
La manifestazione di Rocca Canterano in provincia di Roma nella versione attuale è stata ideata un po' di anni fa durante una cena tra amici, ispirati da frizzanti bicchieri di rosso e animati da una gran voglia di prendersi un’occasione di svago e di allegria, prima del lungo e monotono periodo invernale, in un paese di 270 abitanti decimato dall’emigrazione. Per pochi giorni tornano a vivere le tortuose stradine punteggiate qua e là di lapidi di caduti in guerra, dove nulla accade. Dai primi allestimenti un po’ improvvisati è stata costruita nel corso degli anni una coreografia via via più ricca e sorprendente, con modifiche e aggiunte nei costumi, testi, oggetti, e l’esito è stato tale che il numero dei visitatori è cresciuto in modo vertiginoso, a tutto vantaggio della promozione turistica del paese. Una conferma di quanta presa ha il tema delle corna nell’immaginario collettivo. Come prima immediata osservazione il corteo burlesco, nel quale si ritrovano residui di arcaici rituali, in modo casuale e con tutte le dovute differenze richiama vagamente alla memoria certi caratteri della medioevale Fete des fous, sia per l’esaltante atmosfera che per gli aspetti parodistici. Sembra riprodursi qui quell’antico ed effimero bisogno di immaginazione, di sregolatezza, di ribaltamento della posizione sociale, ricorrente nelle classi popolari, che si manifestava in feste istituzionalizzate e non, per esempio, il carnevale, i Saturnali e lo stesso Festum Fatuorum, al termine delle quali si doveva tornare alla vita di tutti i giorni, all’ordine costituito. L’esplosione gioiosa, la voglia di eccesso, il gesto liberatorio, caratterizzano l’esilarante rappresentazione, che per l’appunto ha il merito di non aver imbrigliato la libera e spontanea partecipazione individuale e di aver saputo coniugare felicemente passato e presente. Ognuno ha modo di sprigionare la propria inventiva, riuscendo a inserirsi abilmente nel canovaccio della “commedia” e a coinvolgere gli astanti.

L’apporto continuo di soluzioni, nella ricerca di un “ testo ideale”, mostra quanta creatività è capace di produrre l’azione collettiva, che trova nella satira la sua forma migliore di espressione. Non è estranea però nemmeno l’influenza della televisione e non soltanto per aver dato in prestito,il motivo musicale dell’inno dalla trasmissione di Renzo Arbore “ indietro tutta “. Prima di passare ad esaminare la “festa” nelle sue componenti e implicazioni, torna utile ricordare in breve quanto antico sia l’uso amuletico delle corna, addirittura risalente alla preistoria e quello di rappresentare le divinità in forma umana con la testa di animali cornuti o solo con le corna, anche a più file, come era nella religione egiziana, babilonese, hittita, celtica, ecc . Testimonianza del primitivo e profondo legame che univa l’uomo al mondo animale, da cui traeva benefici e sostentamento. Nel corso dei secoli poi non è mai venuto meno il rapporto, spesso ambivalente, con l’oggetto corna, tanto che la sua funzione magico-protettiva è ancora viva nel mondo popolare di oggi e non solo portando cornetti o facendo le corna.

Abbastanza diffuso, anche nella nostra zona, è l’uso di porle a difesa di stalle, tenne, abitazioni, porte, macchine, in un bisogno di rassicurazione e di protezione contro ogni malefica influenza. Una ragione della persistenza attraverso i secoli di tale funzione può essere ricondotta al fatto che l’amuleto, dall’evidente significato apotropaico, contiene un palese simbolismo sessuale, e quindi di forza vitale che vuole contrapporsi ad ogni precarietà o negatività. Un antico substrato culturale si desume anche dagli elementi che compaiono nel pittoresco corteo, formato di soli uomini. “Pe’ San Martino so’ corna e vino” recita la canzone di Rocca ed infatti da sempre vi è questo accostamento con il santo di Tours, nonostante nulla di tutto ciò sia riconducibile a fatti o episodi della sua vita. La ragione dei due corpi estranei va ricercata senza dubbio nel tempo in cui ricorre la festa di San Martino che, come spesso accaduto, ha assorbito usanze e comportamenti ritualistici preesistenti. In questo periodo ricorreva il capodanno celtico, fissato al 1° novembre, per di più cadeva la fine e l’inizio dell’anno agricolo coincidente con l’inverno, cioè con la morte della natura, sentita come momento drammatico, capace di scatenar ansie e paure ancestrali. Per questo l’inizio di un nuovo ciclo annuale e stagionale è stato sempre accompagnato da una varietà di cerimonie e di riti volti a pronosticare, a propiziare il futuro e