La Madonna di Loreto e la corsa degli Zingari di Pacentro
Fu un piacere inaspettato quello che provai nel 1980 a percorrere il borgo medioevale di Pacentro, con le sue stradine e scalinate consunte dal tempo, delimitate da case di pietra che si compenetrano l’una con l’altra, al di sopra di annerite arcate e ordinate cataste di legna per l’inverno. Il vento, sommesse voci e rumori di passi udivo zigzagando da un vicolo e l’altro. I portoni, gli stipiti, le edicole sacre e gli elementi del patrimonio architettonico medioevale e contadino stavano al loro posto, come il tempo li aveva conservati. Non scempi o stravolgimenti edilizi deturpavano gli storici scorci e il panorama con le sue svettanti torri trecentesche mi procurava un trasporto visivo che tuttora permane. Dall’alto i tetti di tegole formavano frammentate geometrie, sempre diverse al mutare della luce. Ma non tutto era rassicurante. Qui e là si vedevano edifici fatiscenti, crolli di solai, case chiuse. Erano i segni inequivocabili di un abbandono, di una fuga verso un altro mondo, di una dolorosa emigrazione, sofferta dall' intero paese. L’incontro con il carattere determinato e allo stesso tempo cordiale della gente mi ha spinto nei decenni successivi a tornare annualmente a Pacentro, soprattutto nella prima settimana di settembre in occasione della festa della Madonna di Loreto con l’abbinata corsa degli Zingari, una gara podistica nota per essere compiuta dai giovani del paese a piedi scalzi lungo i vertiginosi dirupi del dirimpettaio colle Ardinghi. Una sfida iniziatica, in cui si ritrova lo spirito forte di questo territorio abruzzese, condensato nelle parole del conterraneo Ignazio Silone, che in Fontamara fa dire a Berardo Viola :” O la montagna ammazza me o io ammazzo la montagna”. Ed infatti da sempre queste popolazioni hanno strappato alla montagna di che vivere, in una perenne lotta per l’esistenza. Più indagavo e più avvertivo la singolarità della secolare corsa, in cui passato e presente convivono nelle figure quasi eroiche dei ragazzi, che con le loro gesta valicano il primato della ragione, per restituirci un trascinante coinvolgimento emotivo di rara intensità. Ho avuto modo così di vedere avvicendarsi diverse generazioni di giovani, tutti accomunati da una grande volontà a mantenere questa tradizione, in cui orgogliosamente si riconoscono. Attraverso le mie frequentazioni ho avuto anche l’opportunità di osservare piccoli, ma significativi cambiamenti nelle manifestazioni civili e religiose e quindi nell' ambito storico-antropologico di questa ritualità pacentrana.
Svolgimento della manifestazione religiosa e podistica
La festa cade sempre la prima domenica di settembre. Intorno alle ore 9,00 si celebra la Messa nella piccola chiesa della Madonna di Loreto, al termine della quale ha inizio la processione per le vie del paese. Dalla facciata fuoriescono due tagli di stoffa svolazzanti, il premio di un vestito nuovo per i primi due vincitori della corsa. Così nel passato, oggi più che altro un segno della raggiunta prestanza fisica, un trofeo da esibire. Già appena uscito il simulacro della Vergine, almeno fino al secolo scorso, recava nastri su cui erano appuntati in bella vista dollari di varie taglie, che le comunità pacentrane di America, Australia, ogni anno spediscono con generosità, dimostrando così un profondo attaccamento alla terra di origine e in particolare alla festa della Madonna di Loreto, che li riunisce tutti idealmente e nel tempo li richiama a sé, alle comuni radici.
