’Associazione degli Artisti Tedeschi nata nel 1845 a Villa Malta, dove furono compilati gli statuti e di cui diventò presidente nel 1852 (287). Oltre a tutto ciò con molta umanità portò sempre aiuto ai colleghi bisognosi. Nel 1847 il centro d’arte non potè organizzare un’esposizione tedesca a Roma per mancanza di locali adatti e la relazione annuale della presidenza si rammaricò di ciò perché in quell’anno erano disponibili nuove ottime opere di Rahl, Schrader, K. Müller, R. Lehmann, K. Becker, Catel ecc. (288). Questi continuò a viaggiare e a dipingere fino a tarda età, come risulta da un documento nel Pio Istituto Catel in cui è scritto che l’artista il 20 maggio 1846 prese in affitto “un camerone per uso studio di pittura, per tre anni” sito nel Collegio Greco a Roma in Via dei Greci n. 4 (289). Ferdinand Gregorovius riferisce nei suoi “Diari Romani” di aver incontrato a Paola la domenica del 2 ottobre 1853 il “pittore Catell” in compagnia della moglie (290), con la quale d’altronde “visitò tutta l’Italia (291), viaggiò nella Francia, corse più volte la Germania e la miglior parte dell’Europa” (292). Molto vecchio visitò ancora una volta la Germania nel 1855 (293). Catel trascorse la sua ultima estate fra il mare di San Benedetto e Valleripa presso Macerata. Si ha notizia di ciò da una sua lettera datata “Valleripa 13 settembre 1856” nella quale si propose di tornare “al principio o al più tardi alla metà di ottobre” a Roma (294). Qui Franz Catel morì il 19 dicembre 1856. Il Deutsche Kunstblatt n. 3 del 1857 dà notizia della morte nel seguente modo: “Roma - Ho da informarvi di un lutto che in patria susciterà lo stesso generale cordoglio che qui ha prodotto. Il nostro artista più importante, il Professor Catel di Berlino, è deceduto qui il 19 dicembre in conseguenza di una violenta infreddatura contratta già da tempo. Il Catel era notoriamente un maestro in tutti i rami della pittura, insuperato però fra gli artisti moderni nella rappresentazione di soggetti paesistici per la verità e la fedeltà della concezione, per l’accessibilità e lo splendore dell’esposizione. Egli proviene dalla colonia francese di Berlino, si era stabilito molti anni or sono a Roma ed ha raggiunto l’età di quasi 80 anni. Egli ha lasciato un notevole patrimonio dato che i suoi quadri si sono venduti sempre ai prezzi più alti. Con sorpresa di molti egli è stato portato nella chiesa di Santa Maria del Popolo, sacerdoti cattolici hanno celebrato una Messa funebre ed egli è stato sepolto nel cimitero cattolico. Era considerato dai suoi compatrioti un “Riformato”. Il suo testamento è un modello di amore cristiano. Dato che è morto senza figli ha lasciato il suo notevolissimo patrimonio, (100.000 talleri) (295), come fondo privato per fondazioni per artisti bisognosi ed infortunati tedeschi ed italiani”. In verità egli istituì eredi per una metà sua moglie e per l’altra un’opera pia, stabilendo nel testamento (296) che “fra i bisognosi tedeschi saranno eccettua ti gli artisti esistendo già per questi una cassa di soccorso la quale ho considerato fra i miei legati. Al contrario tra gli italiani saranno preferiti gli artisti, cioè pittori, scultori e altri di tal genere, perché questi non hanno, come gli artisti tedeschi, una cassa stabilita a loro particolare sollievo”. Però Catel non si dimenticò dell’altra fondazione nel suo testamento, nel quale si legget: “Lascio alla Cassa dei Sussidi degli Artisti tedeschi tutti i miei quadri, i quali alla mia morte non saranno venduti, o di questi non avrò altrimenti disposto come pure tutti i miei studi fatti sul vero, abbozzi, disegni ecc. per venderli al più offerente, in dettaglio o in intero, come più vantaggioso sembrerà agli amministratori di detto istituto, ma prima di fare l’esperimento della vendita all’incanto desidero che sia supplicato Sua Maestà il mio grazioso sovrano a voler fare l’acquisto di questa collezione di studi e di disegni fatti in tutte le parti dell’Italia per suo piacere particolare proprio, o per uso dalla Regia Accademia delle Belle Arti a Berlino, sempre a profitto di questo sunnominato benefico Germanico Istituto, e di pagarla a ragione di una stima di una commissione di artisti che Sua Maestà vorrà degnarsi di fare nominare a questo effetto pelsuo rappresentante in Roma” (297). La seguente lettera del 19 marzo 1857 è la risposta alla richiesta di Catel: “Il ministro di Prussia presso la S.S. ha l’onore di fare consapevole i signori avvocati Buti e Alessandri che Sua Maestà il Re di Prussia non si è degnata di accettare l’acquisto degli studi in oglio ed altri lasciati dal fu Cav.re Catel” (298). Questi nominò amministratori del Pio Istituto “i signori Principe Marcantonio Borghese, Sig. Giacomo Benucci, S. Commendatore Tenerani, Sig. avv. Filippo Ricci, Sig. avv. Cesare Buti, Sig. avv. Giuseppe Alessandri; per i tedeschi Sig. Emilio Wolf, Sig. Kopfgartn” (299). Inoltre scrisse nel testamento: “Prego poi Sua Eccellenza il senatore di Roma pro tempore di voler presiedere il consiglio di detti amministratori, e proteggere con la sua autorità l’Istituto, e nel caso che non volesse e non potesse accettare tale incarico, autorizzo gli amministratori medesimi di sceglie re a maggioranza di voti un altro Presidente”. Ancora oggi questa fondazione svolge la funzione assegnatale dall’artista in Viale Trastevere n. 85 con il nome di “Pio Istituto Catel”.

La tomba fu trasportata dal cimitero cattolico nella chiesa di S. Maria del Popolo dove fu posto un busto in marmo scolpito dal suo amico Julius Troschel e terminato il 25 agosto 1857 (300). Nel monumento funebre si legge come data di morte 14 gennaio 1857 ma ciò è accaduto perché lo scalpellino ebbe in quell’anno l’incarico di eseguire l’iscrizione qui riportata: “Francisco Catel Frider. F. Berolinen. - Pictori Egregio Equiti Aquila Borussiaca - In Praecipua Per Europam Artificum Collegia Cooptato-Et in Berolinensi Picturae Tradendae Doctori-Qui Ut Indigenis Germanis Et Ingenuas Artium Cultorib. Italis-Subsidia Pararet-Pecuniam Eis Mutuam Gratuitam Ex Substantia Sua-Dari Testamento Jussit-Margarita Uxor Cum Lacrimis-Pius Vixit An. P.M.LXXVIII-Decessit XIV Calen. Ianuari. An. M. DCCC. LVII”. Il busto della consorte, conservato presso il Pio Istituto Catel, viene “attribuito a Troschel” (301), come dice il Geller, il quale suppone che lo abbia modellato da un ritratto disegnato a Roma da W. Hensel nel marzo 1824 e anch’esso conservato nel Pio Istituto (302). Qui si conserva un rilievo in cera dei coniugi Catel di Francesco Bianchi. Inoltre Margherita Prunetti commissionò allo scultore Francesco Fabi Altini un nuovo monumento con ambedue i busti attualmente posto nel cimitero del Verano. Una lettera di Adolfo Senff del 19 febbraio 1862, piena di tristezza ma anche di una profonda amicizia ricca di sinceri sentimenti, ci riporta d’un balzo indietro nel tempo, alle gioiose feste di casa Catel, “Carissima Ghita, non è colpa mia che questa lettera, destinata per il 22 febbraio, Vostra Festa, verrà in mano Vostra diversi giorni dopo la festa… Nelle ultime settimane io era sempre, poco o più, malatuccio e in questo stato non vi voleva scrivere una lettera, destinata alla Giornata Vostra. Oggi pure non mi sento meglio, anzi il mio male è ogni giorno aumentato! ma, sento in me desiderio, di non ritardare più, a mandarvi i segni dell’amicizia mia per quel giorno 22, che tante e tante volte abbiamo celebrato insieme a Roma con tanta illarita e armonia amichevole! Vi ricorderete, che io sempre veniva da voi, la mattina del 22 Febbi, più a buon ora del solito, per augurarvi tutto quel bene, che potrebbe voi stessa desiderare; e quei medesimi augurii, anche oggi vi porto, - benché non personalmente - per mezzo di questo foglio scritto, ma sempre ancora con questi sentimenti d’amicizia antica, e colla gratitudine per tutti. Momenti agradevovi, che io poteva godermi in Casa Vostra per tanti anni della mia vita Romana lunga (303). Margherita Prunetti per tutto il resto della vita volse le sue cure all’ amministrazione del suo capitale e agli interessi dell’opera Pia. Alla sua morte, avvenuta il 28 febbraio 1874, ella nominerà erede di tutti gli averi il Pio Istituto, completando così l’opera del suo amato Catel (304).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE AL CAPITOLO I

 

(1) Solo GELLER, Monaco 1961, p. 498 dà come anno di nascita il 22.5.1778. Tutti gli altri libri e dizionari riportano il 22.2.1778, compreso lo altro del GELLER, 1952, p. 45.

 

(2) I nomi dei genitori risultano soltanto dal certificato di matrimonio datato 28.9.1814 depositato nell’archivio del Pio Istituto Catel (P.I.C.) in “F. Catel e M. Prunetti, documenti originali, corrispondenza e interessi vari”. Particolarmente importanti e utili sono state le notizie attinte dall’archivio del P.I.C., gentilmente messomi a disposizione.

 

(3) BUONARROTI, 1874, vol. IX p. 142.

 

(4) LICHTENBERG – JAFFÉ, 1907, p. 69.

 

(5) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte…” p. 2, depositato nel P.I.C. alla lett. B, pos. I. fasc. 3. Questo “condensato” in italiano è stato tratto dalla minuta della monografia del Geller, come si apprende dal verbale del 5 luglio 1957 nel P.I.C., “Il consigliere prof. Fielder informa che il prof. H. Geller di Dresda..., ha inviato la minuta di una monografia relativa all’attività artistica del Catel stesso. Il consiglio delibera innanzitutto di disporre una traduzione in italiano di tale monografia e di assegnare lire 100.000 al suo autore a titolo rimborso spese”. La stessa notizia è riportata a pag. 3 della prefazione alla commemorazione del centenario della morte di Catel tenuta il 6.2.1958. In essa si dice che dalla “biografia scritta in tedesco, completata e in attesa di pubblicazione dello scrittore e critico d’arte H. Geller di Dresda, per gentile concessione dell’autore ne è stato inserito un condensato tradotto in italiano in quel volume compilato a cura del Pio Istituto Catel”. Ciò è documentato nel P.I.C. alla lett. B, pos. I, fasc. 5. Lo scritto del Geller, che anche in alcuni libri è dato “in preparazione”, vedi ANDREWS, 1964, p. 108, non è mai stato pubblicato, forse anche per la morte dell’autore avvenuta nel 1962. Infatti non avendo trovato il libro in nessuna biblioteca di Roma, per ben due volte l’ho richiesto in Germania tramite il “Goethe Institut” ma ho avuto risposta negativa. Il libro mi risulta ancora in fase di abbozzo come ho appreso dalla viva voce della dottoressa Bang.

 

(6) Ibidem; Ludwig Friedrich Catel nacque a Berlino nel 1776 e morì il 15.11.1819.

 

(7) Ibidem p. 2; D. Chodowieki (1726-1801) nel 1797 fu nominato direttore dell’Accademia d’Arte di Berlino e illustrò fra le tante opere di letteratura “Hermann und Dorothea” (NOVOTNY, 1971, p. 61).

 

(8) GELLER, Monaco 1961, p. 498.

 

(9) Ibidem; NAGLER, 1835, vol. II, p. 435.

 

(10) ANDREWS, 1964, p. 2.

 

(11) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte…” p. 2.

 

(12) Ibidem; GELLER, Monaco 1961, p. 498.

(13) GROTE, 1948, p. 65; WILLIAMSON - LITT, 1964, vol. I, p. 269.

 

(14) GROTE, 1948, p. 65.

 

(15) Ibidem.

 

(16) Cfr. nota 8.

 

(17) Ibidem; in “F. Catel nel centenario della morte…” a p. 3 si legge: - “Egli eseguì ancora alcuni “rami” non molto riusciti in formato molto piccolo”.

 

(18) N.D. BIOGHAPHIE, 1957, vol. III, p. 175.

(19) BUSIRI VICI, 1957-58, vol. III, p. 26.

 

(20) GELLER, Monaco 1961, p. 498.

 

(21) Ibidem.

 

(22) GROTE, 1948, p. 63.

 

(23) Cfr. nota 20.

 

(24) Cfr. nota 22.

 

(25) Ibidem; G. Schadow (1764-1850).

 

(26) Cfr. nota 20.

 

(27) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte...” p. 3.

 

(28) GROTE, 1948, p. 65.

 

(29) NAGLER, 1835, vol. II, p. 435.

 

(30) Cfr. nota 28.

 

(31) GROTE, 1948, p. 63.

 

(32) Ibidem.

 

(33) Ibidem; Ludwig Tieck scrisse nel 1798 la novella “I viaggi di Franz Sternbald” che descrive le avventure di un artista tedesco del tempo di Dürer (ANDREWS, 1964, p. 13).

 

(34) Cfr. nota 28.

 

(35) Ibidem.

 

(36) Cfr. nota 31.

 

37) Ibidem.

38) GROTE, 1948, p. 64.

39) Ibidem.

40) THIEME BECKER, 1966, vol. VI, p. 180.

 

41) BOETTICHER, 1948, vol. I, p. 173.

 

42) Cfr. nota 40; A.D. BIOGRAPHIE, 1876, vol. IV, p. 70.

 

43) NAGLER, 1835, vol. II, p. 435.

 

44) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte...” p. 4.

 

45) Cfr. nota 149.

 

46) BOETTICHER, 1948, vol. I, p. 173; cfr. nota 44.

 

47) Ibidem; l’acquerello fu inciso nel 1811 dal Freidhof (THIEME BECKER, 1966, vol. VI, p. 181).

 

48) GELLER, Monaco, 1961, p. 499.

 

49) Ibidem.

 

50) BUSIRI VICI, 1957-58, vol. III, p. 26.

 

51) GELLER, Monaco 1961, p. 498.

 

(52) Ibidem; NAGLER, 1835, vol. II, p. 435. Diversamente, GROTE, 1948, p. 65 scrive che Catel “si recò a Parigi per dipingere soffitti del generale Clarke.

 

(53) GROTE, 1948, p. 66. A.G. Oehlenschlaeger (1779-1850).

(54) Cfr. nota 44.

 

(55) Ibidem.

 

(56) NAGLER, 1835, vol. II, p. 435.

 

(57) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte...” p. 5.

 

(58) Ibidem.

(59) LICHTENBERG-JAFFE’, 1907, p. 69.

(60) A.D. BIOGRAPHIE, 1876, vol. IV, p. 70; CHAMPLIN-PERKINS, 1969, vol. I, p. 254; NOACK, 1927, vol. II, p. 122.

(61) THIEME BECKER, 1966, vol. VI, p. 181.

(62) ANDREWS, 1964, p. 23.

(63) NOACK, 1907, p. 159.

(64) ANDREWS, 1964, p. 38.

(65) NOACK, 1927, vol. II, p. 122; 1907, p. 159.

(66) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte…”, p. 6.

 

(67) ESUBERT, 1878, vol. I, p. 246: J.A. KOCH (1768 -1839) dal 1795 al 1812 venne in Italia per la prima volta, da quest’anno al 1815 soggiornò a Vienna e dopo questo breve periodo si stabilì definitivamente a Roma.

(68) BUSIRI VICl, 1957-58, vol. III, p. 27; POENSGEN, 1957, p. 28.

 

(69) ANGELI, 1930, p. 23.

 

(70) Cfr. nota 68.

 

(71) GELLER, “F. Gatel nel centenario della morte…”, p. 7. IL THIEME BECKER, 1966, vol. VI, p. 180, riporta che Catel “già nel 1813 aveva condotto l’archeologo francese Millin a Pompei...”.

(72) Ibidem.

 

(73) GELLER, Monaco, 1961, p. 499.

 

(74) Ibidem.

 

(75) NOACK, 1907, p. 156.

 

(76) Ibidem.

 

(77) BUSIRI VICI, 1957-58, vol. III, p. 28.

 

(78) Ibidem.

 

(79) Cfr. certificato di matrimonio nel P.I.C. in “F. Catel e M. Prunetti, documenti originali, corrispondenza e interessi vari”.

 

(80) NOACK, 1907, p. 428.

 

(81) BUONAROTI, 1874, vol. IX, p. 139.

 

(82) Cfr. certificato di battesimo nel P.I.C. in “F. Catel e M. Prunetti, documenti originali, corrispondenza e interessi vari”.

 

(83) NOACK, 1907, p. 169. J.S. BARTHOLDY (1779-1825), p.

(84) GELLER, “F. Catel, nel centenario della morte...”, p. 6.

 

(85) ANDREWS, 1964, p. 35.

 

(86) Cfr. l’offerta di vendita del dipinto al P.I.C. da parte di Clotilde Zuccari, P.I.C. lett. B., pos. 7, fasc. 3. L’opera misura cm. 119 x 118.

 

(87) Cfr. l’offerta di vendita del 3.12.1890 al P.I.C. da parte Enrico Zuccari, P.I.C. lett. B, pos. 7, fasc. 2.

 

(83) Cfr. nota 86.

 

(89) Cfr. nota 85. Il GELLER, Roma 1961, p. 23, afferma che furono staccati e trasportati nel 1888.

 

(90) Cfr. “lavoro riordinamento archivio e ricerca notizie sui quadri”, p. 2 nel P.I.C.

 

(91) Cfr. nota 87.

 

(92) SEUBERT, 1878, vol. I, p. 246; NAGLER, 1835, vol. II, p. 436. I seguenti dizionari riportano discordanti notizia sull’identità del "Gàllinin”. Il BOETTICHER, 1948, vol. I, p. 173 “principe Galizin”; MÜLLER-SINGER, 1895, vol. I, p. 237 “principessa Galizin”; THIEME BECKER, 1966,vol. VI, p. 180 “principessa Galitzin”; RUHMER-GOLLEK-HEILMANN-KÜHN-LÖWE, 1969, p. 84 “come accompagnatore della principessa Galitzin”.

 

(93) THIEME BECKER, 1966, voi. VI, p. 180.

 

(94) NOACK, 1927, vol. I, p. 409.

 

(95) GIORNALE ARCADICO, 1819, vol. IV, p. 103.

(96) Ibidem.

(97) Ibidem, p. 105.

(98) Ibidem, p. 104.

(99) Cfr. nota 97.

(100) KUNSTBLATT, 27.3.1820, n.. 25, p. 100.

(101) KUBSSBLATT, 17.8.1820, n. 66, p. 263.

(102) GELLER, Monaco 1961, p. 499.

 

(103) GELLER “F. Catel nel centenario della morta…”, p. 14.

 

(104) Cfr. nota 102.

 

(105) GELLER, 1952 , p. X. Ludwig di Baviera venne a Roma per la prima volta nel 1805 (ANGELI, 1935, p. 189)

(106) NOACK, 1907, p. 174.

 

(107) Ibidem, p. 175.

 

(108) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte…”, p. 10.

 

(109) Cfr. nota 106.

 

(110) NOACK, 1912, p. 122.

 

(111) JORNS, 1964, p. 140.

 

(112) Cfr. nota 110.

 

(113) NOACK, 1912, p. 122.

 

(114) ANGELI, 1930, p. 23.

 

(115) ANGELI, 1935, p. 192.

 

(116) Ibidem.

 

(117) Cfr. nota 110.

 

(118) THIEME BECKER, 1966, vol. VI, p. 180.

 

(119) KUNSTBLATT, 20.5.1834, n. 40, p. 160.

 

(120) Cfr. nota 118. BOETTICHER, 1948, vol. I, p. 174.

 

(121) GELLER, Monaco 1961, p. 499.

 

(122) Cfr. lett. A, pos. I, fasc. 2 nel P.I.C. Cfr. Cap. II nota 98.

 

(123) NOACK, 1912, p. 151.

 

(124) NOACK, 1907, p. 180.

 

(125) Cfr. nota 124.

 

(126) Ibidem.

 

(127) ANGELI, 1935, p. 110.

 

(128) KUNSTBLATT, 1819, n. 7, p. 25.

(129) NOACK, 1907, p. 180.

(130) Ibidem.

 

(131) THIEME BECKER, 1966, vol. VI, p. 180.

 

(132) Cfr. nota 129.

 

(133) Ibidem.

(134) Cfr. nota 128.

(135) KUNSTBLATT, 7.2.1820, n. II, p. 42.

(136) NOACK, 1907, p. 180.

(137) Ibidem, p. 181.

(138) Ibidem.

(139) Ibidem.

(140) Ibidem, p. 183.

(141) Ibidem.

(142) Ibidem.

(143) Ibid em.