al tempo stesso ad eliminare il male presente sia nella natura che nella società, in un grande sforzo di ricostruzione e rigenerazione. A parte le nostre similari tradizioni di fine anno, non avviene un po’ la stessa cosa in noi quando ci disponiamo ad incominciare bene un nuovo anno perché ciò sia di buon auspicio? Rinviando ad altri testi le notizie storico-agiografiche e le questioni che vogliono collegare aspetti della figura del santo con taluni del mondo religioso celtico, basti qui soffermarci sul fatto che il giorno della commemorazione di San Martino “partecipa di tutte quelle forme che sono comuni alle feste di Capodanno”. Si procedeva quindi alla denuncia pubblica dei peccati e si colpivano coloro che avevano compiuto trasgressioni alla legge morale, in primo luogo le case elle adultere, perché in una società dove “l’uomo è cacciatore” cornuto è chi le riceve. Il cornuto infatti si connota al maschile e la donna non può che essere solo colpevole , degna di essere lapidata, o, in epoca più recente, “fustigata secondo la volontà dell’uomo, che se non la vuole frustare allora la moglie è punita con XXV lire di denari”, come si legge nello statuto di Subiaco del 1456. All’uomo il potere di decidere, ai soli uomini, non più vergognosi di portarle, la convenienza di prendere parte al corteo in costume. Nottetempo bande di scalmanati andavano a distribuire sulle disgrazie altrui il terrificante simbolo, costruendo veri e propri altarini con le corna davanti agli usci o disegnandole sulle porte delle case su cui al mattino si sarebbero abbattuti gli scherni della gente. Di qui il detto popolare “se so’ scoperti gli altarini”. È doveva essere davvero un colpo micidiale se, come pure accadeva, alcuni preferivano lasciare per sempre il paese non potendoci più vivere. In fondo era un sistema di controllo sociale, funzionale il regolare andamento della vita comunitaria basata su precise regole. Un simile trattamento, ma con diverse varianti e anche al di fuori della festa di San Martino, veniva riservato ai vedovi risposati, colpevoli di venir meno alla fedeltà coniugale, a persone chiacchierate e non in regola, almeno secondo la morale popolare. Si andava in gruppo davanti alle abitazioni e si eseguiva la scampanata o cocciata, che consisteva nel fare una gran baldoria con recita o canto di versi pungenti e ironici.
Orbene tutto ciò era presente, pochi decenni or sono, a Rocca Canterano, che aveva pure una “chiesa arcipretale sotto il titolo di San Martino, distrutta dalle guerre ed esclusa da qualsiasi servizio sacro” già dal 1581. Di essa delle celebrazioni in onore del santo non resta traccia nel ricordo popolare. Fino alla metà degli anni ’60 si facevano le “scampanacciate”, con l’impiego di campanacci, padelle, piatti, corna di bue, eccetera, e quelle giovanili imprese sono tanto vive nella memoria degli anziani che sono bastate poche parole per provocare una immediata reazione emotiva e per risvegliare di colpo mordaci strofe in vernacolo. Alcuni esempi più di ogni altro commento illustrano bene il tono e il carattere fortemente icastico delle composizioni. Il matrimonio di un giovane scapolo con una vedova di Marano fu così annunciato :”S’ha rassoratu Michele e Pagliacciu/ s’ha presa ‘na scrofa co’ tutti i purchitti”. Ad un vedovo con prole di Vignola che si sposò una ragazza di rocca fu confezionata questa caustica “poesia”: “C’è un uomo a baffi ritti/è composto da du’ zippi/è venuto alla Rocca pe’ acquistà i suoi diritti/tappo di sughero,polvere di tabacco/non ada pea’ perché va a bucio fatto”. È ad una suora, che aveva già lasciato l’abito religioso e decise di prendere marito, si cantò:”A Gerano ce sta la zeppa/e ‘sta chiave senza mappa/o se raica o se streppa”. Ogni verso era intercalato da un coro di eeeh, e ogni strofa da un assordante strepito, proprio come avviene nell’attuale corteo, che ne rievoca lo spirito e vede tra gli attori di oggi i protagonisti di un tempo. Quasi che non bastasse ad aprire la scampanacciata di Rocca, degna erede dello Chiarivarì francese, c’era un uomo vestito da prete, nel ricordo l’estroso sagrestano Gaetano Salvati, che faceva oscillare a suo piacimento una vecchia bilancia forata, da cui si alzava un nauseabondo fumo di tacchi di scarpe combusti e tutta la popolazione partecipava festosa, come se fosse stata invitata a nozze. Le vittime dovevano fare buon viso cattivo gioco perché, se solo mostrava nodi prendersela finivano di attizzare ancor più gli esagitati,e anche i carabinieri, a volte chiamati, potevano ben poco, “era consuetudine”.