Giunta nella parrocchiale di Santa Maria Maggiore la processione compie una sosta per una seconda celebrazione eucaristica, cui partecipa un numero più elevato di fedeli. La piazza è piena di gente in attesa che spunti la Madonna dall’ artistico portale cinquecentesco, per riprendere il corteo attorno al borgo medioevale. Certamente è il percorso più suggestivo, ma anche più impegnativo per i vicoli stretti e le ripide gradinate, che richiedono abilità da parte degli incollatori per evitare incidenti. Molti aspettano il passaggio della Madonna sull’ uscio di casa per spargere petali di fiori, per un’offerta o per toccare il manto della Vergine in uno slancio di affetto e richiesta di conforto. A rendere più coinvolgente il momento religioso ci sono i brani musicali della banda che si diffondono nell’ abitato, che in questo modo vive il suo annuale giorno di festa. Al rientro nella chiesa lauretana a volte qualcuno fa dono alla Madonna di piccoli oggetti d’oro, come braccialini e collanine, in segno di omaggio o di ringraziamento. Conclusa la cerimonia religiosa, nel primo pomeriggio hanno inizio le gare podistiche degli Zingarelli e degli Zingari, chiamati così non per una appartenenza gitana, ma per il vocabolo locale italianizzato che indica una persona svestita e soprattutto scalza. Sul termine il prof. Raffaele Santini ha dato ampi ragguagli, insieme a tanti altri sulla festa, e ad essi si rimanda per approfondimenti. A giungere dapprima sono giovanissimi ragazzi, per l’appunto chiamati Zingarelli, accompagnati spesso dai genitori, per prepararsi alla corsa a piedi nudi nelle strade del paese. Dietro l’altare si svestono per indossare maglietta e pantaloncini, aiutati e sostenuti dal papà o mamma che, pur manifestando una certa apprensione, sono orgogliosi di questa loro partecipazione, anche perché si fa “in onore della Madonna”. Un sentimento e un modo di dire che si trasmette ai figli e che fanno proprio. Secondo il numero e l’età dei corridori si formano una o due batterie, comprendenti la fascia che va dagli otto ai dieci anni o l’altra che arriva fino ai dodici anni, sebbene in questi ultime edizioni l’età si è alquanto abbassata e sono comparse anche bambine. Al suono della onnipresente campana gli Zingarelli scattano fuori, ciascuno determinato a competere fino all’ultimo per raggiungere la vittoria. Durante il percorso sono seguiti e incoraggiati con applausi e incitamenti, che danno carica alla loro corsa e forza alla loro resistenza, pure quando appaiono un po' sofferenti. Man mano che rientrano in chiesa ricevono sostegno fisico e cure per riprendere fiato e non di rado interventi infermieristici per piccole ferite ed escoriazioni, provocate dalla durezza del manto stradale o da cadute. È senz’ altro una dura prova quella che affrontano, in considerazione della loro giovane età, ma più forti si rivelano l’emulazione, le aspettative dei familiari e perfino la contagiosa ammirazione rivolta durante la consegna delle enormi coppe munite di soldi. La prova, dal duplice valore iniziatico, contribuisce senz'altro a temprarli nella competizione riguardo le piccole e grandi sfide della vita e al tempo stesso li pone di fronte alla gara più difficile e impegnativa, quella degli Zingari, che per alcuni sarà un appuntamento irrinunciabile. Mentre si rivestono dietro l’altare, mostrando visibilmente soddisfatti le dorate coppe, si esplicano le procedure di rito per la corsa degli Zingari, fissata attorno alle 18,30. I maggiorenni pacentrani, già scalzi, si radunano nel fondo valle del torrente Vella per l’iscrizione e pagamento di una piccola quota per la consegna di maglietta e pantaloncino. Per quelli di età inferiore ai diciotto anni è invece richiesta la firma di un genitore, con cui solleva l’organizzazione da ogni responsabilità per eventuali incidenti fisici. Infatti non solo l’asprezza del percorso costituisce un serio pericolo per l’integrità fisica, ma lo stesso regolamento non dà al riguardo adeguate tutele, visto che contempla pure azioni di forza da parte di concorrenti verso chi volesse ostacolare il sorpasso. Non so se in passato qualcuno si sia avvalso di questa cruenta possibilità, ma nei miei anni ho notato invece rispetto tra di loro, amicizia di gruppo e