(144) KUNSTBLATT, 7.2.1820, n. II, p. 42.

(145) Ibidem.

(146) KUNSTBLATT, 1819, n. 7, p. 26.

(147) NOACK, 1907, p. 182,

(148) Cfr. nota 146.

 

(149) KUNSTBLATT, 1819, n. 7, p. 26.

(150) Ibidem.

 

(151) Ibidem, p. 27.

 

(152) GIORNALE ARCADICO, 1819, vol. III p. 126.

 

(153) Ibidem, p. 127. Nell’elenco dei quadri e disegni lasciati in legato da Catel alla Cassa Sussidi Artisti Tedeschi, P.I.C. lett. A, pos. I, fasc. 2, si legge “Cartone: Rodolfo d’Asburgo”. Con tutta probabilità si tratta di uno studio del dipinto che figurò inoltre nell’esposizione artistica dell’accademia di Berlino del 1822 (BOETTICHER, 1948, vol. I, p. 173).

 

(154) GIORNALE ARCADICO, 1819, vol. IV, p. 378.

 

(155) Ibidem, p. 380; KUNSTBLATT, 30.3.1820, n. 26, p. 103.

 

(156) Ibidem.

(157) KUNSTBLATT, 16.4.1821, n. 31, p. 124.

(158) Ibidem.

(159) Ibidem.

 

(160) GIORNALE ARCADICO, 1819, vol, IV, p. 382; KUNSTBLATT, 30.3.1820, n. 26, p. 103.

 

(161) GIORNALE ARCADICO, 1819, vol. IV, p. 383.

 

(162) Ibidem, p. 384.

(163) Ibidem; KUNSTBLATT, 16.4.1821, n. 31, p. 124.

(164) Ibidem.

(165) KUNSTBLATT, 16.11.1820, n. 92, p. 367.

(166) Ibidem.

(167) Ibidem.

(168) THIEME BECKER, 1966, vol. VIII, p. 271.

(169) KERN, 1911, p. 73.

(170) NOACK, 1927, vol. I, p. 476.

(171) KUNSTBLATT, 3.3.1823, n. 18, p. 71.

(172) Ibidem.

(173) Ibidem, p. 72.

(174) Ibidem.

(175) Ibidem.

(176) KUNSTBLATT, 16.6.1823, n. 48, p. 189.

(177) Cfr. nota 95.

 

(178) Cfr. nota 176.

 

(179) KUNSTBLATT, 28.8.1823, n. 69, p. 275.

 

(180) NOACK, 1907, p. 428.

 

(181) GELLER, Monaco 1961, p. 500; LEWALD, 1927, pp. 123, 141.

 

(182) Ibidem.

 

(183) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte...”, p. 9. Thorvaldsen (1770-1844); Begas (1794-1854); Hensel (1794-1861); Grahl (1791-1868); T. Minardi (1787-1871); Schinkel (1781-1841).

(184) L’acquerello di Senff (1785-1863) si trova nel n. 78 dell’album.

 

(185) Nell’album del P.I.C. al n. 23 si conserva l’ acquerello del Klenze “Un gigante del tempio di Agrigento”. Nella collezione del cavaliere von Klense (1784-1864) si vedono soprattutto, come ci riferisce il KUNSTLBLATT del 14.4.1835, n. 30, p. 117, “paesaggi e quadri di genere dei più recenti e recentissimi maestri tedeschi, italiani e francesi con i quali l’eccellente architetto si è incontrato durante viaggi e riunioni artistiche.

Nella raccolta figurano dipinti di Catel, Koch, Rebel, Granet, ecc.”. Ciò testimonia maggiormente i contatti che ci furono fra i due artisti; vedi anche l’opera n. 8.

 

(186) Di Giacinto Gigante (1806-1876) si conservano nell’album ben quattro acquerelli firmati: “Il Serapeo di Pozzuoli”, Napoli 1835; “Pozzuoli”, 1845; “Paesaggio” e “Rovine di chiesa gotica”. Un’ulteriore conferma dei rapporti di Catel con il Gigante l’abbiamo nell’elenco dei quadri di quest’ultimo nel quale figura anche “un Catel” (ORTOLANI, 1970, p. 200).

 

(187) Rohden (1778-1868); Rittig (1789-1840); Elsasser (1810-1845); Rauch (1804-1847); Muyden (1818-1898); Werner (1808-1894); Haag (1820- 1915); Carelli (1818-1900); Vianelli (1803-1894).

 

(188) GREIFENHAGEN, 1963, p. 95.

 

(189) Ibidem.

 

(190) KUNSTBLATT, 15.6.1825, n. 65, p. 258.

 

(191) Ibidem, p. 259.

(192) Ibidem.

(193) KUNSTBLATT, 7.3.1825, n. 19, p. 76.

(194) Ibidem.

 

(195) KUNSTBLATT, 17.5.1824, n. 40, p. 158.

 

(196) Cfr. inventario del 9.6.1874 nel P.I.C. alla lett. A, pos. I, fasc.. 2. Cfr. cap. II

 

(197) Cfr. lett. A, pos. I, fasc. 2 nel P.I.C. Cfr. cap. II, nota 98. Il tema della grotta di Cervara e della sua festa fu trattato da moltissimi artisti tedeschi della prima metà dell’800 fra i quali W.F. Gmelin, J.C. Reinhart, C. Lotsch, L. Haach, ecc. (NOACK, 1912, pp. 206, 208, 213).

(198) ANGELI, 1935, p. 191; NOACK, 1912, p. 216.

(199) DE SANTIS, 1900, p. 128.

(200) Ibidem.

(201) ANGELI, 1930, p. 24.

 

(202) ANGELI, 1935, p. 191.

 

(203) DE SANTIS, 1900, p. 129

 

(204) Cfr. nota 202.

 

(205) Ibidem.

 

(206) ANGELI, 1935, p. 194.

 

(207) KUNSTBLATT, 7.5.1827, n. 37, p. 145.

(208) Ibidem, p. 146.

(209) BOETTICHER, 1948, vol. I, p. 174.

 

(210) KUNSTBLATT, 7.5.1827, n. 37, p. 147.

 

(211) Catalogo delle opere di Belle Arti esposte nel Palazzo del Real Museo Borbonico, Napoli, 1826.

 

(212) ORTOLANI, 1970, p. 202.

 

(213) Cfr. nota 211.

 

(214) Ibidem.

 

(215) ORTOLANI, 1970, p. 203.

 

(216) Cfr. foglio riguardantei meriti artistici che dovevano essere scolpiti sulla lapide del monumento funebre, scritto dall’avv. Giuseppe Alessandri nel maggio 1857, lett. B, pos. 8, fasc I nel P.I.C. L’autenticità del foglio con la firma dell’Alessandri è confermata da una lettera dello stesso avvocato del 31 maggio 1857, sempre nel P.I.C. alla lett. B, pos. 8, fasc. I.

(217) NOACK, 1927, vol. I, p. 504; 1907, p. 214.

(218) Ibidem; THIEME BECKER, 1966, vol. VI, p. 181.

 

(219) Cfr. nota 217.

 

(220) Ibidem.

 

(221) GELLER, Monaco 1961, p. 499.

 

(222) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte…” p. II.

 

(223) Cfr. nota 221.

 

(224) Cfr. nota 221 e 222.

 

(225) KUNSTBLATT , 13.8.1827, n. 65, p. 259.

(226) Ibidem, p. 260.

(227) KUNSTBLATT, 9.3.1829, n. 20, p. 77.

(228) Ibidem,, p. 78.

(229) Ibidem, p. 79.

(230) NOVOTNY, 1971, p. 221.

(231) KERN, 1911, p. 52.

(232) Ibidem.

(233) Ibidem.

(234) THIEME BECKER, 1966, vol, VI, p. 180; NOACK, 1927, vol. I, p. 502.

(235) NOACK, 1927, vol I, p. 502.

(236) DE SANTIS, 1900, p. 173.

(237) Ibidem, p. 174.

(238) GELLER, Monaco 1961, p. 500.

 

(239) Cfr. il codicillo al testamento del 16.6.1848, p. 3 nel P.I.C. alla lett. A, pos. 2, fasc. I. Di ciò che apparteneva alla “Biblioteca degli artisti tedeschi” e all’“Associazione degli Ar tisti Tedeschi” restano solo 4.000 volumi in possesso del “Goethe Institut”, essendo andato distrutto tutto il resto durante la II Guerra Mondiale. Ciò mi è stato riferito a voce nello stesso Istituto Germanico.

 

(240) MÜLLER-SINGER, 1895, vol. I, p. 237; THIEME BECKER, 1966, vol. VI, p. 181.

 

(241) BUONARROTI, 1874, vol. IX. p. 142.

 

(242) GELLER, Monaco 1961, p. 500.

 

(243) LUTTEROTTI, 1940, p. 102.

 

(244) Ibidem, p. 192.

(245) NOACK, 1927, vol. I, p. 607

(246) Cfr. nota 242.

 

(247) KUNSTBLATT, 11.1.1831, n. 3, p. 10.

 

(248) Ibidem, p. 9.

 

(249) CAUSA, 1956, p. 88; COMANDUCCI, 1971, vol. III, p. 1474.

 

(250) Cfr. nota 216.

 

(251) KUNSTBLATT, 15.1.1835, n. 5, p. 17.

 

(252) Ibidem, p. 18.

(253) KUNSTBLATT, 14.5.1835, n. 39, pp. 161, 162.

(254) BOETTICHER, 1948, vol. I, p. 174.

 

(255) KUNSTBLATT, 15.1.1835, n. 5, p. 19.

 

(256) Cfr. nota 253.

 

(257) KUNSTBLATT, 31.3.1836, n. 26, p. 104.

 

(258) Ibidem.

(259) NOACK, 1927, vol. I, p. 496.

(260) KUNSTBLATT, 30.3.1837, n. 26, p. 104.

(261) KUNSTBLATT, 11.5.1837, n. 38, p. 152.

(262) Ibidem.

(263) KUNSTBLATT, 20.7.1837, n. 58, p. 238.

(264) Ibidem.

(265) KUNSTBLATT, 31.8.1837, n. 70, p. 292.

(266) KUNSTBLATT, 6.11.1838, n. 89, p. 364.

(267) KUNSTBLATT, 20.9.1838, n. 76, p. 311.

(268) NOACK, 1907, p. 211; KUNSTBLATT, 26.2.1839, n. 17, p. 67.

(269) Ibidem.

(270) KUNSTBLATT, 19.3.1839, n. 23, p. 91.

(271) NOACK, 1907, p. 211. A. Kestner in una lettera del 3 febbraio 1839 indirizzata ad Hermann scrive: “Il Gran Principe erede al trono (Alessandro II) ha già speso più di 200/m franchi per acquisti d’arte ma non solo a Roma, qui ha comprato vari quadri tra cui di Catel -…” (JORNS, 1964, p. 294).

(272) KUNSTBLATT, 14.9.1841, n. 73, p. 307.

(273) KUNSTBLATT, 23.4.1839, n. 33, p. 131.

(274) KUNSTBLATT, 18.6.1839, n. 49, p. 196.

(275) KUNSTBLATT, 23.6.1840, n. 50, p. 215.

(276) KUNSTBLATT, 20.8.1840, n. 67, p. 284.

(277) KUNSTBLATT, 25.2.1841, n. 16, p. 63.

 

(278) BUSIRI VICI, 1957-58, vol. III, p. 29.

(279) KUNSTBLATT, 14.3.1843, n. 21, p. 89.

(280) Ibidem, p. 90.

(281) Ibidem, p. 91.

(282) JORNS, 1964, p. 345.

(283) Ibidem.

(284) NOACK, 1907, p. 279.

(285) THIEME BECKER, 1966, vol. VI, p. 180.

 

(286) Cfr. il codicillo al testamento del 16.6.1848, p. 2 nel P.I.C. alla lett. A, pos. 2, fasc. I. La donazione di Catel fu valutata “9.000 scudi” (REVUE DE L’ART CHRETIEN, 1857, vol. I, p. 94).

 

(287) Cfr. nota 285. Il NOACK, 1927, vol. II, p. 122, riferisce che Catel fu presidente nel 1852/53.

 

(288) NOACK, 1907, p. 283.

 

(289) Cfr. contratto di affitto nel P.I.C. in “F. Catel e M. Prunetti, documenti originali, corrispondenza a interessi vari”.

 

(290) GREGOROVIUS, 1895, p. 17.

 

(291) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte…” , p II, ci fa sapere che Catel si recò a Lucca, forse per ragioni di salute, a Milano, a Venezia, a Genova, ma non dice quando.

 

(292) BUONARROTI, 1874, vol. IX, p. 141.

 

(293) Cfr. nota 291.

 

(294) La lettera di Catel, tradotta in Italiano dallo originale tedesco, fu inviata al “Cav. C. Kobb Roma”, P.I.C. in “F. Catel e M. Prunetti, documenti originali, corrispondenza e interassi vari”.

 

(295) NOACK, 1927, vol. I, p. 607; GELLER, Monaco 1961, p. 500 riporta la somma di 120.000 talleri.

 

(296) Il testamento è stato scritto il 16.5.1848 ed è stato collocato nel P.I.C. alla lett. A, pos. 2, fasc. I.

 

(297) Ibidem.

 

(298) Cfr. “F. Catel e M. Prunetti, documenti originali, corrispondenza e interessi vari”, nel P.I.C..

 

(299) Cfr. nota 296.

 

(300) Si apprende ciò da una lettera dello stesso Troschel depositata nel P.I.C. alla lett. B, pos. 8, fasc. I.

 

(301) GELLER, Roma 1961, p. 40.

 

(302) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte”, p. 16. Il disegno si trova nell’album del P.I.C. al n. 41 e reca come firma una W.

 

(303) Cfr. nota 298.

 

(304) BUONARROTI, 1874, vol. IX, p. 145.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO II

CATALOGO DELLE OPERE

 

Ad eccezione della miniatura del Grahl, tutti i dipinti, disegni e incisioni presenti nel P.I.C., di cui fornisco la riproduzione fotografica, provengono dall’appartamento di Piazza di Spagna n. 9. Qui, dopo la morte di Margherita Prunetti, fu stilato il 9.6.1874 un inventario di tutte le opere esistenti in sede e riportato integralmente nel paragrafo 5. Nello stesso è citato l’elenco di opere che Catel lasciò in legato alla Cassa Sussidi Artisti Tedeschi. Nella casa di Piazza di Spagna restarono per lo più tutti quei bozzetti, come dice il Geller, “che mai vendeva, dato che gli servivano come attrezzi per dipingere” (1), quei dipinti e quelle incisioni che Catel donò alla moglie. Si legge nel codicillo al testamento del 16.6.1848 a p. 2: “Lascio alla mia consorte i due quadri rappresentanti vedute delle mie possessioni a Macerata, ed a Pontemolle, e tutti i ritratti dei quali disporrà a suo piacere o secondo le mie disposizioni comunicatele a voce”. “La mia consorte, inoltre aggiunge a p. 3, potrà scegliere dalle mie stampe quel che gli piacerà conservare” (2). Nel P.I.C. sono stati compilati altri inventari delle medesime opere, uno il 31.12.1908 ed un altro il 21.10.1945. I numeri che si leggono a fine intestazione di ogni scheda corrispondono a quelli posti sul retro del quadro e anche dell’ultimo inventario del P.I.C.. I dipinti del paragrafo 1 sono stati catalogati secondo l’ordine cronologico più attendibile, eccetto i numeri 23, 24, 25, per i quali non è stato possibile avanzare ipotesi abbastanza pertinenti sulla datazione. Quelli del paragrafo 2 invece sono ordinati per soggetto. Tutte le pitture ad olio di Catel si devono datare a dopo il 1811 per le notizie riferite nella biografia.

Non si conoscono altre opere di Catel a Roma ed anche R. Causa scrive a proposito dell’artista berlinese: “Non conosco dipinti ad olio conservatisi nelle collezioni pubbliche o private napoletane” (3).

1) OPERE DI CATEL DI CERTA ATTRIBUZIONE

1) F. Catel e John James Rubby “L’ETÀ DELL’ORO”, olio su tela cm. 54,9x87,6. Copenhagen, Museo Thorvaldsen.

Il quadro è una copia tratta da un disegno di A.J. Carstens. Mentre il catalogo del Museo Thorvaldsen lo data al 1812, attribuendo il paesaggio a Catel e le figure a J.J. Rubby (4), il Lutterotti al 1811 e lo riconosce come “copia di Koch” (5). Il dipinto è povero di vita, le persone e la natura, fin troppo studiate e manierate, ripetono schemi ed elementi logori, solo verso il fondo la natura conserva una tenue morbidezza.

BIBLIOGRAFIA: Katalog Thorvaldsen Museum, 1975, p. 196.

2) “L.F. CATEL CON SUA MOGLIE IN UNA LOGGIA A ROMA”, quadro ad olio. Berlino, Concistoro Evangelista Berlino Brandemburgo.

Il dipinto (6) si deve datare al 1812 e non a “circa il 1811” come propone il Geller (7) perché L. Catel risiedette in Italia dall’estate di quest’anno all’autunno 1812 (8) e Franz venne a Roma solo alla fine del 1811. Lo stesso critico descrive in modo generoso l’opera, affermando che: “Una delle immagini più originali, un doppio ritratto, è quella che raffigura suo fratello Ludwig con la moglie nella loggia di una casa romana. Il grande quadro, rifinito in modo pulitissimo, è molto attraente, per i colori e ci mostra i coniugi certamente molto rassomiglianti, ma in maniera un po’ rigida, seduti come in una fotografia davanti a un panorama della Città Eterna” (9). Il neoclassicismo è ridotto all’estremo della freddezza, dell’esecuzione cerebrale, della messa in mostra di oggetti retorici, falsi e stucchevoli. Le figure, simili al grande capitello, sono esangui, assenti, incomunicabili; la luce gelida ristagna nella scatola cubica e si ha l’impressione di essere in un mondo quasi metafisico.

3) “IL TEATRO GRECO DI TAORMINA”, olio su tela cm. 100x139. Monaco, Staatsgemaldesammlungen.

L’opera di Catel sembra in rapporto con il viaggio in Sicilia ch’egli intraprese nel 1818 e “verosimilmente deve essere collocato al termine di quel viaggio”. Anche il Geller ci fa sapere che “il bel dipinto nacque in Sicilia” durante il secondo soggiorno (10). Il suo quadro “non ha la finezza nell’esecuzione del dettaglio, non ha la magia coloristica e la luce smagliante del cielo meridionale, come poi la troviamo nei quadri più recenti. Esso è tirato giù con vigorosi contorni; e su questi assai più che nei colori risiede il suo affetto. Proprio attraverso la sobrietà dei particolari l’artista mette in moto la fantasia dello spettatore… Il punto da cui si gode questa bella veduta appartiene ai più splendidi dell’Europa e del mondo… Forse Catel con la sobrietà del suo pennello ottiene di più di quanto avrebbe potuto conseguire un virtuoso del colorito” (11). Così si esprime von Schack nel 1889 ma la pittura merita qualcosa di più. Il pennello acquerellato sfiora delicatamente le antiche rovine e i bei particolari pieni di vita, resi con immediatezza e freschezza poetica. La modernità del paesaggio ha pochi eguali nel tempo, specie in Italia. Probabilmente acquistato da Schack dal lascito del maggiore generale von Heideck; 1869. La stessa veduta fu dipinta un po’ più tardi da Giacinto Gigante (12).

BIBLIOGRAFIA: E. Ruhmer, R. Geller, C. Heilmann, H. Kühn e R. Löwe, 1969, pp. 83/85, tav. 5; Schack, 1889, p. 205.

4) “IL GOLFO DI NAPOLI CON IL VESUVIO VISTI DA QUISISANA”, quadro ad olio. Copenhagen, Kgl. Gemäldegalerie.

Questo felice studio di natura, eseguito dal vero, è difficile concepirlo al di fuori dell’esperienza che Catel ebbe con il Dahl ed anzi si può affermare che appartenga a quel periodo e precisamente all’agosto 1820 (13). L’ipotesi deriva da un dipinto del Dahl del 14 agosto 1820 che ritrae lo stesso paesaggio con identica composizione ma con il punto di vista leggermente spostato a destra (14). La veduta del golfo, priva di qualsiasi compiacimento pittoresco e di maniera, è colta nella sua vibrante realtà, semplice, scarna, e intensamente poetica e superiore per molti aspetti a quella del pittore norvegese. Il taglio del paesaggio, la assenza delle figure, l’abbreviamento della resa pittorica, il pennello fluido, veloce conferiscono all’opera una straordinaria modernità che può avere un solo precedente in Constable, e un diretto continuatore in Corot.

BIBLIOGRAFIA: Kern, 1911, p. 85.

5) “PAESAGGIO AL TRAMONTO DEL SOLE”, olio su tela cm. 15,7x24,1. Copenhagen, Museo Thorvaldsen.