Gli interessati se lo aspettavano al punto che, per cercare di eludere la burla si sposavano quatti quatti prima del sorgere del sole e c’era chi preferiva recarsi in un’altra parrocchia. Nessuno poteva considerarsi immune, nemmeno i notabili, anzi verso di loro ci si accaniva con maggiore soddisfazione, avendo la possibilità di rifarsi impunemente da tanti arbitri e da una condizione di subalternità. Fino al dopoguerra , nella notte di vigilia della festa, a Rocca si manteneva pure il costume da parte di alcuni, “più per scherzo che per altro”, di mettere corna davanti alle porte, cosa che, in altri pesi vicini, veniva presa molto più sul serio, per esempio a Marano. L’azione di commando doveva richiedere molta abilità per evitare di farsi scoprire e incorrere nelle immaginabili conseguenze, in modo particolare in passato perché l’autorità politico religiosa condannava simili usi e cercava di estirparli infliggendo pene severissime. Un documento interessante al riguardo è quello dei “Bandi Generali da osservarsi in tutti li luoghi dell’Abbatia di Subiaco”, emessi il 15 marzo 1676 dal Cardinale Carlo Barberini abbate commendatario. Tra le ordinazioni compare un capitolo con la dicitura “Corna, imbrattamenti alle case d’altri” che si riporta integralmente :” Dispone parimente Sua Em. Che qualunque persona presumesse attaccare, o far attaccare corna, mettere, o porre corna, pitture, o altre cose vituperose, e brutte alla porta, o muro, o in strada avanti alla casa d’alcuna persona, benché fosse pubblica meretrice, o farvi imbrattare d’inchiostro, o altra sporcitia, o bruttura, incorra nella pena della galera perpetua, et anco della vita, secondo la qualità del fatto, ad arbitrio di Sua Emin.”. Inoltre nel cap. LVI dello stesso bando veniva comandato che “nessuna persona si mascheri in alcun tempo, né di giorno né di notte, né tanpoco in campagna senza licenza in scriptis del Governatore,o Giudice del luogo, sotto pena di tre tratti di corda in publico per ciascuno, e ciascuna volta, e di cento scudi…”. Infine nello statuto di Subiaco del 1456 si proibiva espressamente di pronunciare “parole ingiuriose” tra cui “cornutus vel filius de puttana” e i trasgressori erano puniti con un’ammenda di 40 soldi di denari. Nonostante ciò i roccatani e altri abitanti delle Terre continuarono a restare attaccati alle tradizioni dei loro pagi, riconoscendosi in quell’identità culturale trasmessa dai loro avi. In questo giorno i roccatani si riunivano in cantine per banchettare allegramente e brindare con il vino nuovo, come del resto accade tuttora nel carseolano e altrove. Cibo tradizionale era sempre quello delle role, salsicce, tacchino,pasta fatta in casa, eccetera. “Ce sta lu Sande Martinu” si dice in Abruzzoper indicare abbondanza e questo era uno dei pochi giorni in cui si poteva scialare. Non a caso sfilano nel corteo i segni di quella fugace opulenza. Un altro detto ricorda “A San Martino ogni mosto diventa vino” ed infatti è il tempo della svinatura, festa agricola che però non è in onore del santo, come invece avveniva per Dioniso nelle Antesterie greche, anche se San Martino tra gli altri patronati ha avuto quello dei vignaioli e dei vendemmiatori.
Non mancano in proposito leggende, forse la più nota è quella abruzzese riportata dal Finamore:"Inseguito dai nemici,S.Martino cercò ricovero nella casa di un contadino. Questo buon uomo, non avendo dove meglio, lo fece nascondere in una botte vuota. Arrivati, gli sbirri cercarono anche in cantina, ma trovarono che tutte le botti, vuote da tanti anni, erano piene. Peggio per le botti! Bevvero tanto, che caddero briachi fradici, e il santo,senza molestia alcuna, potè andare pe' fatti suoi. Ecco perché S. Martino è protettore del vino, e nel dì della sua festa si spillano le botti".
Molte altre usanze sopravvivono in diverse parti d'Italia ed Europa, come la questua, l'uso dei falò, i riti terapeutici, i pronostici e ampia è la tradizione orale a lui riferita, però nel ricordo di tutti San Martino è il santo buono, caritatevole, che divide con un povero la sua mantella. Gesto nobile e raro, che contribuì ad avvicinarlo alla sensibilità popolare e a decretarne la fama.