una leale competizione. In fila indiana si inerpicano sul colle Ardinghi, spesso con l’aiuto delle mani tanto è verticale il suo pendio, per raggiungere la roccia tinta di bianco rosso e verde, chiamata localmente la Pietra Spaccata. Si racconta che qui la Madonna abbia poggiato il piede durante il volo della Santa Casa da Nazareth e il passo successivo nel punto dove è la chiesetta lauretana di Pacentro. L’inizio e la fine della corsa. Salgono uno dietro l’altro, in silenzio e assorti nei pensieri, per scacciare ogni timore e affrontare con coraggio una prova tanto rischiosa, unica nel suo genere in Italia. I giovani in questo compito sanno di avere il sostegno morale della famiglia e più in generale dell’intera comunità, come se adempissero ad una impresa rituale, indispensabile per le buone sorti del paese. Già diversi giorni prima gli Zingari effettuano prove e allenamenti per testare le reali capacità personali e per individuare tatticamente il percorso più vantaggioso e anche più sicuro. Giunti sulla linea di partenza si dispongono per piccoli gruppi all’inizio del tracciato prescelto per la discesa e attendono il segnale di via. . La piccola valle del Vella, letteralmente tempestata di potenti fuochi artificiali, sembra sottoposta a bombardamento e il paese di fronte appare appena tra nuvole di fumo, in cui si mescolano note musicali provenire dalla piazzetta antistante la chiesa. Al tripudio scenico fanno da contrappunto i movimenti nervosi e i visi tirati degli Zingari. In una atmosfera surreale si attende il grande sparo finale, cui fa seguito nella conca del Vella un assoluto silenzio. Gli occhi del paese ora sono tutti rivolti alla pietra Spaccata, in trepida attesa. I rintocchi frenetici della campana gettano nel baratro i giovani Zingari, tra rovi, pietraie, dirupi, sassi taglienti. In pochi minuti scendono il fianco del colle e attraversato il Vella risalgono verso la chiesa, la cui soglia costituisce il limite per assegnare la vittoria. Ad attenderli c’è molta gente plaudente e la musica della banda che li accompagna fino ai piedi dell’altare, dove personale infermieristico e medico presta subito le prime inevitabili cure. Alcuni duramente provati, varcato l’ingresso con un segno di croce, cadono a terra incoscienti e di peso vengono trascinati all’interno per lasciare libero spazio ai successivi arrivi. È un crescendo di scene concitate, con gridi, lamenti, visi sofferenti, richieste di aiuto. Veloci interventi si effettuano alle piante dei piedi sanguinanti, per disinfettarli, rimuovere corpi estranei che vi si sono conficcati e perfino tagliare brandelli di carne e pelle fuoriusciti, specie nei talloni. Per le situazioni più compromesse si procede alle fasciature ai piedi. Oggi le prestazioni sanitarie sono ben ottemperate, ma fino agli anni ’80 del secolo scorso si svolgevano in modo alquanto approssimativo. Si impiegava addirittura vino e aceto in bagnarole e pentolame , dove tutti immergevano i piedi e a casa amici e familiari completavano le “cure” necessarie, con grande rischio fisico e dolore per i giovani.
Passato il momento più animato i due vincitori, con i tagli di stoffa avvolti in lunghe cannucce, e pochi altri vengono portati in spalla per sfilare a suon di marce musicali tra due ali di folla festante. È il momento del trionfo pubblico, delle rivincite e delle soddisfazioni. Si ricevono fiori, complimenti, vigorose strette di mano e tanti applausi. Si è al centro dell’attenzione di tutto il paese. Il folto gruppo con amici e parenti si reca alla casa del vincitore per partecipare al nutrito rinfresco offerto a tutti dalla famiglia, che così fa festa per questo importante evento, mentre fuori il balcone o finestra si espone il taglio di vestito con l’immagine della Madonna di Loreto, è il segno che quella casa merita ammirazione e grande rispetto.
Osservazioni sulla festa, dal recente passato al presente
Negli anni Ottanta del secolo scorso gli asini giravano ancora per il paese, le galline razzolavano fuori la porta di casa e la corsa degli Zingari si svolgeva ad “uso e consumo” degli abitanti locali. Non vi erano appariscenti luminarie, transenne per il pubblico, né forze dell’ordine a disciplinare ingressi e postazioni durante la gara podistica.
