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Il bagno lustrale nel fiume Liri a Civitella Roveto

Abluzioni nel Liri,1985
Abluzioni nel Liri,1985

È notte a Civitella Roveto, il paese abruzzese sorto forse sul posto dell’antica Fresilia, città dei marsi. Il cielo stellato invita a risalire con lo sguardo i cupi crinali dei monti e il gorgoglio del sottostante fiume Liri ricorda il magico evento che sta per compiersi. È la notte di San Giovanni. Sopra un ponte un uomo con un asciugamano sulle spalle e una donna con una bottiglia in mano sfilano come ombre e si dileguano. Dalla penombra di un vicolo ad un tratto sbucano altre figure e poi altre ancora. Cresce il brusio e le strade si animano come fosse giorno. A gruppi via via più numerosi, tutto il paese si dirige, come attratto da una forza irresistibile, verso il Liri, in un punto preciso fissato dalla tradizione. Chi reca secchi, chi bicchieri, chi brocche, tutti portano panni o asciugamani. Intanto i primi che giungono sul greto del fiume si tolgono le scarpe, si rimboccano le maniche e pantaloni e senza esitare, compiendo un rito antichissimo, si immergono nelle fredde acque con un segno di croce,

Bagno e prelievo di acqua, 1984
Bagno e prelievo di acqua, 1984
Il greto prima dell' attuale sistemazione, 1984
Il greto prima dell' attuale sistemazione, 1984
Bagno collettivo,1984
Bagno collettivo,1984

A loro si aggiungono le persone che arrivano in misura crescente, fin che la sponda pullula di giovani, anziani, donne, bambini. Tutti entrano nel fiume con gesti e passi solenni, quasi liturgici, in riverente silenzio. C’è chi si lava il viso,chi il collo o altre parti del corpo, chi riempie i recipienti portati da casa o beve.  Lungo la riva è un incessante andirivieni, fin quando il sacerdote non dà inizio alla messa. Fino alla metà degli anni '80 la celebrazione eucaristica avveniva su di un palco sormontato da un grande quadro raffigurante San Giovanni che battezza il Cristo, poi sostituito da una statua di bronzo posizionata sopra un altare in muratura circondato da rivoli di acqua. Il paese, così coralmente raccolto, presente il fiume, assiste alla funzione religiosa , qualcuno anche dentro l’acqua, quasi a voler essere un tutt'uno con l’elemento liquido e suggellare la sacralità che intercorre tra il mondo naturale e quello spirituale.

Battesimo, 1993
Battesimo, 1993
Ascolto della messa dentro l'acqua, 1984
Ascolto della messa dentro l'acqua, 1984

Per l’occasione non è infrequente che un bambino di nome Giovanni, venga battezzato, così che la cerimonia si carica ancor più di un profondo significato comunitario e religioso. La festa oggi ha una chiara connotazione cristiana, ma traspare fin troppo evidente il sincretismo  cultuale che affonda le radici nella notte dei tempi, molto probabilmente in remote forme di culto delle acque Il rito del battesimo e la  festa liturgica hanno dato nuovo significato a gesti e tradizioni, che nella figura di San Giovanni Battista hanno trovato una perfetta rispondenza ideale. Il fiume non è più quello della Marsica misteriosa, ma il Giordano, e il pellegrinaggio al Liri si è tramutato in rito penitenziale. In questo senso forse non è un caso che il Santo sia effigiato come un efebo, piuttosto che un ispido trentatreenne come lo consacra la descrizione dell’evangelista Marco (Giovanni Battista è un personaggio che troviamo in tutti e quattro Vangeli). Poco importa ora qui soffermarsi e ricordare l’importanza popolare che ha la festa d’inizio di un ciclo stagionale, con tutti i suoi prodigi e riti di purificazione, la diffusione dell’acqua a scopo terapeutico in ogni epoca, in ogni luogo, il simbolismo dell’immersione, come rigenerazione e rinascita, e perfino il bagno praticato in molte parti come incantesimo per la pioggia. Oggi si è perduto il primordiale senso di tutto ciò, ma intatto resta il rapporto di amore tra il fiume e la gente di Civitella Roveto e il sentimento di devozione che la anima. “Per devozione”, si sente ripetere continuamente quando si chiede loro il perché. Al termine della messa è spuntata l’alba e la bruma che avvolge i pendii boscosi a poco a poco si dirada. Di nuovo i civitellesi, specie quelli che sono venuti da poco, ripetono il bagno lustrale. Con il chiarore del giorno la scena acquista un’atmosfera nuova. Si distinguono più nitidamente le frotte di persone lungo gli accessi al fiume, i loro misurati movimenti, gli stessi atti di sempre, e si ha ancor più esatta percezione della loro fede, guardando meglio l’acqua che scorre. Nonostante non ci sia più la limpidezza e la purezza di in tempo, la gente, fedele ad un copione immemorabile, scende a far visita al fratello Liri e si bagna, certa che l’acqua, durante la notte di San Giovanni, si sia impregnata di tutte le virtù benefiche e mondi con il suo passaggio ogni male, ogni infermità. Lì una madre lava il viso al suo figlioletto, più giù alcune donne immergono braccia e gambe, alcuni giovani a piedi scalzi prendono l’acqua, un anziano si tuffa nella corrente, mentre un vecchio con la mano al petto affida ai flutti chissà quali pensieri, quali preghiere.