Certamente si tratta di uno studio per l’immediatezza e velocità di esecuzione, per la sommarietà delle forme e per le piccolissime dimensioni della tela. La pennellata guizzante come la veduta elementarizzata che esclude ogni concessione al descrittivo sono tipicamente pitloiane e ciò è veramente straordinario. Il Pitloo solo verso il 1830 comincia a manifestare la sua pennellata sintetica e scattante così che per evidenti motivi stilistici non si può collocare oltre questo stupendo bozzetto. Infatti, in questi anni in Catel c’è decisamente l’abbandono delle avventure pittoriche per il recupero classicheggiante, per la composizione studiata e lavorata. Molto probabilmente quindi la si deve datare ai primi anni del 1820 per le strette relazioni liriche e figurative con il dipinto precedente. La modernità di questa pittura è davvero sorprendente e per quel tempo precorritrice della migliore Scuola di Posillipo.

BIBLIOGRAFIA: Katalog Thorvaldsens Museum, 1975, p. 196.

6) “CALESSE NAPOLETANO CON MONACO E MONACO”, olio su lastra di latta di ferro cm. 22x31, datato 1822. Berlino Ovest, Nationalgalerie.

Il dipinto inizialmente era stato concepito con una figura in meno, con il Vesuvio e le case sullo sfondo, come si vede nel disegno n. 86. Il paesaggio poi è stato sostituito con la veduta dell’isola di Capri sulla sinistra e le case di Margellina sulla destra. Questo squisito studio con il seguente pendant si pone come immediato precursore della ormai nascente Scuola di Posillipo per le sottili notazioni naturalistiche, specie nell’arioso e luminoso paesaggio, per la leggerezza e immediatezza del tocco, per il soggetto reinterpretato in una personale composizione asciutta e vigorosa. La scena è resa vivace e movimentata dal veloce trascorrere del calesse e delle nubi, dai primi piani in ombra bilanciati dal nitore del cielo.

L’opera apparteneva alla collezione Wagenersche e figurò nell’esposizione artistica dell’Accademia di Berlino nel 1824 (15).

BIBLIOGRAFIA: Katalog Nationalgalerie Berlin, 1968, p. 4.

7) “GOLFO DI NAPOLI CON FRUTTIVENDOLO”, olio su lastra di latta di ferro cm. 22x31, datato 1822. Berlino Ovest, Nationalgalerie.

Faceva parte, come il precedente, della collezione Wagenersche (16). Singolare è il taglio e l’impaginazione di questo eccellente quadretto con lo stagliarsi della famiglia contro il mare e il Vesuvio, evidenziati dalle ali sceniche che si oppongono alla larga e quieta stesura del fondo per la mobilità del tessuto pittorico. La scena è di una semplicità e purezza che affascina. Notevole è lo studio dell’aria, della luce solare e della giustapposizione di chiari e scuri; egregiamente accennati sono il vulcano e Napoli con la vista, parzialmente coperta, dal castello dell’Ovo.

8) “IL PRINCIPE EREDITARIO LUDWIG DI BAVIERA ALLA OSTERIA SPAGNOLA DI RIPA GRANDE A ROMA”, olio su tela cm. 63x73, firmato e datato 29.2.1824. Monaco, Neue Pinakothek.

Sul lato posteriore vi è la data e l’elenco dei personaggi (17). Il dipinto gli fu commissionato dal principe che era grande amatore d’arte e protettore di molti artisti (18). In esso vediamo l’oste Raffaele Anglada mentre porta altre bottiglie al gruppo di amici che stanno per brindare. Si distingue primo fra tutti, con il braccio sinistro alzato, il principe Ludwig. Alla sua destra, facendo il giro del tavolo, sono riconoscibili Leo von Klenze, il suo architetto preferito, lo scultore Johann Maria von Wagner, Philipp Veit, il medico di corte, J. Nepomuk von Ringseis, Schnorr von Carolsfeld, Hofmarschall von Gumppenberg, Franz Catel, il conte K. Seinsheim e lo scultore danese Thorvaldsen. Sullo sfondo si scorgono i colli Aventini, con la chiesa di Santa Sabina sulla sinistra e di Sant’Alessio sulla destra. “L’osteria con i vini spagnoli” veniva per scherzo chiamata la “stanza di Raffaello” perché gli artisti lavoravano più diligentemente qui che nelle stanze affrescate del Vaticano. L’opera è certamente fra le più note dell’artista e senz’altro fra le più riuscite. Vi si nota una sottile descrizione degli oggetti e dell’ambiente e di una felice caratterizzazione dei personaggi che danno al quadretto un’intrinseca vitalità. La scena, dalle tinte delicate così vere ed inconsuete per quel tempo a Roma, ha la freschezza di un bozzetto.

BIBLIOGRAFIA: Andrews, 1964, p. 108, tav. 34a; Boetticher, 1948, vol. 1°, p. 174; Geller, 1952, tav. 57, n. 146.

9) “SCHINKEL A NAPOLI”, olio su tela cm. 62x49, datato 1824. Berlino Ovest, Nationalgalerie.

“Catel dipinge per me un piccolo quadro con la mi persona; è la mia finestra a Napoli con la vista sul mare e su Capri. Questo sarà il tuo regalo di Natale”. Così scrisse Schinkel alla moglie durante il suo soggiorno in Italia. Giunto a Napoli il 5 settembre 1824 annotò nel diario: “Abbiamo ottenuto nell’albergo Grand’Europa un appartamento costoso, ma bello, dal quale vediamo proprio sotto di noi il giardino e la casa dove abitava il nostro re (Casino del Chiatamone) e dietro il mare con la veduta di Capri….

Gli alberi del giardino intersecano questo bellissimo quadro qua e là con le loro cime, con ciò acquista vivace leggiadria”. Lo stesso Schinkel riferisce da Roma il 23 ottobre 1824: “Prestissimo, prima delle sette, sono andato da Catel, che mi voleva dipingere in un quadro raffigurante una stanza a Napoli, dalla cui finestra aperta si vede il mare con l’isola di Capri e gli alberi sotto la finestra di Villa Reale (al Chiatamone), precisamente così come vi ho vissuto”. La tela solo parzialmente fu eseguita a Napoli; la persona, come l’effigiato fa sapere, fu “dipinta dentro” a Roma, molto probabilmente dal Peloponneso e il candelabro, o meglio supporto per lampada, appartiene ad un gruppo di candelabri romani di Pernice datati al tempo di Augusto. La personale interpretazione dell’autore conferisce all’opera di ispirazione classica freschezza e atmosfera poetica. La purezza delle linee ben si accorda con il pennello morbido e acquerellato che con delicato giuoco di luci e di ombre plasma l’intera stanza. Dalla finestra, così vibrante di riflessi, si apre con notevole prospettiva il paesaggio assolato che dona al dipinto ariosità, luminosità e spazialità. All’orizzonte appena si delinea Capri, “l’isola che Schinkel amava particolarmente per la bella forma della sua roccia, simile al cristallo”. Anche la figura è ritratta in modo sensibile, come la tenda che va ad arricchire la bella natura morta posta quasi a controbilanciare la persona del noto architetto.

BIBLIOGRAFIA: Katalog Nationalgalerie Berlin, 1968, p. 4; Greifenhagen, 1963, pp. 91/95.

10) “UN PESCATORE NAPOLETANO E LA SUA FAMIGLIA”, olio su tela cm. 22x48,4. Copenhagen, Museo Thorvaldsen.

Sullo sfondo è visibile il Vesuvio con il castello dell’Ovo. Il dipinto di Dahl, “una grotta vicino Napoli” del 15 novembre 1820 è simile a questo di Catel per l’identica impaginazione e per la stessa veduta del castello e del Vesuvio, ma presi più sulla sinistra (19). Se ne distacca però per una maggiore essenzialità, per l’assenza delle figure, se si esclude la macchietta del barcaiolo e per un piccolo scorcio della città. Non è escluso che queste due opere siano nate da quel felice incontro, in un reciproco scambio d’idee. La pittura d’altra parte si deve riferire ai primi anni della seconda decade del 1800 per un sobrio sapore neoclassico che l’avvicina al n. 9. Maestrevolmente reso e vivo è il brano di natura morta sia sulla destra che sulla sinistra. Ogni singolo oggetto è colto nella sua ricchezza materica e trattato con estrema sensibilità e poeticità. Viene spontaneo il ricordo dei fiamminghi. Anche le figure soprattutto il pescatore, sono ottimamente disegnate e rese con schietto realismo. Il pennello , con leggere velature e morbidezza di ombre conferisce all’opera una straordinaria freschezza.

BIBLIOGRAFIA: Katalog Thorvaldsen Museum, 1975, p. 196.

11) “PASTORI ITALIANI”, olio su tela cm. 49x38, firmato e datato. Amburgo Kunsthalle.

È firmato in basso a destra “F. Catel f. Rom 182 (il quarto numero è illeggibile). Lascito della signora Therese Halle, nata Heine (1880) (20). Il tema dei pastori e dei costumi folcloristici, spesso ricorrente nella sua pittura, è stato associato qui con un po’ di intellettualismo e di ricerca del soggetto ma anche con felice esecuzione. Ben caratterizzato è il pifferaio con il sottile realismo degli indumenti di pelle e molto gentile e graziosa appare la modella, non immune da tratti e movenze classiciste.

BIBLIOGRAFIA: Krafft, Schumann, 1969, p. 35.

12) “PAESAGGIO LUNARE CON DUE MONACI IN CAMMINO”, quadro ad olio, datato 1827. Lübbenau, Museo Spreewald.

Il tema romantico-medievale del monaco altre volte trattato da Catel, deriva senza dubbio dal libro di W.H. Wackenroder (21), che non solo conosceva ma ne aveva vissuto lo spirito nel convento di Sant’Isidoro. Il piccolo quadro (22) con i monaci erranti in una landa deserta vicino al mare sotto un cielo di plenilunio produce un effetto di sorprendente romanticismo se non che esso appare superficiale ed esteriore, fondato più sul soggetto, sull’impianto scenografico che sul contenuto. Non si può negare però l’abilità del pennello e l’originalità della scarna composizione.

13) “TRAMONTO DEL SOLE AD ALBANO”, quadro ad olio. Lübbenau, Museo Spreewald.

Il dipinto, come il precedente, gli fu commissionato dalla contessa di Kielmannsegge e può essere datato intorno al 1827, se non precisamente in quest’anno, perché facente parte insieme all’altro di una medesima raccolta. L’opera richiama direttamente il “Monaco sulla spiaggia” di C.D. Friedrich per il tema e per la disposizione dei tre elementi con le piccole figure, tra cui un monaco. Se ne distacca però per tinte più colorate, per la mancanza di un vero sentimento religioso nei confronti della natura, per l’assenza della contemplazione e della malinconia; allo stato d’animo emozionale subentra l’osservazione.

BIBLIOGRAFIA: Geller, 1961, p. 499.

14) “PAESAGGIO DELLA COSTA AMALFITANA”, olio su tela cm. 34x48. Roma, P.I.C., n. 71.

Le case in primo piano sono quelle di Vico Equense, mentre il paese che si vede in basso è Amalfi. Il Geller ci fa sapere che è uno studio per il dipinto bruciato nel palazzo di Vetro a Monaco (23). Questo suggestivo scorcio è stato dipinto anche da A. Pitloo (24) e da Giacinto Gigante nel 1835 (15). Quest’ultimo già nel 1824 disegnò una “Grotta a Capo Miseno” vedi opera n. 104 che è molto simile nell’impostazione all’opera di Catel. Senza dubbio questo splendido studio appartiene a quest’arco di tempo per le strette relazioni che vi sono con la scuola di Posillipo e in particolare con le opere dei suoi due maggiori esponenti. Il boccascena fa da cornice ad un paesaggio pieno di luce e di aria nel quale si respira la freschezza e la brezza marina. L’acqua del mare è trasparente e vibrante di riflessi, il pennello, morbido e acquerellato, plasma dolcemente la veduta e accenna con una delicata velatura grigia la montagna di fondo. Questo poetico e schietto brano di natura, dai colori squisitamente tonali, non può che essere stato colto dal vero.

15) “FESTA POPOLARE A BAIA”, olio su tela cm. 100x139. Monaco, Staatsgemäldesamlungen.

Era di proprietà della Galleria d’Arte di Schleissheim ancora nel 1948 (26). Il noto incisore W. Flachenecker fece una litografia del dipinto, della quale si occupò il Kunstblatt del 7 maggio 1829 nelle “Notizie d’arte da Monaco”.

Il foglio “mostra un’esecuzione estremamente dolce e diligente” ma il giornale si chiede: “A che scopo? Per descriverci un gruppo campagnolo di donne, uomini e bambini italiani completamente indifferenti e in parte con volti brutti, che si divertono ballando all’aperto. La veduta sul mare nell’insenatura di Baia con il Capo Miseno sullo sfondo e quanto di piacevole è stato inserito nella raffigurazione non ricompensa per il gruppo in primo piano privo di ogni chiaroscuro” (27). L’opera si può quindi collocare con certezza tra il 1820 e il 1828, proponendo però come data più probabile gli anni vicini a quest’ultimo per affinità stilistiche e tematiche con il n. 17.

Male si fondono gli elementi quotidiani e classicheggianti che pervadono l’intera scena. Si salvano solo poche figure, come il gruppo intorno ai due suonatori, il paesaggio in lontananza e la luce naturale che in parte riesce ad attenuare quella mostra irreprensibile di oggetti e verzure trattate fino alla pedanteria. I danzatori sono un po’ impacciati e perfino goffi come il ragazzo in tunica bianca sulla sinistra.

16) “VITTORIA CALDONI”, olio su tela cm. 96x73, datato “attorno al 1830” (28). Roma, P.I.C., n. 92.

Il consigliere di legazione di Hannover Georg August Christian Kestner nell’estate del 1820 scoprì ad Albano le bellezze di V. Caldoni che d’allora fu ritratta più di quaranta volte da pittori e scultori di varie nazionalità abitanti a Roma (29). “Busti di Thorvaldsen, Byström e Tenerani, dipinti e disegni di Overbeck, Schnorr, Catel, Peter Hess, Horace Vernet e un ritratto-studio di Kestner, sono fra le rappresentazioni migliori che noi conosciamo della bella giovane” la quale sposò un pittore russo che poi seguì in patria (30). Il dipinto di Catel per le molte analogie richiama quello di Vernet, anch’esso dello stesso periodo (31). Identico è il taglio, il punto di vista e la positura della modella, così pure il lungo mantello e la posizione delle braccia con le mani incrociate che tengono il rosario. L’ideazione e la tecnica del quadro sono neoclassiche; le forme levigate, messe in risalto dal freddo colore del fondo costruito nel chiuso dello studio, tendono verso un bello idealizzato. L’effigiata è ritratta in maniera rigida, bloccata dalla dura linea del seno e dall’artificiosità delle mani. Solo il volto conserva una certa morbidezza ed espressione.

BIBLIOGRAFIA: Poensgen, 1961, p. 258.

17) “VIGNA ROMANA”, olio su tela cm. 49x63, datato “attorno al 1833”. Berlino Ovest, Nationalgalerie.

Il dipinto fu donato al museo da F. Gehrich (32) e fu esposto nella mostra dell’Accademia di Berlino del 1834. Più volte Catel dipinse il tema delle danze e delle stornellate ma con scarso successo, come in questa festa d’ottobre in cui le figure non hanno vita, alcune sono imbambolate, altre messe in posa e comunque tutte manierate allo stesso modo delle altre parti classicheggianti. La pittura non solo riprende il soggetto del n. 15 ma ne rielabora gli elementi compositivi, accomodandoli con poche varianti. Identica è la striscia d’ombra in primo piano con la stessa oziosa sfilza di oggetti, il pergolato e il tavolo con il mandolinista seduto e la persona che suona il tamburello.

BIBLIOGRAFIA: Katalog Nationalgalerie Berlin, 1968, p. 4.

18) “VIA APPIA”, olio su tela cm. 97x136, firmato e datato in basso a destra “F. Catel R.(omae) Pinx 1833”. Berlino Ovest, Nationalgalerie.

Come il precedente, figurò nell’esposizione artistica dell’Accademia di Berlino del 1834. Fin dai primi mesi di quest’anno il dipinto appartenne a Lady Coventry che allora risiedeva a Roma (33) e poi fece parte della collezione von Decker di Berlino (34). Il tratto della via Appia raffigurato si trova davanti alla Porta di San Sebastiano e sullo sfondo si scorge il paese di Albano con il suo lago (35). Il quadro, di sapore neoclassico per i reperti archeologici e l’artificiosa minuziosità dei particolari in primo piano, per i ruderi degli edifici romani, freddi e retorici, è vivificato dai piccoli bozzetti dei mandriani ma soprattutto dalla chiara luminosità del giorno che inonda l’arioso e sconfinato paesaggio. L’impressione che se ne ha è quella di una scena tra l’irrealtà dell’ideale e la naturalezza del reale.

BIBLIOGRAFIA: Katalog Nationalgalerie Berlin, 1968, p. 4.

19) “VIA APPIA”, olio su carta mm. 94x136, firmato in basso a destra “F. Catel”. Brema Kunsthalle.

Le misure riportate dal catalogo dell’esposizione nel W.R. Museum Köln devono essere errate e si devono sostituire i cm. ai mm., come per il dipinto seguente. È lo studio dell’opera precedente e certamente appartiene a quegli anni. Catel ha dipinto un tratto della Via Appia così come si presentava nei suoi contemporanei, privo di qualsiasi retorica e nel quale si sente aleggiare una nostalgia romantica. Senz’altro vi è meno luminosità del quadro finito ma la pittura acquista in libertà e visione poetica. A sinistra e a destra si vedono le torri di guardia ed i monumenti di tombe e sullo sfondo le montagne di Albano.

BIBLIOGRAFIA: W.R. Museum Köln, 1972-’73, tav. 17.

20) “FORUM ROMANUM”, olio su carta mm. 69x107. Brema Kunsthalle.

Vedi schema precedente.

La piazzetta che si vede è il campo Vaccino con a sinistra l’arco di Settimio Severo, a destra le tre colonne del tempio di Vespasiano e la fronte di colonne del tempio di Saturno. Questo dipinto può essere uno studio ma più probabilmente, per evidenti affinità stilistiche con il precedente che ne attestano la vicina datazione, una rielaborazione del quadro dallo stesso soggetto così descritto dal Giornale Arcadico del 1820 - : “Il terzo quadro appartiene a Roma, e al genere di architettura prospettica più che al paese. Raffigurasi in esso il campo Vaccino con tutti i monumenti, accomodati peraltro e ravvicinati in parte, mentre, dal punto di veduta, ch’è tolto dalla piazzetta laterale al portico del convento di Araceli, non si potrebbero veder tutti. Nel che l’artefice ha usato della libertà, ch’è conceduta in simili opere. Il monte albano forma la linea del fondo. La disposizione dei monumenti è assai giudiziosa, e di belle effetto pittorico. La luce è distribuita a meraviglia, e di episodio di una processione, che ascende, per quella cordonata, che mette alla piazzetta ov’è la colonna colla croce, contribuisce meravigliosamente ad ammirare una scena per se malinconica, perché ripiena di avanzi diroccati, che attestano e la grandezza dell’ antica Roma e il niente dell’orgoglio umano” (36).

BIBLIOGRAFIA: W.R. Museum Köln, 1972-’73, tav. 16.

21) “SCENA FINALE DEL “RENÉ” DI CHATEAUBRIAND”, olio tu tela cm. 62,8x73,8. Copenhagen, Museo Thorvaldsen.

Questa veduta notturna raffigura l’ultima sosta di René sulla terra nativa (37). Il quadro partecipò all’esposizione dell’Associazione degli Amatori e Cultori delle Belle Arti a Roma nel gennaio 1837 e probabilmente si deve riferire a questi anni. È una delle opere più romantiche di Catel e forse quella meglio riuscita, in cui l’effetto spettacolare e maestoso della natura è trattato con vivo realismo e franchezza di esecuzione. Ciò conferisce al dipinto un’intensa forza e dinamismo, accentuato dall’energico sommuoversi delle nubi e delle onde.

BIBLIOGRAFIA: Katalog Thorvaldsen Museum, 1975, p. 196.

22) “PROCESSIONE NEL PORTICO DEL DUOMO AD AMALFI”, quadro ad olio, firmato in basso a destra “F. Catel Roma”. Dresda, proprietà privata.

L’opera (38) fu esposta alla mostra dell’aprile 1837 a Piazza del Popolo. La composizione riprende il tema e la veduta del n. 80 ma dando più interesse al contenuto religioso e pittoresco. Catel dipinse un altro soggetto simile, “la sala con le colonne del monastero dei camaldolesi vicino Salerno, tra le quali si scorge la città situata più in basso e le montagne pittoresche in alto e ancora più su si erge il picco bizzarro del monte S. Angelo, a sinistra il sole ardente si tuffa nelle acque. Una processione di monaci sta per entrare davanti alla sala colonnata che brilla della luce serale, ai due lati la folla devota inginocchiata, interessante per abbigliamento ed espressione” (39). Si sente qui la ripetizione stanca e debole del soggetto, ormai svuotato di vigore e di significato.

23) “COMPAGNIA DI ARTISTI IN ITALIA”, olio su tela cm. 35x46,8, non firmato. Amburgo, Kunsthalle.