Si vedevano tre o quattro fotografi in tutto e pochi forestieri. Diverse cose erano lasciate al caso, quasi rimediate, come le “ divise “ dei corridori, specialmente degli zingarelli, che con un numero scritto sulla schiena gareggiavano indossando ugualmente pantaloni lunghi o slip. Ognuno si copriva con quello che aveva. Le coppe erano meno appariscenti e i premi in denaro meno consistenti, però i giovanissimi zingarelli dopo la premiazione erano caricati sulle spalle degli adulti per il giro trionfale nel paese, allo stesso modo degli Zingari. I manifesti a dir poco erano semplici avvisi, succinti nella forma e nel contenuto, null’altro che un pro memoria per i locali. Sobri erano i fuochi artificiali e molto misurato il rinfresco dato dalla famiglia del vincitore, che consisteva in un bicchiere di vino prelevato con il mestolo da una usata conca di rame e in un ben augurante lancio di confetti sulla folla. C’era la necessità di sbarcare il lunario e per molti il premio in denaro messo in palio per la gara era importante, per questo si correva a rotta di collo, senza badare troppo alle conseguenze fisiche. Era consuetudine da parte degli Zingari, provenienti da classi subalterne, portare in processione il simulacro della Madonna, per confidare con questo atto devozionale in un suo aiuto, in un sostegno nella difficile prova podistica. Era una festa ancora con una marcata impronta popolare e contadina. Nel decennio successivo si sono visti diversi cambiamenti. In particolare si è assistito ad una crescente attenzione da parte dei mass-media e turisti, incentivata da una crescente pubblicizzazione e da una massiccia presenza degli sponsors, che ha portato a sostituire nelle magliette dei corridori la scritta inneggiante la Madonna di Loreto con i loro marchi. Il maggior afflusso di denaro ha permesso di aumentare i premi della gara, per invogliare e compensare di più lo sforzo fisico dei concorrenti, che suscitano sempre più interesse presso un numeroso pubblico. Hanno fatto la comparsa spettacolari fuochi artificiali e numerose bancarelle di venditori ambulanti, piuttosto invadenti e stridenti con il passaggio processionale della mattina, costretto a passarvi in mezzo. Un certo carattere penitenziale del rito nel suo insieme, che ancora era dato percepire, si stava affievolendo. Ma quali sollecitazioni spingono i giovani ad accettare questa prova? Oltre al già ricordato apprezzamento sociale, dai colloqui e racconti emergono variegate motivazioni. Per onorare la Madonna e per mantenere la tradizione, dicono alcuni, secondo altri è un modo per vivere emozioni " indescrivibili ", sentirsi protagonisti e al centro dell'attenzione, che i media sempre più amplificano. Non pochi gareggiano per i premi messi i palio e quelli in denaro costituiscono un richiamo non indifferente per un ragazzo senza lavoro e infine un ruolo non secondario lo svolgono i sentimenti che si legano alla corsa, vissuta come qualcosa di esclusivo, non da tutti. La notorietà che sta avendo la competizione pacentrana si deve oggi molto ad internet, anche se dell'evento si privilegia l' aspetto spettacolare, mentre sarebbe utile aprire spazi di riflessione. Ad esempio si possono apportare cambiamenti per salvaguardare l’integrità fisica dei giovani corridori? Si possono introdurre scarpette idonee al percorso? Direi di si, perché la tradizione è per l’uomo e non l’uomo per la tradizione. Non credo che apportare qualche modifica per il bene comune possa sminuire coraggio e bravura, non misurabili con più o meno sangue versato. Certamente spetta a loro ogni decisione nel merito e ad onor del vero sono essi stessi a non volere variazioni nella tradizione, come se ciò li snaturerebbe, È una scelta forte, che tuttavia merita rispetto, ma il dibattito si può aprire. Gli zingari non sempre sono stati pacentrani e giovani ragazzi, ma alla fine del secolo scorso e soprattutto nel 1997, con regolare iscrizione, sono stati inseriti nella corsa elementi femminili ed extracomunitari, che hanno arrecato non pochi scompensi allo svolgimento organizzativo di allora. Le donne, che evidentemente non potevano gareggiare con i giovani, impiegavano troppo tempo per arrivare in chiesa, ritardando così lo svolgimento del programma, mentre la presenza di qualche polacco, interessato solo ai soldi del premio, suscitò ire e aspri contrasti con il gruppo degli Zingari. Per questo nei manifesti dell’epoca e successivi è comparsa ben evidente la scritta “La corsa è limitata a 25 concorrenti pacentrani. Solo uomini”. In quegli anni altri cambiamenti hanno interessato e in maniera definitiva aspetti attinenti alla sfera religiosa della festa, come:
1) la cessazione di appendere le offerte in denaro al simulacro della Madonna,
2) l’ abolizione della sosta durante la processione per assistere ai fuochi artificiali, 3) l’esecuzione da parte delle bande di canzoni prettamente religiose,
4) la sostituzione nella maglietta dei corridori della scritta Madonna di Loreto con quella di Corsa degli Zingari, meno fuorviante e più consona all’ evento civile.