La festa carnascialesca di Rocca Canterano

Di certo sarebbe piaciuto a Paolo Toschi il fantasmagorico corteo burlesco che ogni anno sfila a Rocca Canterano in provincia di Roma l'11 novembre per la festa del Cornuto, nel giorno di San Martino, notoriamente "protettore" dei mariti sfortunati. Non è la sola attrattiva per coloro che qui volessero trascorrere il fine settimana, perché in concomitanza si tiene la sagra delle role, castagne abbrustolite in piazza su di un letto di brace infuocata, con la degustazione di salsicce, fagioli con le cotiche e altri prodotti locali. Lo stesso paese, aggrappato alla roccia fino a porsi a precipizio sulla Valle dell'Aniene, offre lo stupore di una vita diversa tra i suoi scoscesi vicoli, da cui si distendono fino all'ampio orizzonte boschi e montagne sotto un cielo azzurro. Le precedenti edizioni hanno riscosso un tale successo che sempre più accorrono, quasi in pellegrinaggio, torpedoni, schiere di vivaci comitive e "devoti", che almeno per un giorno possono scambiarsi bonariamente gli auguri, tanto più che tutti sono accolti all'inizio di questo fantastico paese di Cuccagna con un caloroso striscione di saluto "Alla Rocca benvenuti voi grandissimi cornuti". La piccola piazza degli Eroi, riscaldata da un'allegra orchestrina e da un invitante fuoco, è animata dalla solerte attività dei cucinieri nello stand gastronomico e da un numero crescente di crocchi di persone in attesa di assaporare le fragranti specialità paesane e le gustose caldarroste, distribuite a volontà a tutti i presenti. Il paese respira e vive, ovunque risuonano voci, risate, spensierate chiacchierate tra piatti fumanti e odorosi.
Verso le 19,00 in piazza della Corte, situata nel punto più alto dell'abitato, convergono i membri della profana confraternita per dar vita ad una delle più interessanti e coinvolgenti manifestazioni di teatro popolare d'Italia per vis comica ed efficacia scenico-espressiva. Furtivamente in un vicoletto vengono portati gli "attrezzi" e gli strumenti processionali, mentre focosi confratelli indossano il saio e il copricapo con l'inconfondibile emblema taurino. Una grande frenesia ed eccitazione contagia attori ed incuriositi spettatori, impazienti di assistere all'uscita del rutilante corteo. Dopo un abbondante bicchiere di vino, tanto per scaldare animi ed ugole, cominciano ad uscire tra un fragoroso baccano di piatti, tamburi, campanacci, raganelle, corna di varia fauna e grandezza, assieme a grappoli di rubiconde salsicce, enormi botti, trasportate su pali come trofei di caccia grossa. Il meravigliato pubblico non fa in tempo a riprendersi che compaiono due monumentali corna portate a spalla da ben quattro robusti "sacerdoti" e un trono dorato su cui ondeggia un ridanciano Bacco con tanto di ghirlanda di alloro sulla testa e tunica rossa.



È il "Poeta". l'autore principale delle "strofe galeotte" cantate a squarciagola per l'intero percorso. Dall'alto della sedia gestatoria, munito di un grande imbuto rosso per megafono, intona l'inno divenuto ormai famoso:"Viva viva San Martinu, protettore egli cornuti, qui stasera convenuti, tutti insieme a festeggiar": Fa eco il coro dei fedeli :"Si il cornuto eccolo qui, è San Martino son corna e vino, quando noi lo festeggiamo in processione lo portiamo, si il cornuto eccolo qui tutto contento del suo ornamento, perché le corna son sempre esistite e chi le porta non le vede".
In un tripudio di lazzi, canti, percussioni, il corteo scende le tortuose scale tra ali di folla sbellicantesi dalle risate. Da diversi anni poi ha fatto la comparsa una strana statuetta cornigera, esibita da un venerabile membro e spesso portata sulle labbra degli spettatori confusi al grido :"bacia il santo. bacia il santo".

Sono previste soste con libagioni per rinfrancare cantanti e portatori e per brindare con il vino novello. Quando il corteggio dei "paesani coribanti" fa l'ingresso trionfale in piazza degli Eroi con la ramificata selva l'euforia generale è al massimo e il Poeta dà slancio a tutta la sua verve:"Ogni anno se repete quando è tempo de castagne, è la festa de tanta gente e de tutte le magagne. E se qualcuno s'offendesse de 'ste strofe galeotte, sarvo ognuno lo dicesse, tengo e corna e bonanotte".
Risate a bocca aperta si susseguono a ondate e gli sguardi attoniti restano letteralmente incollati sull'inconsueto teatro ambulante. Al ritmo dell'orchestrina la sedia aerea del Poeta comincia a ballare, subito imitata da un folto gruppo di persone desiderose di trascorrere una gioiosa serata.