Il dipinto venne acquistato dal museo nel 1942. A sinistra sul tavolo si vede un càntaro e in basso a destra sulla stoffa dentro il cestino si legge il monogramma F.S., sotto una corona a sei punti. La pittura non potrebbe essere più fredda e arida. Le persone sono esangui, rigide, il cane sembra addirittura impagliato, gli oggetti si ripetono gratuitamente con l’immancabile pergolato e vulcano fumante per obbligo. Questa volta neanche il paesaggio è riuscito a infondere un sia pur tenue barlume di vita a questa vuota composizione.

BIBLIOGRAFIA: Krafft, Schumann, 1969, p. 36.

24) “GROTTA DI EGERIA”, olio su tela cm. 39,3x62, non firmato. Amburgo, Kunsthalle.

Lascito della signorina Susette Sillem 1886 (40). Egeria, nella mitologia romana, era musa e ninfa della fonte omonima in un bosco presso il lago di Nemi vicino Ariccia. Le era sacra anche un’altra sorgente a Roma presso la porta Capena, la porta delle mura Se’rviane, tra il Celio e l’Aventino, da cui si dipartiva la Via Appia e a quest’ultimo luogo si riferisce il dipinto. L’acquedotto che si vede in fondo è il rivo Erculaneo dell’Acqua Marcia. La stessa veduta fu dipinta anche da G. Köbel (41). Il passaggio arcadico suscita evidenti ricordi di Claude Lorrain ma filtrati attraverso l’opera voogdiana e forse anche bassiana. Le parti troppo studiate e leziose nuocciono alla naturalezza dello sfondo, della luce solare così ben resa e al fresco bozzetto del gruppo di figure in primo piano.

BIBLIOGRAFIA: Krafft, Schumann, 1969, p. 35.

25) “VEDUTA DA ARICCIA VERSO IL MARE”, olio su tela cm. 100x138, firmato. Monaco, Neue Pinakothek.

La donna sull’asino che allatta il suo bambino ricorda molto da vicino quella che si vede al n. 7. Ben riuscito è l’angolo in basso a sinistra con la lavandaia e la portatrice d’acqua, ricco di luce chiara è il bel paesaggio che si perde a vista d’occhio. Gli alberi difettano di un eccessivo lavoro di rifinitura e le figure in primo piano sono poche espressive, alcune in posizioni pietistiche altre brutte come il bimbo dentro la cesta.

BIBLIOGRAFIA: Katalog Neuen Pinakothek, p. 32.

26) “GROTTA NELLA VILLA. DI MECENATE A TIVOLI”, olio su tela cm. 54,3x70. Copenhagen Museo Thorvaldsen.

Questo titolo appare sia nel catalogo del 1966 che in quello del 1975 del Thorvaldsens Museum ma è errato. La Villa di Mecenate non è altro che il complesso del tempio di Ercole posto poco fuori dell’abitato, mentre il luogo qui raffigurato è la Villa d’Este di Tivoli e precisamente la fontana dell’Ovato. Una “Villa di Mecenate” figurò nell’esposizione artistica dell’accademia di Berlino dell’autunno 1842 e con molta probabilità possiamo affermare che si tratti della presente opera, visto che è stata tramandata con questo nome. Se fosse così il dipinto si deve datare con certezza intorno al 1840 perché il Kunstblatt del 4.8.1842 n. 62, p. 246 riferisce che “tra i quadri più recenti di Catel vi è anche una veduta molto riuscita della Villa di Mecenate”. Molto interessante è la composizione che si articola in un gioco d’archi veramente suggestivo e bello è l’effetto cristallino dell’acqua e del sole sulla parte destra. La mobilità della trama pittorica è resa da veloci colature e gocciolature, da repentini passaggi di campiture luminose e d’un pennello fluido e acquerellato. Le figure sdolcinate e svenevoli sono fuori luogo e appesantiscono il dipinto.

BIBLIOGRAFIA: Katalog Thorvaldsens Museum, 1975, p. 196.

27) “AUTORITRATTO”, olio su tela cm. 44x36, firmato al centro sinistra “F. Catel Roma”, P.I.C., n. 18.

II ritratto, appartenente alla maturità dell’artista, è da considerasi uno studio per le parti volutamente incompiute e per la semplificazione della stesura pittorica. Il dipinto è condotto con maestrevole franchezza e mobilità di tocco e pur restando la sua tipica contrapposizione di luce e ombre esso ci appare del tutto nuovo e inconsueto. Poche volte come questa Catel riesce a sfoltire l’immagine e a darci un realismo schietto, palpitante di vita. Anche il Geller lo definisce: “Un quadro molto interessante dal punto di vista pittorico, pieno di espressione, ed inoltre afferma che, per quell’epoca un’immagine di profilo ed il viso in ombra sul fondo chiaro, è molto singolare, luce calda cade sulla nuca dove un berretto rosso vivo, ricamato, forma un bel contrasto con il nero della giubba e il bianco del bavero che chiude al collo la testa illuminata dell’artista, di un grigio marrone” (42).

2) OPERE ATTRIBUIBILI A CATEL

28) “RITRATTO DI ARCHITETTO”, olio su tela cm. 11x10. Roma, P.I.C., n. 35. Pendant del n. 29. Questo titolo compare nell’inventario del 1945.

L’architetto, come lasciano bene intendere l’acquedotto, il capitello e lo schizzo raffigurante un arco, è senz’altro L.F. Catel per le strettissime affinità fisionomiche con il personaggio ritratto al n. 2. Essendo questi in Italia dall’estate 1811 all’ autunno 1812 il dipinto si deve riferire a questo periodo (43). L’effigiato oltre ad avere nei due quadri lo stesso foglio o in mano un oggetto del mestiere, ha la stessa fissità ed esteriorità; il pennello pur sciogliendosi in alcune parti resta impacciato.

29) “RITRATTO DI SIGNORA CON CUFFIA”, tavoletta ad olio cm. 11x10. Roma, P.I.C., n. 34.

Con tutta probabilità si tratta della moglie di L. Catel infatti, pur con la cuffia, mostra notevoli somiglianze con i tratti somatici dell’effigiata al n. 2. Da ciò e per gli stessi caratteri stilistici e compositivi riscontrabili con il n. precedente il dipinto si deve datare al 1812. La pittura, scialba e quasi caricaturale, è priva di qualsiasi sensibilità.

30) “RITRATTO D’UOMO SEDUTO IN ABITO OTTOCENTESCO”, olio su tela cm. 100x74. Roma, P.I.C., n. 62.

Dal Geller apprendiamo che nelle sale del P.I.C. esiste, oltre all’autoritratto da vecchio n. 27, un altro autoritratto (44). Con tutta probabilità si tratta di quest’opera e pur presentando lineamenti più giovanili, il volto è particolarmente similare con quello dipinto nel n. 97. Di conseguenza per la giovane età dimostrata dal personaggio la pittura si deve riferire a dopo il 1812 e non oltre il 1820. La composizione è povera di vita per una certa rigidezza della persona e per i colori privi di materia pittorica; bello è invece il paesaggio molto colorato e fresco.

31) “RITRATTO DI UOMO IN COSTUME SCOZZESE”, olio su tela cm. 47x35. Roma, P.I.C., n. 78.

L’opera figura nell’inventario del 1874 come “Ritratto di un soldato scozzese” e in quello del 1945 con l’attuale titolo. Anche questo personaggio presenta notevoli analogie con gli uomini raffigurati nei numeri 30 e 97 tanto da poter affermare di essere un altro autoritratto. Questa gustosa figura in costume, benché accuratamente resa e volutamente messa in posa con un certo spirito, quasi per lasciarsi fotografare, conserva naturalezza e vitalità, specie nell’arguto sguardo sottilmente compiaciuto. Il paesaggio livido e spoglio fa pensare più alla terra di Walter Scott che è quella italiana. Anche la pittura tonale si mantiene su un tono basso, sfiorando tutte le gamme del grigio, dal ceruleo ai famosi e nebbiosi colori del fondo.

32) “RITRATTO DI SIGNORA IN BIANCO”, olio su tela cm. 29x22. Roma, P.I.C., n. 27.

L’identità dell’effigiata si desume dal confronto con i numeri 96 e 97 per le notevoli affinità fisionomiche. Ci è confermato anche dal fatto che nell’inventario del 1874 sono elencati più di due ritratti di Margherita Prunetti. Poche volte come questa Catel riesce a dipingere con tale intensità, essenzialità e pittoricità un volto così squisito, sprizzante vita e ricco di vibrazioni interiori.

33) “RITRATTO DI GIOVANE”, olio su carta cm. 22x20. Roma, P.I.C., n. 42.

Il dipinto è pendant al seguente e ambedue figurano nell’inventario dal 1874 come “Ritratto sesto ovale”. Eccezionale; come l’altro, è questo studio di testa dai caratteri nervosi e vivamente resi.

34) “RITRATTO DI UOMO CON BASETTONI”, olio su cartoncino cm. 22x20. Roma, P.I.C., n. 43.

Vedi scheda precedente.

35) “DONNA IN VESTITO BIANCO”, olio su tela cm. 100x70. Roma, P.I.C., n. 81.

L’identità dell’effigiata risulta dal confronto con il n. 16 per la strettissima somiglianza del volto, dell’attaccatura dei capelli, pettinatura e per la rotondità delle forme. Il dipinto inoltre rivela la stessa concezione, impostazione e realizzazione, così che si può definire con sicurezza anche il suo autore e la data attorno al 1830. La modella qui appare più trasognata e assente, gli sbuffi del vestito sono appiccicati ad un busto quasi marmoreo, i colori sono sordi e il tutto è fin troppo manierato.

36) “DONNA SEDUTA”, olio su tela cm. 102x77. Roma, P.I.C., n. 89.

L’effigiata presenta notevoli affinità somatiche non solo con la Vittoria Caldani di Catel n. 16 ma anche con quella di Thorvaldsen, Tenerani e Overbeck (45) per cui si può affermare che sia la stessa modella. I lineamenti più pronunziati sono giustificati dal ritratto colto nella sua popolana bellezza semplice e reale. Un confronto con il n. 16 permette di datare questa pittura attorno al 1830 perché le due donne dimostrano un’età molto vicina. Lo studio si distacca completamente dagli altri due ritratti per l’immagine asciutta, vera, senza compiacenze formali e stilistiche, per la pennellata acquerellata e mossa e per le varie pareti stese con libertà. Anche i colori si differenziano dalla sua consueta tavolozza per le tonalità acerbe dei verdi chiari, dell’azzurro e del rosa ciclamino del vestito.

37) “GIOVANE DONNA SEDUTA SU DI UN MURETTO”, olio su tela cm. 58x40. Roma, P.I.C., n. 26.

Questa splendida contadinella seduta mostra evidenti somiglianze con le fattezze dell’effigiata nell’opera precedente ed inoltra ha indosso gli stessi vestiti e orecchini per cui si può ritenere che sia la stessa persona. Questi numerosi ritratti della Caldoni possono essere giustificati dalla sua fama, se non proprio da una sincera amicizia, e d’altronde Catel ebbe modo di vederla spesso durante i suoi frequenti soggiorni ad Albano. La modella è colta come in una istantanea, la scioltezza delle membra dà fluidità ai movimenti e la materia pittorica è ricca di un sapiente impasto coloristico schietto e intensamente poetico.

38) “GIOVANE DONNA SEDUTA IN UNA POLTRONA”, olio su tela cm. 62x49. Roma, P.I.C., n. 48.

Questo ritratto di giovanetta presenta molte analogie con i lineamenti dell’effigiata ai numeri 36 e 16, ma specialmente con il “disegno per il ritratto di Vittoria Caldoni” del l’Overbeck del 1821 (46) tanto che non possono esserci dubbi circa la sua identità. Per la giovane età dimostrata dalla persona la data del dipinto si deve spostare verso i primi anni del secondo decennio. L’opera, a metà fra lo studio ed il finito, ricorda per alcune particolarità quella n. 36: le braccia hanno la medesima posizione, soprattutto la destra di questa con la sinistra di quella sulle quali tiene inclinato il capo. Molto morbido e ben disegnato è il viso a differenza del resto del corpo che si dimostra un po’ rigido.

39) “RITRATTO DI DONNA”, olio su cartone cm. 28x19. Roma, P.I.C., n. 75.

Pendant del numero seguente. La donna sebbene con i tratti del viso più maturi manifesta sorprendenti analogie con le fattezze della giovane del n. 38 tanto che possiamo avanzare l’ipotesi che sia la madre della Caldoni. Il taglio sfoltito e asciutto dell’immagine, il tratto sicuro del pennello mettono a nudo la figura umana resa con intensità introspettiva. Il volto, dolcemente descritto, palpita attraverso la superficie increspata dal colore e da un tremulo chiaroscuro.

40) “RITRATTO DI UOMO”, olio su cartone cm. 28x19. Roma, P.I.C, n. 76.

Questo ottimo ritratto è simile al precedente per concezione e fattura. L’espressione viva, simpatica e gentile rivela una sottile ricerca psicologica ed una intima caratterizzazione morale.

41) “CONTADINELLA. SEDUTA”, olio su tela cm. 18x15. Roma, P.I.C., n. 4.

Pendant del n. 42. Questi due squisiti ritratti di fanciulli, sensibili ed espressivi, presentano sottili armonie di colori tonali, delicati azzurri, come in questa incantevole bambina, che ne fanno risaltare la freschezza e purezza. Qui Catel ha colto l’aspetto vero e innocente dei bambini con una tale grazia che raramente si trova nella sua opera.

42) “CONTADINELLO SEDUTO”, olio su tela cm. 18x15. Roma, P.I.C., n. 7.

Vedi scheda precedente.

43) “BAMBINO SEDUTO CON UN FRUTTO IN MANO”, olio su tela cm. 18x15. Roma, P.I.C., n. 6.

Con la spontaneità di uno schizzo è tirata giù questa vivace figura di bambino che palpita sotto i colpi veloci e sfuggenti del pennello.

44) “CONTADINELLO CON ASINO”, olio su tela cm. 16x16, Roma, P.I.C., n. 5.

Nell’inventario del 1874 figura come “Studio dal vero di un ragazzo con l’asino”. Il valore del dipinto risiede tutto nella freschezza e immediatezza del tratto e nell’uso tonale dei colori chiari e leggeri.

45) “DUE DONNE IN COSTUME”, olio su tela cm. 31x24. Roma, P.I.C., n. 73.

46) “DUE DONNE IN PIEDI”, olio su tela cm. 46x32. Roma, P.I.C., n. 47.

Questo dipinto e i due seguenti si devono considerare veri e propri studi per le parti appena accennate e lasciate incompiute. Senza dubbio è il migliore dei tre per la scioltezza della pennellata che vivifica le forme e per il colore scarno tenuto in un rapporto di terre molto vivace.

47) “LE DUE SORELLE”, olio su tela cm. 55x48. Roma, P.I.C., n. 37.

48) “DUE RAGAZZE DORMIENTI”, olio e carboncino su tela cm. 42x56. Roma, P.I.C., n. 40.

49) “CIOCIARE AL BALCONE CHE GETTANO FIORI”, olio su tela cm. 60x47. Roma, P.I.C., n. 68.

Questo titolo figura sia nell’inventario del 1908 che in quello del 1945. Il dipinto non potrebbe essere più vuoto, oleografico, retorico; le effigiate sono esangui e al limite della smanceria.

50) “LA FAMIGLIA DEL PESCATORE DURANTE LA TEMPESTA”, olio su tela cm. 42x57. Roma, P.I.C., n. 36.

Il quadro è presente nell’inventario del 1874 con il titolo “La famiglia del pescatore nel momento della burrasca”. Il dipinto appartiene sicuramente a Catel perché egli ha trattato più volte lo stesso tema con poche varianti. Nella “Tempesta sul mare vicino ad Amalfi” nella Neue Pinakothek di Monaco si vede “una barca dondolare fra tempestose onde che s’infrangono sulla riva rocciosa a destra, dove una scala di pietra conduce ad una abitazione tra le rocce. In primo piano, sulla riva, vi è una giovane donna inginocchiata e un bambino aggrappato a lei si torce le mani, più avanti, un ragazzo grida alla barca in pericolo” (47). Il Kunstblatt del 17 maggio 1824 descrive una “Tempesta vicino l’Etna”, sempre di Catel, nel seguente modo: “Una singola barca da pesca quasi inghiottita dalle alte onde di acqua spumeggiante, disperata la moglie del marinaio disperso si lamenta sulla riva con tre bambini, una semplice gradinata conduce nella sua abitazione costruita nelle fenditure delle rocce presso la riva, l’orizzonte è drappeggiato con nuvole nere” (48). Qui il tema verghiano non si traduce in poesia per l’esteriorità delle figure e la teatralità dei gesti che sembrano il vero motivo della pittura. Tipicamente sue sono quelle terre bruciate, quasi smaltate, stese con poco colore e scarnificate dal pennello.

51) “PASTORE”, olio su tela cm. 28x20, Roma, P.I.C., n. 82.

Questo pastore si ritrova esattamente, ma in posizione riflessa, nel n. 24. Il dipinto ed i tre che seguono costituiscono degli ottimi studi di figure in costume folcloristico. Caratteristica comune è la pennellata sciolta, veloce, che descrive sommariamente, con rara efficacia e pungente osservazione, i vari personaggi. Anche il colore riducendosi all’essenziale mette in valore la semplicità e sincerità dell’immagine.

52) “PELLEGRINO SEDUTO”, olio su tela cm. 23x18. Roma, P.I.C., n. 87,

Vedi scheda precedente.

53) “UOMO SEDUTO COL BASCO”, olio su tela cm. 37x29. Roma, P.I.C., n. 61.

Vedi scheda n. 51.

54) “UOMO IN COSTUME ORIENTALE”, olio su tela cm. 39x29. Roma, P.I.C., n. 63.

Vedi scheda n. 51.

55) “DUE PIFFERAI”, olio su tela cm. 59x43. Roma, P.I.C., n. 49.

Come sottile espressività a straordinario realismo sono dipinte queste due eccellenti figure. Qui il pittore non si sofferma al solo costume pittoresco, che per i colori vividi, per l’attenzione ai particolari e alle diverse materie acquista una sensibilità inconsueta, ma cerca di penetrare nel loro animo soffuso di malinconia.

56) “DUE CAVALLI CON UN CAVALIERE”, tavoletta ad olio cm. 29x23. Roma, P.I.C., n. 88.

57) “PASTORELLO ADDORMENTATO”, olio su tela cm. 49x58. Roma, P.I.C., n. 64.

Particolarmente ben ritratti sono gli animali che donano vivacità e scatto alla scena e i monti del fondo, a differenza del primo piano freddamente reso e della figura, rigida soprattutto nella gamba e nel braccio destro.

58) “SERENATA NAPOLETANA AL CHIARO DI LUNA”, olio su tela cm. 23x30. Roma, P.I.C., n. 74.

Vedi schede n. 91 e n. 93. In fondo si vede Napoli con il castello dell’Ovo e il Vesuvio. Tipicamente suo è questo soggetto napoletano, debolmente reso per poco vigore di esecuzione.

59) “SERENATA”, olio su tela cm. 19x23. Roma, P.I.C., n. 52.

Nell’album di disegni del P.I.C. al n. 74 vi è un acquerello di C. Werner, datato “ROMA 1842” raffigurante, ma con più minuziosità, lo stesso luogo. Il bozzetto è uno dei più liberi e sintetici di Catel in cui predomina la pennellata a macchia e si nota la sicurezza della mano che sa cogliere all’impronta la realtà.

60) “FIGURE CON SFONDO DI MARE”, olio su tela cm. 20x30. Roma, P.I.C., n. 69.

Nella Neue Pinakothek di Monaco vi è il seguente dipinto di Catel, “Nel golfo di Napoli”, che mostra somiglianze con questo. Così è descritto - : “Baia di mare con veduta di Capri, a sinistra rocce incavate e una casa di campagna situata sotto un boschetto. In primo piano una madre sta seduta giocando con il bambino, due ragazzi con qualche bambina davanti giubilano verso una barca che si avvicina” (49). La scena è scarna, senza fughe all’orizzonte, dominata da un rosso tenue che suggerisce il tramonto.

61) “TRAMONTO”, olio su tela cm. 14x22. Roma, P.I.C., n. 28.

62) “SCENA SULLA LAGUNA VENETA”, olio su tela cm. 16x24. Roma, P.I.C., n. 20.

Con tutta probabilità si tratta di un bozzetto di una delle tante gondole veneziane commissionate intorno .gli anni ‘40 dai vari potentati d’Europa. Il quadretto, pur ripetendo le pose e i motivi di un romanticismo languido, si salva per la bellezza di alcune figure e per il fondo leggermente accennato. Il Geller ci fa sapere che eseguì alcuni dipinti con analogo soggetto verso la fine della sua vita durante un suo soggiorno a Venezia (50).

63) “SCENA D’AMORE SU DI UN TORRIONE”, olio su tela cm. 19x28. Roma, P.I.C., n. 85.

64) “PAESAGGIO CON UOMO VISTO DI SPALLE”, olio su tela cm. 21x30. Roma, P.I.C., n. 79.