Tali interventi di educazione alla pratica religiosa sono stati introdotti dall’ autorità ecclesiastica, che ha voluto così disciplinare in senso più canonico i comportamenti durante feste e processioni, almeno fin dove ha potuto. Naturalmente questa presa di posizione ha riguardato tutta la fenomenologia della pietà popolare e per restare in regione tutto l’Abruzzo.
Infatti a metà degli anni ’90 del secolo scorso era affisso nelle chiese della diocesi di Sulmona-Valva il seguente manifesto, che condensava gli orientamenti e norme sulle feste religiose popolari, stabiliti dall’Episcopato Abruzzese-Molisano. Si riportano qui i passi più attinenti al nostro esame storico.
“Le Feste Religiose popolari costituiscono una delle principali manifestazioni della pietà popolare che, ben orientata, porta all’incontro con Dio, in Gesù Cristo. Le manifestazioni esterne, religiose e civili, che le caratterizzano, devono pertanto essere conformi alla dignità umana e cristiana dei singoli e delle comunità. A tal fine, le indicazioni normative e gli orientamenti pastorali ribaditi nella Nota della Conferenza Episcopale Abruzzese-Molisana del 30.07.1994, qui di seguito succintamente riportati, siano fedelmente osservati anche nella nostra Diocesi".
Nella sezione riguardante le processioni, recita al punto
B) Abbiano un percorso ragionevolmente breve e scorrano dignitosamente senza “fermate” per gli spari e comunque inopportune, e senza raccolta di denaro sotto qualsiasi forma.
C) Se sono accompagnate da bande musicali, abbiano queste un comportamento
dignitoso ed eseguano musiche ad andamento religioso.
Alla voce La raccolta delle offerte, si dice nel punto
A) Sia sempre fatta nel rispetto e nell’osservanza di tutte le disposizioni vigenti,
ecclesiastiche e civili, e nel punto
C) In ogni caso si evitino sprechi e ostentazioni che offendano le necessità dei
poveri
Le ipotesi delle origini della Corsa degli Zingari
A tutt’oggi non si conoscono le reali origini della Corsa degli Zingari e molte sono le ipotesi formulate, che ancora attendono il vaglio certo della storia. Di esse il prof. Silvestri Marco ha fornito una sintesi chiara e precisa, riferita alle attuali conoscenze, che si riporta di seguito per intero. Il testo, letto pubblicamente dall’autore poco prima della gara del 7 settembre 2008, è stato inserito dal sottoscritto a commento di una parte del proprio documentario intitolato La corsa degli Zingari 1980. A lui il mio più sincero ringraziamento.
Va chiarito subito l’equivoco generato dalla indebita e perdurante traslazione in italiano del termine dialettale Zingr’. Nell’accezione pacentrana infatti e forse direi della Valle Peligna questo termine non va inteso come zingaro, nomade, ma come attributo di persona nuda, svestita. I giovani che si cimentano nella corsa infatti gareggiano relativamente nudi tra virgolette, in quanto indossano solo pantaloncini e canottiera, ma soprattutto in quanto scalzi. Il tragitto della corsa ha uno sviluppo ingannevole e contrariamente alla convinzione più diffusa misura solo 862 metri, ma anche la sua pendenza risulta altrettanto ingannevole. Per chi guarda dal paese il Colle Ardinghi sembra digradare abbastanza dolcemente verso il Vella, mentre la sua pendenza suscita davvero una forte impressione in chi si pone alla base della Pietra Spaccata. Dai 320 metri di discesa si passa infatti da quota 750 a quota 580, con una pendenza del 63% circa. I primissimi metri in particolare si offrono agli occhi degli scalzi come una vera e propria voragine pronta ad inghiottirli. Solo stando sulla linea di partenza è possibile cogliere l’esatta dimensione della terrificante prova che attende gli scalzi. Solo dalla roccia tricolore si può percepire la reale sensazione del salto nel vuoto rappresentato dalla repentina partenza giù per il pendio del colle Ardinghi. Storici, studiosi e cultori di Tradizioni popolari in diverse circostanze hanno fornito varie risposte agli interrogativi sull’origine della corsa. Andando molto indietro nel tempo una delle ipotesi lega la corsa ai riti lupercali risalente alla fase arcaica della civiltà di Roma. Sotto il profilo storico comunque gode di notevole credito l’idea che la tradizione abbia legami con altri rituali pagani praticati tra le nostre genti, come ad esempio i culti rivolti alle divinità locali allo scopo di propiziarsi la fertilità dei campi e l’abbondanza delle acque e nell’area peligna in effetti la gara dovrebbe aver costituito la base più importante dei cosiddetti giochi Juvenilia, che si celebravano in onore delle divinità locali, istituiti dai primi imperatori romani. L’aspetto ludico inoltre sembra fosse preposto a riti di iniziazione legati all’attività della caccia e di selezione militare sviluppatisi in epoca romana. Non è da escludere poi un legame con le corse dei culti portati tra le nostre genti dai longobardi. Tra di loro la corsa dava diritto alla mano della principessa e al trono. In un periodo difficile da accertare alle precedenti ipotesi viene a sovrapporsi l’aspetto religioso del culto della Madonna di Loreto e da quel momento i due aspetti proseguono insieme nello stesso cammino. Da un punto di vista prettamente religioso la corsa potrebbe essere coeva alla chiesa, che è del secolo diciassettesimo e costituire una forma particolare di voto, capace di sostituire ed equiparare le sofferenze della gara ai disagi e allo sforzo fisico causato dal percorso dei pellegrini locali che raggiungevano il santuario di Loreto con un cammino faticoso e pieno di insidie che durava circa una settimana. Un’altra credenza popolare invece interpreta la corsa dalla pietra Spaccata fino alla chiesa come rappresentazione della traslazione della casa santa di Nazaret a Loreto nelle Marche, per cui l’aereo tragitto della gara rinnoverebbe il viaggio della Madonna che ha volato sorretta dagli angeli. Secondo una differente leggenda popolare anzi la Madonna sarebbe apparsa sul colle Ardinghi scaturendo dalla fenditura che penetra la Pietra Spaccata e si sarebbe mossa lungo il tragitto della corsa per fermarsi nel punto del paese in cui fu edificata la sua chiesa. Pertanto la corsa non sarebbe altro che il ricalcare votivo delle orme lasciate dalla Madonna. Un’ultima ipotesi lega la corsa al grande condottiero Giacomo Caldora, signore del nostro paese nel quindicesimo secolo, il quale avrebbe utilizzato la dura sfida podistica come efficace mezzo per la selezione delle sue truppe. In conclusione appare quindi evidente come la manifestazione presenti una natura molto complessa che non consente di inquadrare le risposte agli interrogativi sulla sua origine in un unico schema o di ridurre in un’unica matrice tutte le ipotesi fatte. Resta solo una certezza la realtà di fondo e il fatto innegabile che tutte le opinioni, le congetture e le teorie interpretative in merito risultano prive di indispensabili basi storiche e documentarie. Le radici di questa gara singolare restano avvolte in un sostanziale mistero e conferiscono al rito degli scalzi una perdurante aurea mitica.