65) “CIPRESSI E UOMINI A CAVALLO”, olio su tela cm. 37x59. Roma, P.I.C., n. 33.

Il paesaggio come il seguente è tipicamente meridionale oltre che per i costumi dei popolani anche per la vegetazione grassa e gli alberi di agrumi pieni di frutti.

66) “PAESAGGIO CON SFONDO DI MARE”, olio su tela cm. 39x60, Roma, P.I.C, n. 38.

67) “COLAZIONE DI MIETITORI SULLA RIVA DEL TEVERE”, olio su tela cm. 62x91. Roma, P.I.C., n. 22.

L’identità del luogo risulta dal “Paesaggio tiberino vicino l’Acqua Acetosa” di J.A. Koch che descrive la stessa veduta colta quasi dal medesimo punto di vista (51). Il dipinto, raffigurante la sua vigna al Pontemolle, fu lasciato da Catel alla moglie come si legge nel codicillo al testamento del 16.6.1848 e come risulta dal piccolo elenco del 31 dicembre 1891, vedi scheda seguente. L’opera è pendant al n. 68. Icastica e vitrea come nei fiamminghi è questa scena calma, densa di umori popolareschi.

68) “SCENA DI MIETITURA”, olio su tela cm. 62x91. Roma, P.I.C., n. 24.

Nel codicillo al testamento del 16.6.1848 Catel scrive: “Lascio alla mia consorte i due quadri rappresentanti vedute delle mie possessioni a Macerata, ed al Pontemolle” (52). I primi due quadri figurano nell’inventario del 1874 (53) con il titolo di “Veduta presso Macerata” e “Un’altra dello stesso genere” (53) e con il n. 67 anche nel minuscolo elenco del 31 dicembre 1891 come “2 quadri ad olio grandi rappresentanti le possidenze di Macerata e della vigna in Roma” (54). Senza alcuna possibilità di dubbio il presente dipinto e il seguente sono quelli donati alla moglie e raffiguranti il suo podere nelle Marche perché sono gli unici “grandi” paesaggi provenienti dall’appartamento di Piazza di Spagna, escluso il precedente già identificato, e perché mostrano, anche se presi da un’angolatura diversa, lo stesso panorama. Identico è il corso e l’ansa del Chianti, il fiume che scorre nelle vicinanze delle sue possidenze (55), identiche sono la linee dei colli e dei monti sullo sfondo. Avendo acquistato il podere nel 1830, la pittura come la seguente, si deve collocare nel periodo che va da quest’anno alla compilazione del codicillo. Ma ambedue le opere, vicinissime per evidenti affinità stilistiche, si possono riferire con molta probabilità al terso decennio. Il paesaggio, incorniciato dalle quinte alberate, splende della luce solare e dell’oro delle messi ed è animato dalle vivaci figure dei mietitori, delle donne che spigolano e dai brani di natura morta.

69) “SCENA DI ARATURA”, olio su tela cm. 39x60. Roma, P.I.C., n. 39.

Vedi scheda n. 68. Senz’altro è più sciolta e immediata delle due precedenti opere. Gli alberi, maestosamente imponenti, robusti, fortemente chiaroscurali sono vivificati di più dalla linfa e dall’ondeggiare delle fronde. La pittura si distende in un tenero e poetico quadretto di una verginità bucolica. In tutti e tre i dipinti è ben visibile la caratteristica striscia d’ombra che fa quasi da palcoscenico all’ampio panorama.

70) “VEDUTA DEL VESUVIO”, olio su tela cm. 19x29. Roma, P.I.C., n. 83.

71) “VESUVIO IN ERUZIONE DI NOTTE”, olio su tela cm. 36x49. Roma, P.I.C., n. 80.

Il dipinto è presente nell’inventario del 1874 come “Studio dal vero di una parte del Vesuvio”. Il soggetto del Vesuvio in eruzione, per soffermarci al XVIII e primi del XIX sec. è stato trattato ampiamente e in tutte le sue versioni. Alla fine del 1700 troviamo in Pio Fabris e in Volaire dei costanti divulgatori, Jacob More e una schiera di anonimi, nell’800 A.H. Dunouy, Dahl che firma nel 1821 “Il Vesuvio in eruzione” e Pitloo con “Eruzione del Vesuvio del 1822” (56). L’artista ha abbandonato per un momento la visione pittoresca e un po’ retorica del Vesuvio e come un naturalista ha voluto scrutarlo da vicino nella sua emozionante e reale esplosione. I bagliori, i lapilli, il fumo rossiccio e tutta l’energia sprigionata è resa magistralmente da un pennello dinamico che bene si è fuso con il divenire dell’azione.

72) “L’ARCO DI TRAIANO AD ANCONA”, olio su tela cm. 19x27. Roma, P.I.C., n. 51.

Questa stupenda veduta mostra la semplicità con cui l’artista si è accostato alla natura e l’assenza di qualsiasi motivo che possa incrinare la sua spontanea emozione qui completamente trasmessa. Anche l’arco è solo un elemento della composizione e quasi si confonde con la torretta di fondo. Si sente tutta la freschezza del quadretto ritratto dal vero con colori luminosi, caldi, squisitamente resi.

73) “VEDUTA DEL MARE DALL’EREMO DEI CAMALDOLESI VICINO SALERNO”, olio su tela cm. 40x57. Roma, P.I.C., n. 45.

Lo stesso panorama fu dipinto da G. Gigante, vedi opera n. 103 e da Pitloo in una veduta più ravvicinata e focalizzata sul primo piano, dove c’è la panchina (57). Catel qui dipinse, come ci riferisce il Kunstblatt del 17 maggio 1824, “la sala con le colonne del monastero dei camaldolesi vicino Salerno” (58) e da ciò si può presumere che sia nato in quella occasione e di conseguenza appartenga a quegli anni. Questa splendida finestra sul mare è certamente uno studio; solo a contatto con la natura e in uno stato d’animo libero possono nascere bozzetti di così alto valore poetico. La veduta si anima di aria e di luce, ogni singola parte vibra sotto lo scorrere morbido e sicuro del segno, e le fronde, condotte a punta di pennello con quel suo tipico picchiettare, paiono ondeggiare e riflettere le trasparenze del cielo. I colori tersi, in un rapporto musicale ai celesti e terre bruciate, fanno sentire con tutta schiettezza l’emozione del pittore.

74) “PAESAGGIO CON EREMO”, olio su tela cm. 36x59. Roma, P.I.C., n. 41.

75) “CASTELLO SOPRA UN MONTE”, olio su tela cm. 14x22. Roma, P.I.C., n. 17.

76) “PASSAGGIO CON PERGOLA”, olio su tela cm. 27x40. Roma, P.I.C., n. 56.

Benché il paesaggio sia stato preso controluce, questo magnifico studio si mantiene su toni bassi, in un intimo e delicato rapporto di ocra pallidi, stesi con una libertà e rapidità davvero sconcertante.

77) “VEDUTA DI PONTE”, olio su tela cm. 16x24. Roma, P.I.C., n. 72.

Questo grazioso e poetico quadretto vibra di emozione nella sottile scala dei valori verdi, ocra e azzurri, tutti trasparenti e intrisi di aria e di sole. Sia la composizione che le varie macchie sono purificate fino a raggiungere una essenzialità e sensibilità che ricorda l’opera n. 4. Si sente veramente in questo appartato angolo il dolce fremito della natura e l’amore che Catel ha sempre dimostrato verso di essa.

 

 

 

 

3) DISEGNI E INCISIONI DI CATEL ED ALTRI ATTRIBUIBILI A LUI

 

Scrive il Geller: “Catel fu meno significativo come disegnatore che come pittore, i suoi quaderni di schizzi contengono alcuni studi di figura di grande vivacità ma non superano quello che vediamo in molti quaderni di schizzi degli altri artisti tedeschi di quella epoca” (59). Infatti benché fosse un prolifico disegnatore, come testimoniano i “portafogli” dei due elenchi provenienti dal P.I.C. i suoi disegni di rado si mettono in luce per vigore di esecuzione e per qualità. Pochissimi fogli hanno carattere di sufficiente compiutezza e autonomia mentre la maggior parte sono studi preparatori per opere di maggior impegno.

I suoi abbozzi a matita, quasi sempre ripassati ad inchiostro, si distinguono per il segno spesso, incisivo, sovente duro e statico, per quei contorni ripassati insistentemente fino a rendere l’immagine arida e vuota. Di rado la mano corre sul foglio e riesce a vivificare il quadretto, ma quando ciò avviene Catel sa darci prova del suo valore. Molto più convincente lo si vede nell’acquerello e nella incisione e ciò testimonia la sua versatilità e padronanza delle tecniche più varie ed anche più difficili come l’acquatinta. Solo i primi sette disegni sono certamente di Catel mentre i restanti si possono facilmente attribuire a lui per evidenti affinità tematiche e grafiche.

78) “IL MULINO AD ACQUA NEL LIEBETHALER GRUND PRESSO DRESDA”, acquerello e tempera. Proprietà privata tedesca.

Il Geller data questo “piccolo acquerello romanticamente situato” al 1801 e lo riferisce al periodo del viaggio che Catel fece con la prima moglie nelle vicinanze di Dresda. (60). Il disegno richiama i migliori paesaggi di Salomon Gessner e in particolare quelle sobrie vedute di angoli nascosti trattate con grazia e semplicità. Anche il tema delle cascate ricorre spesso nel pittore-poeta svizzero, ma qui è scomparsa ogni traccia di arcadismo e razionalismo e si respira aria di autentico romanticismo. Il tono fondamentalmente lirico di questa stupenda veduta, timidamente svelata, fa trasparire un animo gentile e sensibile agli spettacoli naturali, siano essi maestosi che segreti. Il tratto è finemente morbido e leggero e per l’immediatezza e freschezza di esecuzione è molto probabile che sia stato ritratto dal vero.

79) “VEDUTA DELLE FONTANE NELLA PIAZZA DELLA BASILICA DI S.PIETRO IN VATICANO, PRESA DI SOTTO AL COLONNATO A LUME DI LUNA”, incisione su rame cm. 35x25, firmata e datata “F. Catel dip. e inc. in Roma 1818”. In basso a destra si legge ancora “Francesco Catel D.D.D.”. Roma, P.I.C.

L’opera, come le due seguenti, è dedicata “A Sua Eccellenza la Sig.ra Elisabetta Hervey Duchessa di Devonshire”. Catel ritrasse più volte il colonnato al chiaro di luna. Oltre ai citati quadri dipinti per il pittore Lawrence, il Kunstblatt del 17 maggio 1824 riferisce che: “Un grande quadro recentemente compiuto da Catel rappresenta la parte sinistra del colonnato di San Pietro al chiaro di luna; attraverso le colonne si vede una delle due fontane, i cui cento zampilli si muovono scintillanti nell’argento della luna, in lontananza si perde uno svizzero corazzato con una fiaccola, altri con alabarda stanno davanti, l’insieme di un effetto straordinario” (61).

80) “VEDUTA DELLA CITTÀ DI AMALFI NEL GOLFO DI SALERNO NEL REGNO DI NAPOLI”, incisione su rame cm. 19x25, firmata e datata “F. Catel dip. e inc. in Roma 1818”. In basso a destra si legge ancora “Francesco Catel D.D.D.”, Roma, P.I.C.

Vedi scheda n. 79. Da notare è la bella veduta ritratta con una semplicità e osservazione veristica, messa in valore da un sobrio primo piano in ombra. Un piccolo disegno a matita delle due donne inginocchiate a destra e un altro di una sola si conservano presso il P.I.C.

81) “GROTTA VICINO A MAJURI NEL GOLFO DI SALERNO NEL REGNO DI NAPOLI”, incisione su rame cm. 18x25, firmata e datata “F. Catel dip. e inc. in Roma 1818”. In basso a destra si legge ancora: “Francesco Catel D.D.D.”. Roma, P.I.C.

Vedi scheda n. 79. È molto simile nel tema e nell’impostazione allo studio in olio n. 14. In queste tre incisioni si vede già formato quel suo caratteristico modo d’incorniciare il paesaggio per realizzare effetti di luminismo e forti contrasti tra il primo piano in ombra e il secondo in luce.

82) “LA COSTA DI CUMA”, disegno di F. Catel e incisione di W.F. Gmelin.

Mentre il Kunstblatt del 16 aprile 1821 scrive che il Gmelin trasse le incisioni “da disegni” (62) il Geller cita l’opera come “incisione del dipinto ad olio” (63). Il Giornale Arcadico riferisce che Catel “ha dipinto la riviera di Cuma con un cielo allegrissimo, e una bella boscaglia dinanzi, e monti che indietro si allontanano, come direbbe Dante, “quanto può mietere un occhio” (64). Questo rame, anche se indirettamente, mostra il particolare studio dell’artista berlinese per l’arioso e sconfinato panorama e per la luce meridiana che dona al paesaggio calore e vita.

83) “ROVINE NELLA CAMPAGNA”, acquerello e tempera cm. 21,5x28,7, firmato in basso a sinistra “F. Catel Roma”. Amburgo Kunsthalle.

“Il monaco dell’acquerello seduto sotto un arco guarda dalla mezz’ombra un paesaggio pieno di sole nel quale le rovine monumentali sono avvolte dalla folta vegetazione”. I colori sono chiari, brillanti, luminosi, trattati con molta leggerezza e maestria.

BIBLIOGRAFIA: W.R. Museum Köln, 1972-’73, tav. 15.

84) “VEDUTA SU ROMA DAL PINCIO”, acquerello e matita cm. 22,5x30,4. Brema Kunsthalle.

Nel P.I.C. è conservato un disegno a matita molto schematico di questo gentilissimo quadretto e da ciò si può presumere che Catel ne sia anche l’autore. L’artista “ha ravvivato la veduta con un piccolo gruppo di figure in costume italiano” e con impalpabile morbidezza di ombre ha reso la scena evanescente, quasi incantata. La fontana che si vede è stata realizzata da un disegno di Michelangelo, un foglio con tre schizzi di essa si trova in Casa Buonarroti. Lo stesso scorcio è stato dipinto da Corot (1826-’27) e da Oswald Achenbach (1893).

BIBLIOGRAFIA: W.R. Museum Köln, 1972-’73, tav. 14.

85) “RITRATTO D’UOMO”, matita su carta cm. 11x9. Roma, P.I.C.

Il ritratto richiama direttamente quello dipinto al n. 28 per le evidenti somiglianze con i lineamenti facciali, per la medesima espressione, positura e composizione. L’uomo è quindi con tutta probabilità Ludwig Catel e il foglio si deve riferire al suo soggiorno italiano. Più felice, ma relativamente a questo, è un altro disegno dell’effigiato, sempre nel P.I.C., tracciato con poche linee e disposto allo stesso modo di come è raffigurato nella pittura ad olio.

86) “CALESSE NAPOLETANO CON MONACO E MONACA”, matita e seppia su carta cm. 12x22. Roma, P.I.C.

Il disegno è uno studio dell’opera n. 6, per cui si può ritenere che sia stato eseguito nello stesso anno e appartenga allo stesso autore. La scena del calesse è un po’ più viva e movimentata di quella dipinta, per la obliquità del cavallo che dà fuga e scatto all’azione, per l’agitarsi dei segni che si moltiplicano e soprattutto per l’osservazione condotta più sulla strada. Il segno spesso è marcato, sovrapposto alla matita, come si nota in questo bozzetto, è una particolarità della grafica di Catel.

87) “STUDIO PER IL “RENÉ DI CHATEAUBRIAND”, carboncino e gessetto bianco su carta bruna cm. 40x26,5. Roma, P.I.C., album n. 22.

Questo foglio è uno studio del “René” dipinto nel n. 21 e sicuramente appartiene a Catel e agli anni intorno al 1837. Il disegno esprime lo stesso spirito romantico della pittura nella veemenza e nervosità del tratto, nell’agitarsi quasi frenetico del mantello e nella posa pensante e un po’ sognante del giovane. Senza dubbio è uno dei migliori schizzi di Catel per la fluidità e sicurezza del segno, per la forza e vitalità che emana. Sembra che sia stato concepito nella furia dell’ispirazione.

88) “LA FAMIGLIA DEL PESCATORE DURANTE LA TEMPESTA”, tempera su carta cm. 28,5x37. Roma, P.I.C.

Studio per la pittura ad olio n. 50. Qui le figure sono inserite in un più ampio paesaggio che dona respiro e vigore alla scena; particolarmente vive e reali sono le spumose onde. Ad una maggiore scioltezza del disegno molto contribuisce anche la bella materia morbida, solcata da tocchi filamentosi e accarezzata da leggerissime velature.

89) “POPOLANI IN FESTA”, incisione su rame cm. 19x25,5. Roma, P.I.C.

Qui, a differenza delle altre tre incisioni, la scena è imperniata più sulle linee che non sulle masse e sui contrasti di luce ed ombre. Il quadretto, bello in alcuni, particolari, difetta in altri.

90) “POPOLANI IN FESTA”, matita e china su carta cm. 10x21. Roma, P.I.C., album n. 34.

Disegno preparatorio per il numero precedente. Le due figure che si vedono in fondo a sinistra dell’incisione sono qui appena delineate e visibili fra le donne e gli uomini seduti sul carretto. Riconoscibile è il segno rafforzato dall’inchiostro, proprio di Catel, che appesantisce la scena e la rende meno fluida dell’opera finale.

91) “STORNELLATA INTORNO AD UN TAVOLO”, matita su carta cm. 15x21. Roma, P.I.C.

La stessa veduta del golfo con il Vesuvio e la città di Napoli con il castello dell’Ovo, qui geometricamente delineati, si vede nel dipinto n. 58. Il disegno, caratterizzato da forme piuttosto stilizzate e da linee orizzontali e verticali, si differenzia dagli altri per l’atmosfera silenziosa e la calma della scena. Il tema della stornellata con un panorama del golfo, incorniciato da un pergolato, è ripreso nei due disegni seguenti.

92) “STORNELLATA IN UN CORTILE”, matita e seppia su carta cm. 12,5x18. Roma, P.I.C.

Un’altra donna che dondola con il piede il bambino nella culla è dipinta nel n. 10. Il disegno è piuttosto rigido e appesantito da un superfluo groviglio di segni e da un tratto duro e spesso.

93) “STORNELLATA IN UN CORTILE”, matita e seppia su carta cm. 12x19. Roma, P.I.C.

Il foglio è lo schizzo del disegno precedente ma con la variante della donna che esce dalla porta e sembra avere in mano una candela. La scena, quindi, molto probabilmente, si svolge di notte e con il mandolinista e la parte destra del bozzetto richiama il dipinto n. 58. Qui il segno sfoltito si distende con leggerezza, scioltezza ed essenzialità dando respiro e vita a questo fresco quadretto.

94) “GROTTA CON ARCO ROMANO”, matita e carboncino su carta cm. 15x21. Roma, P.I.C.

Tipicamente suo è questo boccascena in ombra che fa risaltare la luminosità del sobrio paesaggio su cui si focalizza l’immagine. Il disegno è aggraziato da un tratto tenero e sensibile che con gentilezza delinea le case, le rocce e la vegetazione poste sulla linea del colle.

95) “UOMO IN COSTUME ORIENTALE”, olio su carta cm. 21x10. Roma, P.I.C.

Accanto al folclore italiano l’esotismo ha esercitato un fascino non indifferente su Catel per quei costumi ricamati dalle fogge strane e dai colori vivaci. Un “Turco” figura nell’elenco dei quadri e disegni lasciati in legato da Catel alla Cassa Sussidi Artisti Tedeschi e un altro di tal genere è raffigurato nel n. 54. Anche se il foglio si è scolorito questa eccellente figura conserva tutta la sua freschezza e finezza di esecuzione.

4) OPERE DI ALTRI ARTISTI E DI DUBBIA ATTRIBUZIONE

96) August Grahl “MARGHERITA PRUNETTI”, tempera su carta cm. 17x12, firmato al centro destra “A. Grahl Roma”. Roma, P.I.C.

Fu acquietato dal Sig. Buti Camillo per il P.I.C. nel 1905 (65). L’opera si dove datare a dopo il 1817 perchè il Grahl in quell’anno venne in Italia per la prima volta o, molto probabilmente, agli inizi del suo secondo soggiorno che va dal 1823 al 1830 (66). La miniatura con le sue tinte armoniosamente tonali e il tratto leggero, quasi impalpabile, si rivela come uno dei più vivi ritratti di Margherita.

97) Karl Pawlowitsch Brüloff (67) e altro artista “CATEL E CONSORTE”, olio su tela cm. 132x97, non firmato. Roma, P.I.C., n. 19.