La corsa di Pacentro non è la sola che si svolge con modalità simili in Italia, eccezion fatta per l'asprezza del percorso, si pensi alla corsa di Cabras in Sardegna e di Salvitelle in Campania. Dal viaggiatore Keppel Craven, giunto nel 1830 a San Vittorino nell' Aquilano, apprendiamo che qui sventolavano " come vessilli dei grandi panni di seta che erano " i premi destinati ad accendere la competizione in una corsa a piedi", sicuramente nudi, riservata ai giovani del luogo". E una importante testimonianza che attesta in questa area d'Abruzzo una manifestazione del tutto simile a quella pacentrana.
www.ilconviviodelpensierocritico.it/portfolio/273/
Premi e premiazioni. I manifesti della festività dal 1981 al 2016
Rileggendo i manifesti della festa pacentrana, dal 1981 al 2016, non solo si apprendono utilissime notizie su di essa, ma si ha uno spaccato diacronico piuttosto interessante, che aiuta a delineare una più attenta ricostruzione dei fatti verificatisi in questo arco temporale. Scorrendo gli anni si toccano con mano le trasformazioni nel modo di vivere e di promuovere l’evento tradizionale. I manifesti nei loro contenuti ci raccontano di premi, dai più modesti ai più ricchi, di trofei e di pali, in ricordo delle vivaci competizioni tra le contrade del paese per aggiudicarsi la vittoria, fino alle sgrammaticate parole “ dei zingarelli “, “dei zingherelli” e alla traslazione dialettale della parola italiana zingaro, dapprima con la dicitura “ J’Zinghere “, poi con quella di “ Zingr’ “. Rivedendoli attentamente emergono tra le righe anche dispute e controversie, di cui qui non si vuole dar conto (cfr i manifesti degli anni 1984 a e b – 1985 - 2016). Apprendiamo da essi inoltre le edizioni riguardanti la corsa, che anche il manifesto del 2016 riporta essere la 566^ volta. Un dato storico molto importante, ma non ne conosco la fonte. Da essi sappiamo che nei primi anni Ottanta potevano gareggiare anche “ FORESTIERI” ( per tutti si veda il manifesto del 1984) e che il numero degli Zingari era già fissato a 25 ( si veda il manifesto del 1991), di certo per evitare incidenti, data l’eccessiva presenza di concorrenti in spazi ristretti e pericolosi, così come lo spostamento della festa nella prima domenica di settembre era già cosa avvenuta nel 1981. Altro elemento interessante riguarda il primo premio in denaro, si è passati dalle 120.000 lire del 1981 a 1.200 euro nel 2008, a cui vanno aggiunti altri premi accessori. Tradizione pacentrana, non sempre rispettata, era il lancio serale della mongolfiera, comune a tante feste, che chiudeva la giornata di festa.( si veda il manifesto del 1984 a).
Tante altre curiosità si evincono, dal premio di un paio di scarpe per chi “ riporta più ferite ai piedi “, in precedenza indicato come “sfortunato”, al taglio di vestito anche per il terzo classificato e così via, ma lascio agli attenti lettori il compito del confronto per spulciare i fatti dell’epoca, visto che tutti i documenti sono abbastanza leggibili e trascriverli sarebbe quasi impossibile. Voglio infine ricordare qui l’infaticabile Ermo che mi ha sempre ben accolto e aiutato nella mia ricerca di documentazione e l’umanissimo parroco Don Peppe, particolarmente devoto alla Madonna, che anche attraverso i manifesti invitava i fedeli a pregare la Vergine Santissima per aiutarci a “ritrovare la pace della famiglia, del paese e del mondo intero"
Il borgo medioevale e scene di vita quotidiana
Chiesa della Madonna di Loreto e processione per le vie del paese
Gli Zingarelli in chiesa si preparano alla corsa nelle strade del paese
Corsa degli Zingarelli
Gli Zingarelli in chiesa al rientro dalla corsa
Premiazione in chiesa degli Zingarelli
Iscrizione degli Zingari alla corsa e salita sul colle Ardinghi
Gli Zingari sulla linea di partenza indicata dalla Pietra Spaccata
Corsa degli Zingari
Arrivo in chiesa degli Zingari e prime cure mediche.
Gli Zingari sfilano nelle strade del paese con i vincitori portati in trionfo
Gli Zingari tornano a casa. La famiglia del vincitore offre cibo e bevande a tutti
Premiazione degli Zingari in piazza
Programmi e premi nei manifesti dal 1981 al 2016