Il critico d’arte H. Geller nel frontespizio del suo libro “Artisti tedeschi a Roma da R. Mengs a H. von Marées “la dà erroneamente come opera di Catel. Infatti nel P.I.C. alla lett. A, pos. I. fasc. I, vi è il testamento di Margherita Prunetti del 20 maggio 1872 che dice: “lascio inoltre al medesimo Benaglia i ritratti di me e di mio marito di grandezza naturale dipinti ma non terminati da Brülon con le rispettive cornici”. Sempre nel P.I.C. alla lett. B, pos. 7, fasc. 7A, troviamo una lettera, del 15 aprile 1926 dei figli di Francesco Benaglia nella quale si fa donazione del dipinto all’istituto e si apprende che: “Il quadro lasciato incompiuto dal pittore Brülov, fu fatto, per mano di altro artista, completare dal nostro padre, che lo teneva caro”. L’opera figurava nel l’inventario del 9.6.1874 con il seguente titolo “Ritratti di Catel e la moglie abbozzo di Brüloff”. Il Geller esprime un giudizio lusinghiero sul dipinto definendolo un “eccellente quadro” (68) e affermando che “si tratta di un’immagine estremamente gentile, composta con colori delicati e molto naturale” (69). Al contrario si rivela povero di vita, gli effigiati sono come messi in posa e la pittura sa di maniera.

99) Ludwig Passini (70) “GLI ARTISTI TEDESCHI AL CAFFÈ GRECO IN VIA CONDOTTI A ROMA”, acquerello cm. 49x62,5. Amburgo, Kunsthalle.

Questo locale svolse un ruolo di primo piano nella multiforme vita artistica romana dalla prima metà dell’800. Qui si riunirono per discutere o per distrarsi artisti, musicisti, romanzieri, poeti, filosofi non solo d’Italia ma d’Europa. Ecco ritratto in questo “Famigerato angolo della maldicenza” un gruppetto che era alquanto familiare nel Caffè. A sinistra, dietro il bancone, si vede il proprietario di allora Raffaele Matteucci, di fronte al quale sta il paesista Rudolf Lehmann che controlla il contenuto della cassetta per le lettere. Seduti al tavolo dei fumatori, visti da sinistra a destra sono ritratti il pittore Julius Muhr, il cosmopolita Bosino (visto di spalle), il pittore Wilhelm Wider, il pittore di genere Ernest Meyer, il colorista August Riedel, il pittore di genere Leopold Pollack e Franz Catel. Nel corridoio che immette nell’“Omnibus”, piccola stanza stretta così chiamata per i divani di incerata intorno alle pareti, s’intravedono gli scultori Otto Wichmann e Ludwig Sussmann. La data deI dipinto è controversa. D. Angeli, 1930 a pag. 12 dà il 1845; G. Poensghen, 1957 a pag 28 e F. Noack, 1912 a pag. 172 e, 1907 a pag. 326 danno la metà degli anni 50. H. Geller, 1961, a pag. 53 e nella tav. 37 dà il 1856, come pure Krafft e Schumann, 1969 a pag. 250.

99) Jacob Salomon Bartholdy “BUSTO “DI UOMO”, matita su carta cm. 25x19,5, firmato. Roma, P.I.C.

In basso si legge: “Du mein treuer, liebster Catel, diese zeichnùng behalten, die ich habe durcihprüfen lassen, Ohne fug die mühe zu geben sis zu copieren. J.S. Bartholdy”. “Tu mio fedele, carissimo Catel, tieni questo disegno che io ho fatto esaminare, senza motivo di darti la pena di farlo riprodurre”. Il testo è piuttosto oscuro per cui non è possibile stabilire se l’effigiato sia Catel o il console.

100)(?) “PAESAGGIO LUNARE”, olio su tela cm. 38x47. Roma, P.I.C., n. 57.

Questa, come le due seguenti opere, figura nell’inventario del 1874 però non è possibile attribuirla a Catel o ad altro artista per mancanza di elementi stilistici più che probanti.

101)(?) “PAESAGGIO”, olio su tela cm. 11x17. Roma, P.I.C., n. 16.

Vedi scheda precedente.

102)(?) “RITRATTO DI SIGNORA CON CAPPELLO”, olio su tela cm. 47x36. Roma, P.I.C., n. 21.

Vedi scheda n. 100.

103) Giacinto Gigante “L’EREMO DEI CAMALDOLESI”, firmato in basso a destra (71).

104) Giacinto Gigante “GROTTA A CAPO MISENO”, datato 1824. Napoli, Museo di San Martino (72).

105) J.C.C. Dahl “DAHL E CATEL SUL MARE”. Berlino National Galerie.

Il museo di appartenenza è dato da Kern, 1911, p. 82, ma il dipinto non è menzionato nel Katalog Nationalgalerie, Berlin 1968.

106) Silvestro Schedrin “CORTILE RUSTICO SOTTO IL VESUVIO”, firmato e datato 1825. Mosca, Galleria Tetriakoff (73).

5) ELENCO DI ALTRE OPERE DI CATEL

1) “Il re dei Silfi”, dalla ballata di Goethe. Esposizione artistica dell’Accademia di Berlino del 1814 (74).

2) “Il prospetto della città di Napoli tolto dalla salita di S. Antonio, la quale si ripiega in due appunto sul primo piano della diritta del quadro; a tale che si vedono gente chi salire per una parte, chi discendere per l’altra. Dallo stesso lato si scorge gran parte della città di Napoli col Pizzofalcone, e castello dell’Uovo. Nel mezzo è il Vesuvio, e più indietro chiudono il golfo le montagne di Castellammare. Alcune rustiche abitazioni circondate da alberi e da cespugli empiono la parte sinistra con modo assai pronto e ridente” (75).

3) “II golfo di Salerno presso la celebre città di Amalfi, la quale occupa la parte diritta del quadro, ed è rappresentata con molta diligenza e verità prospettica. La sovrasta un’immensa montagna, dalla quale s’innalzano perpendicolarmente massi enormi quadrati di roccia, che hanno un aspetto di torri e di fortificazioni ciclopee. Le montagne poi, che chiudono il golfo all’orizzonte, e che vanno insensibilmente declinando sulla sinistra fino al paese di Pesto, sono di tinte calvissime e vaporose così che innamorano gli occhi, e muovono un affetto di dolcezza. Tutto il golfo è ripieno di barche dirette in ogni via” (76).

4) Veduta sul mare Mediterraneo dalla grotta di Posillipo. Sullo sfondo il Vesuvio, davanti un gruppo di pescatori, Esposizione artistica dell’accademia di Berlino del 1822. Un “Paesaggio vicino Napoli con la veduta del Vesuvio”, h. 0,56 1/2x1. 0,78 1/2, si trova sullo Stadt-Mu seum di Danzica, collezione Kabrun (77).

5) VEDUTA di Roma. In primo piano due pastori dell’Abruzzo suonano davanti all’immagine della Madonna. Esposizione artistica dell’Accademia di Berlino del 1822.

6) Marina. Esposizione artistica dell’Accademia di Berlino del 1824.

7) Pifferari nella campagna che suonano la loro zampogna. Proprietà dal bancario Paul Mendelssohn, Berlino. Esposizione artistica dell’Accademia di Berlino del 1824.

8) La chiesa di S. Pietro a Roma al chiaro di luna. Esposizione artistica dell’Accademia di Berlino del 1824 (78).

9) L’ultimo giorno di Torquato Tasso (79).

10) Pifferai di Michelangelo in Roma. Un vecchio con sua figlia davanti ad un’immagine della Madonna vicino una strada. Proprietà: Castello di Berlino. Esposizione artistica dell’Accademia di Berlino del 1826; Colonia seconda esposizione universale d’arte tedesca 1861 (80).

11) Rovine al di sopra di Pozzuoli con una famiglia di contadini napoletani che qui hanno messo su la loro dimora. Sullo sfondo il Capo Miseno, la isola di Procida e di Ischia. Dipinto su ordinazione nel 1826. Proprietà: Barone Speck-Stemburg, Lützsckena vicino Lipsia. Esposizione artistica dell’Accademia di Dresda del 1826.

12) Capanna di pescatori a Posilippo. Schizzo. Dipinto nel 1828 h. 7 1/2x1.10 1/2.

Proprietà: Dottor Lucanus, Halberst.

13) La baia di Napoli. Esposizione artistica dell’Accademia di Berlino del 1830.

14) Italia. Paesaggio con acquedotto. Schizzo ad olio firmato “F.C. Rom 30” h. 0,31x1. 0,45. Proprietà: collezione dei Conti Raczynskische, Berlino Nationalgalerie (81).

15) Acquaforte di un paesaggio al chiaro di luna. 1830 (82).

16) Nelle vicinanze di Posillipo, il Vesuvio e il mare illuminato dal chiaro di luna sullo sfondo, un napoletano canta una serenata a due sorelle stando un po’ distante. La madre si è addormentata e le figlie hanno l’occasione di accennare con gesti ed espressioni (83).

17) Una veduta dei colli vicino Tivoli fra i quali l’Aniene si snoda in fondo.

18) Un pastore di capre riposa sdraiato ad una grotta di rocce, sullo sfondo le montagne e su di esse un grazioso castello (84).

19) Veduta di Camaldoli vicino Napoli. Proprietà Anton Bendemann, Berlino. Esposizione artistica dell’Accademia di Berlino del 1832 (85).

(20) Veduta al di sopra di Pozzuoli su Ischia. Procida e Capo Miseno. Proprietà von Halle. Esposizione artistica dell’Accademia di Berlino del 1832.

21) Veduta su Napoli da Posillipo. Proprietà: Conte Blankensee.

22) Veduta su Amalfi dal vestibolo del duomo. Proprietà: Conte Blankensee.

23) Palermo con il monte Pellegrino, h. 1,14x1.1,00. Proprietà: Neue Pinakothek Monaco. Litografia di J. Wöffle.

24) Capanna di pescatori a Napoli. Proprietà: von Krause.

25) Scena di convento al chiaro di luna. Proprietà: von Krause.

26) Monte Pincio in Roma al chiaro di luna. Proprietà: Maggiore Serre auf Maxen.

27) Colosseo, Roma. Proprietà: Maggiore Serre

28) Amalfi. Proprietà: Conte Baudissin.

29) Roma al chiaro di luna. Pproprietà: Conte Baudissin.

30) Costa di Sorrento. Proprietà: Con Quandt. (Il quadro non si trovava sotto questo nome nell’eredità Quandt. Forse identico con il n. 35. Dal n. 24 al 30 figurarono nell’esposisione d’arte a Dresda per la tedesca Tiedge-Stift, 1842.

31) Veduta di uno scorcio di Roma con la chiesa di S. Pietro e del Vaticano da Villa Medici con illuminazione serale. Proprietà: Principe Guglielmo di Prussia. Esposizione artistica dell’Accademia di Berlino del 1844.

32) Palermo. Esposizione artistica romana a Porta del Popolo, eseguita nel dicembre 1845 in presenza dell’imperatore Nicola, il quale comprò il dipinto.

33) Picco su Ischia. Proprietà: Generale von Heideck. Esposizione d’arte tedesca universale e storica a Monaco 1858.

34) Il colonnato della chiesa di S. Pietro al chiaro di luna. Proprietà: Re di Prussia. Esposizione d’arte tedesca universale e storica a Monaco 1858; esposizione del giubileo del 1886 a Berlino nel reparto storico.

35) Napoli, famiglia di pescatori. Carta h. 7 1/2.x1.10.

36) Il naufragio (tempesta marina), h. 3’6x1.4’ II.

Una famiglia napoletana di pescatori scorge il naufragio di una barca e l’annegamento del loro capofamiglia. Il n. 35 e 36 furono fino al 1868 nella collezione di J.G. von Quandt, Dresda. Esposizione universale d’arte tedesca e storica a Monaco 1858.

37) Il piazzale della chiesa di S. Pietro. Proprietà: Principe Wittgensteins - Berleburg, castello Sayn.

38) Dalla campagna. Proprietà: Segreto consigliere di commercio Alex. Mendelssohn, Berlino.

39) Gita in gondola. Lontano Venezia. Al tramonto del sole, h. 2’2x1.3’2. Proprietà : K. Villa Rosenstein, vicino Stuttgart.

40) Terrazza sul mare, nella quale una compagnia è radunata. Sullo sfondo Genova. h. 2’2x1.3’2. Proprietà: K. Villa Rosenstein, vicino Stuttgart.

41) Villa di Cicerone, che riceve Pompeo. Proprietà: Charlottenhof, vicino Potsdam.

42) La visita di Pompeo a Cicerone. Sguardo sull’isola vicino Napoli. Proprietà: Kuhtz, Berlino.

43) Paesaggio marino vicino Napoli.

44) Paesaggio vicino Napoli con un italiano e una vettura. Il n. 43 e 44 si trovano nel palazzo della principessa Liegnits, Berlino.

45) Sguardo sul Vesuvio e su Napoli, h. 0,56x1.0,78. Proprietà: “Opera di Pia per signore anziane M.v. Waldenburg; la collezione lasciata dalla fondazione fu messa all’asta di R. Lepke a Berlino nel marzo 1886.

46) Italia. Ragazza con arance. Proprietà: conte Redern, Berlino.

47) Casa di Michelangelo, Roma. Proprietà: Castello di Berlino.

48) Paesaggio boscoso con un vecchio castello, h. 0,40x1.0,53. Proprietà: Museum Stuttgart (86).

49) Grotta Aretusa vicino Tivoli, olio su tela h. 0,36x1.0,47, firmato.

Vecchie arcate tra le quali scorre l’acqua. Una coppia di amanti sta seduta sul cornicione di una apertura ad arco. Nuova Pinacoteca di Monaco (87).

50) Il giardino dei cappuccini di Siracusa, olio su tela h. 0,62x1.0,75, firmato. Rocce di formazione fantastica formano a destra un portale e al centro in alto lasciano il posto ad un monastero. Nel fondo in un terreno pianeggiante, alberi, piante di cactus e a destra un piccolo giardino circondato da mura. Un cappuccino si dirige in avanti. Isolato nel centro è un blocco di roccia quasi quadrato. Nuova Pinacoteca di Monaco.

51) Una strada nel golfo di Palermo, olio su tela, h. 0,73x1.I,00, firmato. Un mulo carico di cesti trotta davanti al suo cavaliere, dietro un conducente e una portantina trasportata da due simili animali. A destra il porto con molte navi, dietro il monte Pellegrino. Nuova Pinacoteca di Monaco.

52) Vicino Castel Gandolfo, olio su legno h. 0,18x1.0,28, firmato. A sinistra, sotto una collina piena di alberi, si vede una grande fonte di pietra in ombra, davanti qualche figura. A destra montagne boscose con edifici e una vasta pianura. Nuova Pinacoteca di Monaco (88).

53) Un dipinto notturno, impressionante per le alte rovine del Colosseo, mostra un monaco in tonaca marrone con una lanterna in mano che indica la strada ad un viaggiatore elegantemente vestito in un plaid. La luna splende in un cielo nuvoloso e crea ombre profonde sull’alta muraglia coperta di vegetazione. Il dipinto si trova nel Museo d’Arte di Stato di Copenhagen.

54) Ritratto della moglie alla finestra della sua casa romana (89).

55) Baccante su pelle di pantera, dipinto ad olio. Museo Duca Anton Ulrich, Braunschweig.

56) In un giardino romano, studio ad olio. Galleria della Bassa Sassonia, Hannover (90).

57) Interno del Pantheon (91).

58) Rovine di Paestum (92).

59) Veduta di Sorrento verso Napoli. Proprietà: Bancario Magnus (93). Esposizione artistica dell’Accademia di Berlino del 1844.

60) Veduta di Palermo. Proprietà Ludwig I (94).

61) “Due magnifici paesaggi di Catel” figurano nella collezione del conte Schduborn (95).

62) “Paesaggi di Catel, Schinkel ecc. sono presenti nella collezione di quadri del console reale svedese e norvegese J.H.W. Wagner a Berlino, il cui elenco fu pubblicato dal dott. Fr. Kugler a Berlino nel gennaio 1838 (96).

63) Altre opere di Catel sono raccolte nel Museum di Posen e nel Kestner Museum di Hannover (97).

Elenco di “Quadri a olio in tela e carta e disegni lasciati in legato da Catel alla Cassa Sussidi Artisti Tedeschi” (98).

1) Tempesta con figure, con cornice.

2) Studio del medesimo quadro.

3) Il Vesuvio al tramonto del sole, con cornice di legno.

4) Il Colosseo alla luna, cornice larga.

5) Un frate in contemplazione.

6) Piccolo pastore dormiente col cane.

7) Marina di Sorrento.

8) Rovina del Posilippo (Posillipo) in mare.

9) Una serenata al chiaro di luna.

10) Grotta Azzurra.

11) Piccola veduta di un tramonto di sole.

12) Posilippo (Posillipo) col Vesuvio.

13) Veduta con pini.

14) Bozzetto la Risurrezione.

15) Veduta (sera con frate).

16) Grotta di Cervara.

17) Tramonto del sole e rovina.

18) Bozzetto di Tivoli.

19) Fontana Villa Borghese.

20) Studio di un vecchio.

21) Un turco.

22) Veduta di una donna desolata.

23) Donna albanese.

24) Studio di una festa.

25) Colosseo al chiaro di luna.

26) Quadro abbozzato villani.

27) Studio in cornice di Bagni di Lucca.

28) Studio in cornice, paese con pastore e pecora.

29) Veduta di Lano d’Ischia.

30) Studio del Colosseo.

DISEGNI

4 rotoli di disegni

4 pacchi di libretti di schizzi A. B. C. D.

Unpportafoglio con 160 schizzi.

Unpportafoglio con 250 schizzi.

Unpportafoglio con 178 schizzi.

Unpportafoglio con 203 schizzi.

Unpportafoglio con 160 schizzi.

Unpportafoglio con 338 schizzi.

Carta, foglio con 384 schizzi.

Carta, foglio con 316 schizzi.

Carta, foglio con 250 schizzi.

Carta, foglio con 218 schizzi.

Carta, foglio con 445 schizzi.

Carta, foglio con 203 schizzi.

Carta, foglio con 398 schizzi.

Portafogli studi dal 130 al 1.188.

Portafoglio studi numeri 130.

Carteno: Rodolfo d’Asburgo.

Studi in olio; abbozzo in olio rotto.

Inventario dei quadri, disegni e incisioni fatto presso la casa di Piazza di Spagna, dopo la morte della sig.ra Prunetti (99).

DIPINTI

1) Studio dal vero di una pergola.

2) Studio di un ragazzo che dorme.

3) Studio di Capri.

4) Studio di paese.

5) Studio di Catel profilo.

6) Bozzetto di due cavalli.

7) Una grotta con veduta di mare.

8) Quadretto di genere con figure che colgono gli aranci.

9) Veduta di mare.

10) Mezza figura all’alabanese.

11) Due studi dal vero di un pescatore.

12) Studio di un paesaggio.

13) Studio dal vero, una ragazza.

14) Gagnolo.

15) Paesaggio con veduta di un lago.

16) La moglie del pescatore nel momento della burrasca.

17) Studio dal vero presso la cava.

18) Studio dal vero di un ragazzo.

19) Un tramonto di sole osservato da un monaco sotto un porticato.

20) Studio dal vero di un vecchio pastore.

21) Un pastorello dormiente.

22) Chiaro di luna con serenata.

23) Studio dal vero di un ragazzo con l’asino.

24) Studio dal vero di una donna di Napoli.

25) Ritratti di Catel e la moglie abbozzo di Bruloff.

26) Pifferai studio dal vero.

27) Studio dal vero di un cortile.

28) Soggetto veneziano.

29) Studio dal vero di un ragazzo.

30) Studio di paese.

31) Studio di paese.

32) Studio dal vero di due donne che dormono.

32) 4 piccoli ritratti di famiglia uno di donna e tre di uomini, uno disegnato.

33) Veduta di Monte Porzio con un mortorio.

34) Veduta di ponte Nomentano con la luna.

35) Ritratto di un soldato scozzese.

36) Studio dal vero, paesaggio.

37) Episodio di Carnevale.

38) Studio dal vero di una parte del Vesuvio.

39) Costume di Sorrento, mezza figura.

40) Ritratto di donna.

41) Ritratto di una signora inglese e un altro simile.

42) Frutti.

44) Ritratto della signora Catel.

45) Due ritratti di giovanetti

46) Ritratto della signora Catel.

47) Ritratto sesto ovale.

48) Ritratto sesto ovale.

49) Fiori.

50) Ritratto della signora Catel.

51) Due studi di costumi.

52) Studio dal vero di due ragazzi.

53) Ritratto di donna con cappello.

54) Paesaggio.

55) Paesaggio con signore.

56) Tre studi di paese.

57) Ritratto d’uomo.

58) Bozzetto con marinai.

59) Studio dal vero con pastore

60) Studio di un pastore ragazzo.

61) Paesaggio.

62) Veduta di una riviera.

63) Costumi di Capri.

64) Un campagnolo.

65) Un paesaggio.

66) Paesaggio con ponte.

67) Veduta presso Macerata.

68) Un’altra dello stesso genere.

69) Un chiostro con monaco.

DISEGNI E INCISIONI

N° 37 fogli fra stampe e bulino, acquaforte e litografie compreso un disegno a colori all’acquerello.

N° 11 fascicoli con incisioni ad acquatinta dell’opera viaggio in Sicilia con testo in lingua francese completo

N° 2 fascicoli vedute di Atene e i suoi monumenti all’acquaforte, incompleto

N° 1 fascicolo con due incisioni della raccolta di disegni di R. Caswerg.

N° 124 stampe varie fra le quali tredici stampe antiche.

N° 37 costumi incisi ed acquerellati, la maggior parte costumi tedeschi.

N° 24 stampe e sette legate con copertina rossa Album con N° 95 ricordi di vari artisti.

NOTE AL CAPITOLO II

(1) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte...”, p. 13.

(2) Cfr. lett. A, pos. 2, fasc. I, nel P.I.C.

(3) CAUSA, 1956, p. 88.

(4) J.J. Rubby, stabilitosi a Rona dal 1777 vi morì all’età di 62 anni il 21.8.1812. Anche il THIEME BECKER, 1966, vol. XXIX, p. 136, attribuisce il dipinto a Rubby e a Catel.

(5) LUTTEROTTI, 1940, tav. 124.

(6) Questa fotografia e quelle n. 4, 12, 22, 78, 82, sono state realizzate da diapositive che ho trovato nel P.I.C. e facenti parte delle illustrazioni del condensato del Geller.

(7) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte...”, p. 18.

(8) THIEME BECKER, 1966, vol. VI, p. 181.

(9) Cfr. nota 3, p. 14.

(10) Ibidem, p. 10.

(11) SCHACK, 1889, p. 205.

(12) ROTILI, 1954, fig. 8.

(13) Cfr. nota 6; KERN, 1911, p. 85. Anche il GELLER in “F. Catel nel centenario della morte...”, p. 7. data il dipinto “in quegli anni” riferendosi alla fine del secondo decennio.

(14) FERRARI-PICONE-SCAVIZZI, 1962, p. 14, tav. XIII. Dahl dipinse un’altra “Veduta da Quisisana” nel 1820 conservata nel Museo di S. Martino a Napoli (CAUSA, 1956, p. 88).

(15) BOETTICHER, 1948, vol. I, p. 173.

(16) Ibidem.

(17) GELLER, 1952, p. 45.

(18) GELLER, Monaco 1961, p. 500.

(19) NASJONALGALLERIET, 1957, p. 18.

(20) BOETTICHER, 1948, vol. I, p. 173.

(21) Il libro del Wackenroder “Effusioni del cuore di un monaco amante dell’arte” è del 1797.

(22) Cfr. nota 6. Per la datazione vedi GELLER, “F. Catel nel centenario della morte...”, p. 18.

(23) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte...”, p. 18.

(24) COMANDÉ, 1950, tav. 8.

(25) ORTOLANI, 1970, tav. 2.

(26) BOETTICHER, 1948, vol. I, p. 175.

(27) KUNSTBLATT, 7.5.1829, n. 37, p. 145.

(28) POENSGEN, 1961, fasc. V, p. 253.

(29) POENSGEN, 1966, fasc. III, p. 183.

(30) POENSGEN, 1961, fasc. V, p. 260.

(31) Ibidem, pp. 253, 259.

(32) BOETTICHER, 1948, vol. I, p. 174.

(33) KUNSTBLATT, 20.5.1834, n. 40, p. 160.

(34) Cfr. nota 32.

(35) Ibidem.

(36) GIORNALE ARCADICO, 1820, vol. VII, p.120.

(37) KUNSTBLATT, 11.5.1837, n. 38, p. 152.

(38) Cfr. nota 6; GELLER, “F. Catel nel centenario della morte...”, p. 18.

(39) KUNSTBLATT, 17.5.1824, n. 40, p. 159.

(40) BOETTICHER, 1948, vol. I, p. 174.

(41) RUHMER-GOLLERK-HELMANN-KÜHN-LÖWE, 1969, tav. 85.

(42) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte...”, p. 15.

(43) Cfr. nota 6.

(44) Cfr. nota 42.

(45) POENSGEN, 1961, fasc. V, pp. 254, 255, 256.

(46) Ibidem, p. 256.

(47) KATALOG NEUEN PINAKOTHEK, p. 32. Il dipinto ad olio su tela cm. 62x75 è firmato.

(48) KUNSTBLATT, 17.5.1824, n. 40, p. 159.

(49) Cfr. nota 47. Il dipinto, olio su tela cm. 6x74, è firmato ed è conosciuto anche con il titolo di “Tramonto del sole a Napoli” (BOETTICHER, 1948, vol. I, p. 174).

(50) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte...”, p. 12.

(51) LUTTEROTTI, 1940, tav. 23.

(52) Cfr. lett. A, pos. 2, fasc. I nel P.I.C.

(53) Cfr. lett. A, pos. I, fasc. 2 nel P.I.C.

(54) Cfr. lett. E, pos. 9 nel P.I.C.

(55) Cfr. lett. A, pos. I, fasc. 2 nel P.I.C.

(56) FERRARI-PICONE-SCAVIZZI, 1962, tav. 21 e 26; CAUSA, 1956, p. 70.

(57) CONSIGLIO, 1934, tav. 12.

(58) Cfr. nota 48.

(59) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte...”, p. 14.

(60) Ibidem, pp. 3, 18. Cfr. nota 6.

(61) Cfr. nota 48.

(62) KUNSTBLATT, 16.4.1821, n. 21, p. 124.

(63) Cfr. nota 60.

(64) GIORNALE ARCADICO, 1819, vol. IV, p. 383.

(65) Cfr. “Lavoro riordinamento archivio, ricerca notizie sui quadri”, p. 2 nel P.I.C.

(66) GELLER, Roma 1961, p. 34.

(67) K.P. Brüloff nacque a S. Pietroburgo nel 1799 e morì a Marciano presso Roma il 23.6.1853. Nel maggio 1823 venne in Italia e si fermò a Roma salvo alcuni viaggi come quello del 1835 in Grecia e in Turchia.

(68) GELLER, Monaco 1961, p. 501.

(69) Cfr. nota 59, p. 15.

(70) L. Passini (1832-1903).

(71) SCHETTINI, 1967, vol. I, p. 91.

(72) CAUSA, 1966, tav. 8.

(73) Ibidem, fig. 7.

(74) BOETTICHER, 1948, vol. I, p. 173.

(75) GIORNALE ARCADICO, 1820, vol. VII, p. 119.

(76) Ibidem.

(77) Cfr. nota 74.

(78) Ibidem.

(79) MEMORIE ROMANE DI ANTICHITÀ, 1826, vol. III, p. 336.

(80) Cfr. nota 74.

(81) Ibidem, p. 174.

(82) THIEME BECKER, 1966, vol, VI, p. 81.

(83) KUNSTBLATT, 16.6.1831, n. 48, p. 191.

(84) Ibidem.

(85) BOETTICHER, 1948, vol. I, p. 174.

(86) Ibidem.

(87) KATALOG NEUEN PINAKOTHEK, p. 32.

(88) Ibidem.

(89) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte...”, p. 11.

(90) Ibidem, pp. 18, 19.

(91) SEUBERT, 1878, vol. I, p. 246.

(92) Ibidem.

(93) Cfr. nota 85.

(94) THIEME BECKER, 1966, vol. VI, p. 181.

(95) KUNSTBLATT, 29.9.1836, n. 78, p. 320.

(96) KUNSTBLATT, 7.2.1839, n. 12, p. 46.

(97) Cfr. nota 94.

(98) La donazione è scritta nel codicillo al testamento del 6.8.1848, posto alla lett. A, pos.2, fasc. I nel P.I.C. mentre l’elenco si trova nella lett. A, pos. I, fasc. 2 sempre nel P.I.C.

(99) L’inventario è stato compilato il 9.6.1874 e collocato alla lett. A, pos. I, fasc. 2, nel P.I.C.

CAPITOLO III

PROFILO CRITICO DELLA SUA OPERA PITTORICA, DELLA SUA FORMAZIONE E DEL SUO SVILUPPO

 

Catel, uomo e artista, è stato troppo trascurato dalla moderna critica d’arte per cui ancora oggi resta sconosciuto ai più ed anche chi si è occupato di lui o ne ha semplicemente preso a parlare lo ha fatto in maniera sommaria e quasi sempre inesatta. Da scoprire totalmente è quindi la sua giusta collocazione nel panorama dell’arte contemporanea e recuperare la sua opera piena di spunti felici e poetici. Purtroppo si conosce molto poco della sua attività artistica prima e durante il soggiorno parigino, così che gli inizi e la sua formazione appaiono per sommi capi. È certo, come abbiamo già visto, che nei primi anni Catel dovette subire l’influenza del Chodowieki e della pittura classicista (1), ma già all’inizio del 1800 troviamo nella sua arte non solo istanze di superamento della tradizione settecentesca ma opere di pieno romanticismo, come il bellissimo “Mulino ad acqua” del 1801 (vedi opera n. 78). In questo primo periodo cominciò come disegnatore, incisore e acquerellista, attività questa che coltivò per tutta la vita, facendo rari esperimenti nella pittura ad olio (2).

A Parigi l’arte di Catel, trovando una diversa temperie culturale, subisce una profonda svolta e per molti aspetti un’involuzione sul piano stilistico e concettuale. A contatto con l’iconografia napoleonica la sua pittura subisce l’influsso neoclassico, fino a raggiungere i toni più scialbi ed esteriori di esso, come dimostrano le opere n. 1 e 2 che seguono immediatamente quegli anni e non è immune neanche dalla pittura celebrativa (3). È probabile però che quanto d’incerto, di faticoso, di rigido è presente nell’esecuzione di quei dipinti, si deve in parte anche all’impiego della nuova tecnica ad olio, evidentemente non subito assimilata dall’artista. Anche altre fonti ci confermano queste sue nuove scelte artistiche.

Scrive il Nagler: “Già a Parigi Catel aveva acquistato un’abilità straordinaria, ma in quel tempo dava troppa importanza alla maniera francese” (4); e il Thieme Becker: “Durante il periodo parigino faceva propria la brillante tecnica francese, una tendenza al largo uso decorativo con splendidi effetti di luminismo” (5). Con il suo viaggio in Italia, molto più importante e decisivo per la sua pittura, egli superava la “maniera francese” e acquisiva un modo totalmente nuovo di dipingere, sia dal punto di vista stilistico che tematico e più rispondente al suo carattere. Sebbene dapprincipio fosse in contatto con i Nazzareni e ne condividesse le prime esperienze di vita a Roma, nella sua arte è completamente assente ogni riferimento al primitivo, al purismo e del tutto differente è il soggetto trattato da Catel, senza dubbio più libero e moderno. Egli era più attratto dall’azzurro assolato paesaggio italiano, dalla radiosa freschezza dei golfi e dalla semplice gente del popolo per cui, a differenza dei Nazareni che restarono a Roma e dei tedeschi in genere che preferirono Olevano Romano, Franz fu uno dei primi a recarsi nel Sud Italia (6). Qui, dopo il suo arrivo, “si dedicò presto ai soggetti smerciabili della pittura, come le vedute italiane e i quadri di genere, che trattava con successo e con notevole ma superficiale abilità, con splendidi effetti di luce, di aria e di acqua, con cui talvolta si abbandonava al romantico fantastico ma senza veri sentimenti di stati d’animo” (7).

Il giudizio del Thieme Becker è riassuntivo e non del tutto esatto anche perché questa ultima qualità della sua pittura si deve riferire piuttosto ad una data più tarda, ma mostra bene come la scoperta dela luce e della natura meridionale gli avessero svelato una tavolozza sempre più chiara, luminosa e libera dai precetti e dalla tradizione del tempo.

Inizialmente le sue vedute del golfo di Napoli, di Roma e della Campagna furono dipinte con poche o senza figure (8) per lo più su piccolo formato (9) e ciò dimostra già con quaIe libertà interpretativa si fosse accostato al paesaggio.

Molti autori fanno dipendere a torto la pittura paesistica italiana del Berlinese da quella del Koch, come scrive ad esempio il Thieme Becker: “Catel appartiene a quel vasto gruppo di stilisti di paesaggio che erano più o meno dipendenti da Koch”.

Anche l’Ortolani afferma che Catel “seguì dapprima il Koch” e il Geese lo qualifica “un seguace romantico del Koch” (10).

Questi giudizi sono inesatti perché egli nonostante avesse avuto stretti contatti con lui non ne subì l’influenza.

Dice bene il Lichtenberg-Jaffè quando asserisce che: “Anche se egli personalmente si unisce ai paesisti tedeschi in Roma che seguivano l’indirizzo del Koch tuttavia non per questo egli deve essere annoverato fra uno di questi”(11).

Infatti, nella pittura di Catel mancano del tutto gli elementi caratteristici dell’opera del Koch e precisamente il paesaggio immaginario costruito drammaticamente, la grandezza e maestosità della natura “eroica”, “universale” “classicità” con la sua luce di solito fredda, neutra e chiara. È vero che in molti paesaggi di Franz vi sono reminiscenze classiciste, ma questo recupero appartiene ad anni più tardi e si deve piuttosto mettere in relazione con l’ambiente sempre vivo in Roma, dall’estetica classicheggiante.

D’altronde, anche sul piano cronologico non è possibile sostenere una simile dipendenza.

Quando Catel venne a Roma alla fine del 1811, Koch si trasferì subito a Vienna fino al 1815 per poi tornare l’anno seguente in Italia (12), ma a questa data la pittura di Franz si era già formata e con quelle caratteristiche che lo contraddistingueranno per sempre. Una preziosissima testimonianza al riguardo ci è data dal conte Gregorio Orloff che nell’ultimo capitolo del suo “Essai”, edito nel 1823 ma riferentesi al suo soggiorno romano del 1815 e napoletano del ’16-’17, scrive: “Cattel, originario prussiano, non è men valente paesista che pittore di genere e di prospettiva. Fedele imitatore della natura, niuno seppe meglio di lui rappresentarla. Siti, figure, prospettive, tutto si abbellisce sotto il suo pennello. Questo artefice non è meno commendevole pel colorito che pel disegno; e difficilmente se ne trovano di più gentili de’ suoi, o di più veri” (13).

In quel “fedele imitatore della natura” e in quel “difficilmente se ne trovano di più veri” l’Orloff ci descrive il pittore attentamente rivolto verso lo studio della realtà e già padrone dei vari generi artistici.

Le “Piramidi d’Egitto” di questo periodo stanno a dimostrare, oltre alla fama e abilità che dovette raggiungere per essere chiamato ad affrescare il palazzo Zuccari, questa avvenuta trasformazione. Vi si nota infatti la pennellata sciolta, l’attenzione per la verità del paesaggio e le piramidi, lungi dall’avere un aspetto monumentale sono come inserite in un’aperta campagna che si carica di suggestione e di poeticità. Anche le Memorie Enciclopediche del 1816 confermano a loro volta la maestria del pittore nel dipingere i soggetti più vari, “lo studio del sullodato Sig. Cattel merita di essere veduto per diversi suoi dipinti storici, ed altri nel genere dei sotterranei” (14).

Per comprendere le ragioni e le cause di questo profondo rinnovamento e dei suoi sviluppi nel corso del secondo decennio bisogna prendere in esame da una parte l’ambiente napoletano, con il quale ebbe un primo contatto nel 1812-’13 e dall’altra quello romano, come vedremo in seguito.

Tra Roma e Napoli dunque si determina la sua personalità di artista. Giunto, qui, la novità che immediatamente si presentò a Catel, fu quella di trovare Una precisa tematica di paesaggio, motivi, inquadrature che farà proprie e svilupperà per il resto della sua vita. Dovette però restare insensibile di fronte al vedutismo obiettivo, puntuale e illustrativo dell’Hackert, del Kniep o del Wutky di discendenza settecentesca, come ci testimoniano le fonti di questo periodo e i dipinti che seguono immediatamente.

Molto più importante e ricco per la formazione del suo nuovo linguaggio pittorico fu il contatto con gli anonimi pittori delle “Gouaches” popolari che venivano vendute ai forestieri per pochi soldi (15).

Queste tempere su carta, che avevano raggiunto il massimo della fioritura nei primi anni del 1800, nascevano fuori dello studio (16) senza alcun impegno di ufficialità ed erano tutte improntate alla precisa riproduzione del costume popolare, del Vesuvio in eruzione, del paesaggio campano, dei suoi golfi e delle sue spiagge incantate.

Nulla di rozzo e di approssimativo era presente nelle modeste tempere napoletane, nonostante la casualità della ricerca e il palese movente pratico che le ispirava. Soprattutto nelle più antiche vi è una dignità di cultura una pienezza di linguaggio formale da costituire spesso un’autentica sorpresa non solo rispetto ai risultati correnti della vecchia pittura ma anche perché si sentono vibrare in esse quelle nuove esigenze della pittura europea di paesaggio (17). È qui che si deve ricercare la prima formazione di Catel paesista e pittore di costumi popolari; egli stesso forse non deve essere accomunato tra quei pittori anonimi avendo dipinto in quegli anni gli stessi soggetti per i turisti che giungevano dal nord?

A Roma “al contatto del Voogd e olandesi romani, e probabilmente del Dahl medesimo, che nel ’21 si trattenne alquanto a Roma, divenne uno tra i primi propagandisti del realismo e dell macchia, classicisticamente raffrenata” (18).

L’Ortolani sintetizza, e con qualche in certezza, uno svolgimento dell’arte di Catel che abbraccia un periodo molto più vasto ma c’informa bene sui suoi rapporti romani.

In questo ambiente da una parte approfondisce le premesse della nuova pittura acquisite a Napoli con una più attenta ricerca del vero di matrice fiamminga, ed infatti in molte sue opere si avvertono ricordi olandesi, primo fra tutti quelle vedute a volo di uccello riscontrabili in quasi tutte le sue pitture e riconducibili fino agli antichi paesaggi di Paul Bril, dall’altra è influenzato dal paesaggio classicheggiante di discendenza seicentesca. Per mancanza di documentazione è difficile stabilire le reciproche influenze nelle loro sfaccettature ma è certo che Catel se ebbe da loro suggerimenti e stimoli vi diede la sua personalissima impronta, soprattutto per quanto riguarda una maggiore aderenza al reale, vivificato da un’attenta analisi della luce solare.

Lo studio degli olandesi romani quali Hendrik Voogd (19), Abraham Teerlink (20) ed altri della loro schiera come Giambattista Bassi (21), si rende ora necessario per capire le diverse personalità e tendenze stilistiche.

Il Teerlink fu tra questi paesisti il più vicino al Voogd e l’Orloff lo definì quello che meglio di ogni altro “s’accostò all’antica maniera fiamminga”, “il Magni precisò a ragione, come scrive l’Ortolani, che il suo fare è più “tedesco”, troppo finito e di freddo colore” il Ricci, Mattei e D’Azeglio lo ricordano ad ogni modo fra i maestri di questo verismo ma fu “un temperamento meno sensibile del Voogd” (22).

Quest’ultimo invece è passato alla storia come il “Claude olandese” dei nuovi tempi, ma in verità cominciò con un gusto affine al Wille, Boissieu, al Kobel, dipingendo e incidendo i motivi paesistici del ’600 olandese, sempre più italianizzati e svolti verso l’inevitabile classicismo” (23).

Il Bassi, potremmo dire che sintetizza le caratteristiche dei due pittori sopra accennati. Era notoriamente famoso per novità di naturalismo già prima del 1815 e stimato fra i paesisti migliori di Roma.

L’Orloff, riferendosi a sue esperienze romane del 1815-’16, scriveva di lui: “Tra i paesisti nazionali è assai riputato in Roma il bolognese Bassi, artista di non comune ingegno, che dipinge con gusto e vivacità nel buon stile italiano; e vedesi che tutti i suoi quadri sono presi dal vero, ch’egli sa perfettamente rappresentare. Egli si è formato una maniera tutta sua graziosa e delicata” (24). A Milano egli espose sempre insieme ai maestri dell’internasionalismo romano tra cui il Voogd e il Nuovo Ricoglitore, recensendo le mostre di Brera del 1826-’27, scrisse che nelle sue opere si nota “la maniera di Claudio”.

Amico Ricci nel 1835 pone il Bassi sullo stesso piano del Voogd, del Teerlink e del Catel (25) ma non sappiamo se si riferisce a quegli anni oppure a qualche decennio addietro.

Una importantissima testimonianza, che riesce a fare più luce in questi delicati rapporti, ci viene dal Kunstblatt del 19.4.1824 nel quale si dice: “Tra i più giovani artisti che vivono a Roma in questo momento Reinhold si avvicina al primo modo (e cioè ad una esecuzione minuziosa dei particolari che non tiene tanto presente l’intera composizione), mentre altri uomini di grande abilità e talento, Catel e Rebell, cercano di rendere l’impressione del tutto con un’esecuzione larga e leggera.

La verità della rappresentazione che hanno raggiunto si verifica di meno in altri che lodano lo stesso modo di fare, come Teerlink e Bassi che non lo sanno rendere” (26).

Un’ulteriore testimonianza dei contatti che Catel ebbe con la pittura olandese ci viene da Lichtenberg-Jaffè e da August Kestner. Il primo scrive che il modo di trattare la luce deriva dallo studio degli olandesi (27) e il secondo annota il 3.5.1818 una visita presso Catel nel seguente modo: “Paesaggio a Napoli (grande), esso non ha il calore della natura napoletana ma in alcune parti grande verità nella presenza dello stesso. Molto belli per gli effetti: il giovane pellegrino, il cavaliere che si vuole far vestire dai monaci certosini, la monaca che aspetta la vestizione dell’indomani, il castello della regina Anna con il mare al chiaro di luna e due monaci certosini. Sia la capanna del barcaiolo con gli utensili della casa e la padrona che lavora e il mare e il Vesuvio sullo sfondo e sia il primo piano con molte figure davanti al mare e al Vesuvio sono molto interessanti, ambedue nello stile olandese” (28).

Un’importante incontro che bisogna necessariamente postulare durante questo secondo decennio, anche se manca di una vera documentazione, è quello di Catel con Joseph Rebell e François Marius Granet, i quali stavano sviluppando al pari del Berlinese un attento studio della luce atmosferica e una pittura svincolata dalla minuziosa riproduzione del vero.

L’austriaco Rebell (1787-1827) fu attivo a Napoli dal 1813 al 1815, e poi ancora verso il 1827 per cui Franz ebbe modo di vederlo durante i suoi frequenti soggiorni nel napoletano.

Di lui scrive il Causa: “Punto di fusione, questo di Rebell, di un lungo e complesso travaglio della cultura figurativa napoletana, elemento determinante per la maturazione di Pitloo, e, attraverso la sua mediazione della Scuola di Posillipo”, e aggiunge che il suo colore “accende la composizione tutta impostata sulla ricerca degli effetti solari” (29).

Granet (1775-1849) si stabilì a Roma dal 1802 dove lavorò fino al 1824 con grandissimo successo, dopo l’iniziale cultura davidiana, e lo studio al Louvre dei “petits-maitres” fiamminghi ed olandesi.

Era specialista in vedute architettoniche, interni di chiese e monasteri con piccoli personaggi ma egli fu grande nei piccoli studi di paesaggio dal vero in cui l’attenzione per la luce atmosferica era determinata da un rapporto di masse di luci ed ombre (30).

È molto probabile che Catel abbia tratto parecchi spunti da queste due grandi personalità e precisamente la libertà e spigliatezza del tocco dal Rebell, gli interni dei monasteri, frequenti nella sua pittura, dal Granet.

Inoltre, da ambedue gli artisti può aver approfondito l’analisi della luce, portandola ad un grado di compiutezza già verso la fine del secondo decennio, come si vede nelle tre belle incisioni n. 79, 80, 81. Le vedute mostrano quella peculiarità della sua pittura d’incorniciare per mezzo di colonne, grotte, archi, pergolati, alberi, il panorama illuminato dal sole o dalla luna. Ciò si riscontra sia nella sua produzione successiva che in quella precedente come dimostrano l’opera n. 2 e le illustrazioni eseguite per Kotzebue (31), solo che qui il motivo assolve ad un’altra funzione che non è più quella esclusiva d’incorniciare ma di porre in netto contrasto il primo piano in ombra con il secondo in luce per realizzare effetti di luminismo, di spazialità e profondità e soprattutto per accentuare la luminosità del paesaggio, il quale svolge sempre una funzione determinante e solo raramente fa parte della quinta.

L’interesse di Catel non si sofferma a questo rapporto di interno ed esterno ma si estende a tutte quelle vedute che permettono un contrasto fra la terra, l’acqua ed il cielo, come nel “Teatro di Taormina”.

Queste opere del 1818 rivelano quanto Catel fosse sensibile allo studio della luce naturale e realizzasse un piglio disinvolto e sintetico che caratterizza la nuova ricerca formale.

Soprattutto il dipinto ad olio manifesta quale livello artistico avesse raggiunto in quel tempo nella formulazione di un paesaggio autonomo e ritratto dal vero.

Il passo per la grande stagione del 1820-’21 è ormai vicino e non attende altro che l’incontro con il grande paesista J.C. Dahl. Sono questi gli anni più felici in cui Catel ha dato il meglio di sé stesso e si affianca ai migliori paesisti non solo d’Italia ma d’Europa.

Accanto al Dahl dipinge studi all’aria aperta (32) ed è qui che sotto gli incitamenti del più autorevole maestro, Catel si libera e riesce a creare opere che hanno dell’impressione e una scioltezza che eguaglia lo stesso Dahl.

Lo stupendo “Golfo di Napoli visto da Quisisana” non preannunzia la Scuola di Posillipo ma le “pochades” di Corot per l’intensità con la quale Catel è entrato in contatto con la natura svelandone come d’incanto il suo fascino e la sua potenza. Quasi certamente Catel non si accorse di queste intime vedute italiane con cui aveva scoperto una nuova pittura, libera da ogni influsso di scuola e dai modi del paesaggio corrente. Infatti terrà solo per sé questi “attrezzi che gli servivano per dipingere” (33) e continuerà ad inviare alle mostre i dipinti ufficiali che nascevano nel chiuso dello studio e con l’artificiosità delle composizioni faticosamente costruite.

Catel però non cesserà mai di dipingere i suoi “studi fatti sul vero” (34), come egli stesso ci fa sapere, ma non oserà mostrare l’intimo diario dei paesaggi suoi e delle sue figure del quale noi oggi possediamo purtroppo ben poca cosa. Proprio in questi bozzetti e soprattutto nelle vedute si deve ricercare l’attualità di Catel ed il profondo valore della sua pittura, nonché quella continuità di cui manca la sua opera ufficiale. C’è in essi quella semplicità, libertà e freschezza di esecuzione, quell’aderenza al reale, quella tematica aliena dai luoghi e dai soggetti troppo celebrati che ne costituiscono il filo conduttore e la loro sostanziale novità e vitalità. Però, pur mantenendosi quasi tutti su di uno ottimo livello, difficilmente si avvicinano per modernità e afflato lirico a quelli del 1820-’21.

I consensi critici che ebbe e le doti del paesista che gli furono riconosciute dai contemporanei si riferivano esclusivamente ai dipinti “finiti” esposti nelle mostre, che tuttavia non lo dispensarono da pesanti giudizi negativi come quello del Toelken, coevo di Blecken, il quale disse persino che “le vedute di Hackert e di Catel non erano riuscite a cancellare il paesaggio arcadico dalla comune immaginazione dell’Italia” (35).

La critica di questi anni e quella successiva elogiò allo stesso modo il paesista, il pittore di genere e di prospettiva, soffermandosi ora di più su un aspetto ora su un altro.

Scrive il Kunstblatt del 1822: “Tra i cosiddetti pittori di genere Catel a Roma è il più dotato di talento” (36) e quello del 1824 afferma che “tra gli eccellenti pittori di paesaggio anche Catel dovrebbe essere nominato, ma dato che egli raffigura le vedute, la prospettiva e le figure con identico talento e spesso fonde felicemente questi tre soggetti nei suoi quadri, allora lo si pone con maggior ragione fra i pittori di genere” (37).

Il medesimo giornale aggiunge: “Catel, Granet e Robert trovano un punto in comune nel descrivere aspetti della vita popolare, della natura e dell’arte con straordinaria fedeltà, con gusto e visione vivace, benché si distinguano poi nella scelta dei soggetti da loro resi perfettamente”.

Un’importante testimonianza ci viene dal Nagler del 1835 che è un po’ una panoramica critica della sua arte e rispecchia bene il modo in cui fu tenuto in considerazione presso i contemporanei.

Catel è un pittore universale perché raffigura storie, paesaggi e pittura di genere con identico successo. Lo scenario, la prospettiva, le figure testimoniano ovunque un maestro in piena maturità che possiede tutti i mezzi a disposizione. Uno studio profondo della natura e interpretazione poetica, un limpido senso del colore, correttezza nel disegno e virtuosità nell’uso del pennello. Rende l’armonia incantevole del cielo italiano e dello specchio d’acqua sotto il profumo emanato dal sole sempre con la sicurezza e leggerezza, poco fa affermata, del pennello. Dipinge marine con effetti straordinari, quadri di genere ingegnosi, interni con effetto ingannevole di prospettiva e le sue variate vedute formano un ciclo intero” (39).

Con notevole interesse ora si devono studiare i rapporti e le influenze che ci furono fra Catel e la Scuola di Posillipo ed in particolare con il Pitloo, non solo perché non è stato mai fatto un raffronto del genere ma anche perché ciò permette di dare un quadro più completo della nascita della detta Scuola.

Stranamente, trattando delle origini della Scuola di Posillipo non si è mai fatto il nome di Catel e ciò è abbastanza significativo a spiegare l’oblio in cui è caduto il pittore.

Solo l’Ortolani si limita a dire che “dopo il Rhoden ebbe maggior fama e influsso da noi D. Catel” ed ancora che “i contatti dell’ambiente pittorico italiano col Dillis, col Rhoden e seguaci, col Catel, col Dahl, col Bleken, fino verso il ’30 sono stati sempre trascurati, lasciando credere che i tedeschi non abbiano fatto e insegnato da noi se non del purismo classicheggiante e letterario. Invece le nuove forze furono ben presenti e seguite” (40).

Da un attento esame cronologico e stilistico delle opere di Catel, di Pitloo e dei posillipisti si vedrà bene come il Berlinese alla fine del secondo decennio avesse raggiunto dei risultati formali e pittorici che saranno poi seguiti da loro. Un primo contatto fra i due, se pur limitato alla sola conoscenza, dovette esserci quando Pitloo venne a Roma nel 1812, poco più che ventenne e ancora del tutto sconosciuto, dove visse per tre anni in intimo sodalizio con il Teerlink, con il quale divise lo studio nel convento di Trinità dei Monti (41).

Oltre alla data accertata del 1826 che li vide insieme alla mostra partenopea del 4 ottobre, Pitloo dovette incontrarsi altre volte con Catel nel corso dei soggiorni di questi nel Napoletano, dove l’olandese si stabilì dopo il 1815 e durante i frequenti viaggi di quegli a Roma, nel 1819 vi si recherà più volte e nel ’20 per sposarsi (42).

Un primo rapporto artistico fra i due si avverte nella “Veduta di San Giorgio in Velabro dall’arco di Giano Bifronte” di Pitloo (43), in cui il motivo centrale à costituito dallo studio della luce entro una veduta obiettivamente determinata.

Anche l’Ortolani afferma che “a Teerlink e all’affine Catel va ricordata la formula seguita dal Pitloo nella “Chiesa di S. Giorgio in Velabro”, per uso monotono delle terre brune, per la fredda intensità del partito luminoso, pel verismo scabro e triste pur nella fattura liscia, come a vernice” (44).

Uno studio più attento di questo dipinto, “eseguito con ogni probabilità nel 1820” (45) e acquistato dal re d’Olanda nello stesso anno (46), si rende necessario per mettere in rilievo i diversi risultati raggiunti a quella data dai due artisti.

Mentre Catel è rivolto verso esperienze di avanguardia Pitloo è definito dal Biancale “un neoclassico… convenzionale che non sente fluire in sé neppure un filo della grande corrente naturalistica olandese del seicento”. Infatti, il quadro, scrive la Lorenzetti, “… non dimostra certo ancora nessun senso di novità… La tecnica è enfatica, la superficie oleografica… In questo tardo epigono neoclassico italo-olandese la visione di Roma è freddamente enfatica” (47).

Solo l’Ortolani scrive: “Il Pitloo nell’“Arco di Giano” manifesta, nella comune astrattezza ed enfatica vacuità classicista, una predilezione per l’effetto di luce che lo apparenta meglio al Granet” (48).

Vedendo le opere n. 6 e 7 e particolarmente la n. 5 ci si accorge di come Catel fosse fra diretti precorritori delle più mature soluzioni pitloiane e in genere della Scuola di Posillipo, non tanto per il comune tema locale, anche se interpretato in maniera personale e vigorosa, ma per i caratteri formali di questo nuovo vedutismo e per quella nuova capacità di emozione lirica che investe il paesaggio. Ciò, appare più evidente se si considera che ancora nella mostra del 1826 Pitloo, presente con la “Veduta di Pesto coi bufali al pascolo” raggiunge “il punto massimo del classicismo” (49). Catel con il Rebell rappresenta l’ultimo anello di congiunzione fra la vecchia e la nuova pittura paesistica e forse più degli altri dettero maggiore impulso a questo rinnovamento per i loro lunghi soggiorni nel napoletano.

I contatti con il Gigante, iniziati con tutta probabilità intorno al 1826, se non proprio in occasione della mostra, sono più documentati e si protraggono maggiormente nel tempo ma nelle loro opere non si avvertono reciproche influenze.

Benché non si abbia alcuna testimonianza dei rapporti di Franz con il russo Silvestro Schedrin, che fu uno tra i protagonisti della pittura del terzo decennio a Napoli, il dipinto di questi, “Cortile rustico sotto il Vesuvio” del 1825, (vedi opera n. 106), mostra evidenti somiglianze con molte opere di Catel. Qui l’artista russo non solo tratta lo stesso soggetto popolare, ma utilizza i medesimi elementi compositivi del Berlinese, come la natura morta posta in terra, il pergolato, che oltre a fungere da cornice separa la zona d’ombra da quella illuminata, il mandolinista, ecc. È molto probabile quindi che lo Schedrin avesse visto qualche opera di Catel, restandone influenzato e non può essere viceversa per la completa maturità artistica che Franz aveva raggiunto.

Un capitolo a parte formano le opere “di maggior impegno”, totalmente differenti dai bozzetti per l’esecuzione attenta, minuziosa, di solito fredda, per l’artificiosità del soggetto molto spesso idealizzato. Di rado esse raggiungono il valore poetico degli studi e quando ciò avviene lo si deve al pittore attentamente rivolto verso la realtà; sono proprio queste notazioni naturalistiche che quasi sempre riscattano il dipinto dal mestiere. Un accentuarsi delle istanze classicheggianti e neoclassiche si avverte nelle opere eseguite tra la fine del terzo e l’inizio del quarto decennio (vedi opere n. 15, 17, 18). Si ha l’impressione che il pittore non abbia mai vissuto l’esperienza dahliana e non abbia dipinto altro che composizioni retoriche, né valse a distrarlo da questi dipinti l’incontro con il Blecken alla fine del 1830, il quale pure dovette trarre insegnamento dai suoi studi.

Scrive il Kern: “Gli studi e i quadri di Catel possono aver influenzato il Blecken” (50), ma meglio ancora e con più precisione il Novotny afferma che “nella rappresentazione della luce J. Rebell, J.M. Rhoden, F. Nerly e F. Catel sono fino ad un certo punto precursori del Blecken. Anche nei loro paesaggi c’è molta luce ma splende nei soggetti disegnati austeramente e per lo più severamente modellati, dandogli forma ed accentuando il loro volume e sostanza, senza tradurli nel linguaggio della pittura” (51).

Bisogna aggiungere che questo, però, è valido soprattutto per le opere ufficiali e se è vero che nei suoi dipinti permane il disegno e la luce intesa come rapporto di masse, molti deliziosi studi raggiungono la freschezza e il guizzo degli schizzi del Blecken. Si veda per tutti l’opera n. 76.

Un altro aspetto della sua pittura di questo periodo è rappresentato dalle opere romantiche che costituiscono un buon livello qualitativo.

Particolarmente poetici sono quei dipinti elegiaci, come lo studio della Via Appia n. 19, in cui Catel effonde il proprio sentimento, ma ugualmente efficaci e pieni di vigore sono quelle scene raffiguranti fenomeni naturali resi con vivo realismo unitamente all’intima partecipazione dell’artista, come nell’opera n. 21.

Catel non ha avuto veri e propri allievi, solo il pittore Salomone Corrodi frequentò il suo studio in Roma nel 1832 (52), ma ebbe grande influenza sui giovani pittori che intorno al 1825 vennero in Italia per completare gli studi.

Fra questi vi sono D.W. Lindau, C.W. Götzloff, Benno Törmer, F. Nerly e F. Helmsdorf che Franz fece venire da Strasburgo (53). Con gli anni Catel perdette quella facilità e freschezza nel dipingere, i soggetti divennero piatti e convenzionali e lo stile si conformò a quello sentimentale e aneddotico del tardo romanticismo.

Lo zar e il re del Württemberg ordinavano le stesse composizioni e l’artista certamente non si rifiutava di accontentare tale clientela (54).

Quanto ci riferisce il Geller lo troviamo confermato nel Kunstblatt dell’8.9.1842: “Da un po’ di anni a Roma molti artisti sono al servizio di Sua Maestà il re di Württemberg e molte cose belle sono andate a Stuttgart. Catel ha consegnato una sua gondola in una grande tela, così come una scena notturna con la veduta del porto di Genova per lo stesso (re)” (55).

Quello che emerge da un’analisi globale della sua opera, che purtroppo è difficile seguire nei suoi particolari per scarsezza di date, è la mancanza di una coerente continuità, precedentemente sottolineata, che dia uno sviluppo organico alla sua evoluzione. Spesso le multiformi tendenze tematiche e stilistiche non solo si susseguono ma si sovrappongono.

Conseguentemente a questo scaturisce un’altra sconcertante caratteristica di Catel: quella di essere debole pittore e grande innovatore. Così si stenta a capire come possono nascere figure tanto stucchevoli e aride, come per esempio quelle raffigurate nei dipinti n. 2, 23, 35 ed altre in cui coglie la palpitazione fisica, il fremito morale, la vita. Ciò è riconducibile a quella doppia vita di Catel, del pittore ufficiale soggetto alla moda e all’estetica del tempo e del pittore segreto, vivo d’intensi sentimenti.

NOTE AL CAPITO III

(1) GROTE, 1948, fasc. 3-4, p. 65.

(2) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte…”, p. 4.

(3) NAGLER, 1835, vol. II, p. 435. Cfr. cap. I, nota 56.

(4) Ibidem.

(5) THIEME BECKER, 1966, vol. VI, p. 180.

(6) NOACK, 1927, vol. I, p. 483.

(7) Cfr. nota 5.

(8) GELLER, Monaco 1961, p. 499.

(9) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte...” p. 7.

(10) ORTOLANI, 1970, pp. 48, 193.

(11) LICHTENBERG-JAFFÈ, 1907, p. 70.

(12) ANDREWS, 1964, p. 135.

(13) ORTOLANI, 1970, p. 33; ORLOFF, 1823, p. 32.

(14) MEMORIE ENCICLOPEDICHE, 1817, p. 40.

(15) CAUSA, 1956, p. 41.

(16) Ibidem, p. 71.

(17) Ibidem, p. 42.

(18) ORTOLANI, 1970, p. 193.

(19) H. Voogd nacque ad Amsterdam nel 1766 o 1767, fu pensionato a Roma per tre anni dal 1788 a spese della Società per le Scienze di Haarlem e vi rimase fino alla morte avvenuta il 4.9.1839. Con il Rebell si recò anche a Napoli dopo il ritorno del governo borbonico (ORTOLANI, 1970, p. 28).

(20) A. Teerlink nacque a Dordrecht il 5.11.1776, fu scolaro per qualche tempo del David a Parigi verso il 1808. Poco dopo si stabilì a Roma, pensionato come il Pitloo, e vi restò fino alla morte, il 26.5.1857 (ORTOLANI, 1970, p. 30).

(21) G. Bassi (1784-1852), s’iscrisse nel 1800 all’accademia di Bologna e quindi venne pensionato per tre anni a Roma dove si stabilì per sempre (ORTOLANI, 1970, p. 59).

(22) ORTOLANI, 1970, p. 30.

(23) Ibidem, p. 28.

(24) ORTOLANI, 1970, p. 60.

(25) Ibidem.

(26) KUNSTBLATT, 19.4.1824, n. 32, p. 126.

(27) LICHTENBERG-JAFFÈ, 1907, p. 70.

(28) JORNS, 1964, p. 120.

(29) CAUSA, 1956, pp. 46, 55.

(30) Ibidem, p. 63.

(31) Cfr. cap. I, note 33, 34.

(32) KERN, 1911, p. 73.

(33) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte...”, p. 14.

(34) Cfr. codicillo al testamento di Catel del 16.6.1848 alla lett. A, pos. 2, fasc. I nel P.I.C.

(35) KERN, 1911, p. 84.

(36) KUNSTBLATT, 27.6.1822, n. 51, p. 203.

(37) KUNSTBLATT, 17.5.1824, n. 40, p. 158.

(38) Ibidem, p. 159.

(39) NAGLER, 1935, vol. II, pp. 435, 436.

(40) ORTOLANI, 1970, pp. 38, 49.

(41) CAUSA, 1956, pp. 62, 63.

(42) Ibidem, p. 112.

(43) ORTOLANI, 1970, p. 136.

(44) Ibidem, p. 30.

(45) Cfr. nota 43.

(46) CAUSA, 1956, p. 65.

(47) Cfr. nota 43.

(48) Ibidem, p. 137.

(49) Ibidem.

(50) KERN, 1911, p. 74.

(51) NOVOTNY, 1971, p. 221.

(52) COMANDUCCI, 1971, vol. II, p. 828. S. Corrodi (1810-1892).

(53) GELLER, “F. Catel nel centenario della morte…”, p. 12; D.W. Lindau (1799-1862); F. Helmsdorf (1783-1852); F. Nerly (1807-1878).

(54) Ibidem.

(55) KUNSTBLATT, 8.9.1842, n. 72, p. 288.

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