Ormai si è fatto giorno. Quasi tutti tornano in paese per prepararsi alla processione, e restano solo i ritardatari, ma bisogna far presto. Quando i primi raggi del sole scivoleranno sul letto del fiume l’incantesimo svanirà e l’acqua, perdute le sue proprietà, tornerà ad essere quella di sempre. I civitellesi sono molto legati a questa tradizione, simbolo dell’unità e dell’identità del paese e di conseguenza sono molto devoti al santo patrono, a cui attribuiscono le grazie che ricevono, pure dalle abluzioni e dall’acqua che usano. Per questo si riporta a casa e si dà a chi non è potuto andare, a chi è malato, quasi fosse acqua benedetta e medicina. Come è di conforto in vita per conservare la salute, così lo è in punto di morte, quando si asperge con tre segni di croce sul corpo esanime, in un ultimo abbraccio al Liri. Seppure meno frequentemente permane la consuetudine di impastare la farina senza lievito nel giorno della festa con un po' di acqua fluviale. Numerose sono le testimonianze oculari che ricordano miracoli accaduti, alcuni dei quali raccontano di guarigioni inspiegabili. E’ tradizione che quando si abbatte un violento temporale e c’è pericolo di grandine si fa suonare “la campana di San Giovanni”, perché il suo fragore squarci il cielo e scongiuri un rovinoso raccolto. Sono proprio i valori della civiltà contadina che stanno alla base di questo microcosmo, che sfidano il tempo e il progresso tecnologico. La forte compattezza sociale e il sentimento di solidarietà ne costituiscono la parte integrante. Nel frattempo nella piazza di Civitella Roveto, addobbata con luminarie e al suono di un’orchestrina, si raduna molta gente per scambiare quattro chiacchiere, per consumare qualcosa al bar o semplicemente per assaporare il giorno di festa. Il piccolo paese si è ripopolato. Sono tornati gli emigrati, anche dall’America. Il richiamo è troppo forte, qui con grande commozione ritrovano parenti, conoscenti, le loro radici, lontani ricordi.

San Giovanni aiuta gli emigrati, 1994
San Giovanni aiuta gli emigrati, 1994

In un angolo si procede alla pubblica asta per stabilire chi porterà in processione le statue e gli altri arredi sacri. C’è vivace contesa per avere l’onore di portare in spalla il simulacro del patrono. Vicino alla chiesa i membri della confraternita indossano le caratteristiche tuniche bianche con la fascia rossa, che reca un’immagine del santo.

Sulla gradinata, accanto ai bambini con l’abito bianco della prima comunione, compare un traballante “San Giovannitto”, un piccolo bambino vestito come il Precursore.

In processione con l'abito della prima comunione. 1984
In processione con l'abito della prima comunione. 1984
Sangiovannitto, 1985
Sangiovannitto, 1985

Tutto è pronto. La folla si accalca in chiesa e all’uscita per sfilare in processione, la banda prende il suo posto e il corteo comincia a formarsi. Un rullo di tamburi, un inno e il santo appare; è un momento di grande emozione e partecipazione. I civitellesi si accodano dietro la statua di San Giovanni e scendono lungo i tortuosi e stretti vicoli per fare il giro del paese. Simbolico tragitto, quasi per delimitare un’area sacrale e far stendere, con il solo passaggio, la protezione del santo ad ogni casa, ad ogni strada, ad ogni rione.

Questo unanime sentimento di fede può essere racchiuso nel ritornello dell’inno al santo che così recita:

O Giovanni, che fosti il più santo,
Civitella ti ha dato il suo cuore
E per sempre a te leva il suo canto
di speranza, di fede, d’amor.

L'articolo, in parte rielaborato, è stato pubblicato con alcune illustrazioni nella rivista mensile  Jesus - Anno X - luglio 1988 della Società San Paolo.
Ad esso fu associata una dotta disquisizione dell'allora Monsignor Gianfranco  Ravasi, oggi cardinale, che  approfondì vari aspetti legati al simbolismo dell'acqua fortemente presente nel testo biblico, come in tutte le civiltà.
In considerazione del grande spessore culturale del suo contributo, ritengo cosa opportuna pubblicare per intero ciò che scrisse di seguito al mio studio.

Mistero dell’acqua e tradizione biblica

Un grande antropologo culturale, E. De Martino, ha scritto che le tradizioni folcloriche del nostro Meridione sono spesso appese ad un filo d’oro che è annodato alle antiche radici delle culture proto-italiche o della Magna Grecia o di un cristianesimo primordiale. Per il rituale dell’acqua di Civitella Roveto potremmo parlare di un filo azzurro che si ramifica in tutte le culture del bacino del Mediterraneo essendo l’acqua -come insegnavano già i filosofi ionici - uno degli elementi radicali e costitutivi dell’essere stesso. Noi ora ci accontenteremo di individuare qualche filamento sottile di questa trama azzurra e limpida inseguendo l’ideale fiume d’acqua viva che percorre tutta la Bibbia: senza contare il Giordano, di cui il Liri diventa a Civitella una riproduzione simbolica, nel solo Antico Testamento la parola ebraica màijm, “acqua”, risuona 582 volte e 395 volte appare jam, il “mare”. Per il Nuovo Testamento basti solo ricordare che il Grande Lessico del Nuovo Testamento dedica alla parola greca hydor, “acqua”, più di 50 fittissime colonne (ed. Paideia, vol. XIV, colonne 53-104). In un paesaggio desertico e bruciato dal sole com’è quello biblico-il deserto occupa il 60% d’ Israele, il 90% della Giordania e il 97% dell’Egitto- l’acqua è ovviamente la realtà più attesa e sognata, simbolo di vita, di freschezza e di felicità. Esemplare questa comparazione del Libro dei Proverbi: «Come acqua fresca in una gola riarsa, così è una buona notizia che ci giunge inattesa da un paese lontano» (25,25). Celebre è l’autodefinizione divina raccolta da Geremia: «Hanno abbandonato me», dice il Signore, «sorgente d’acqua viva per scavarsi cisterne screpolate che non tengono l’acqua» (2,13). L’acqua viva, quella delle sorgenti, dei pozzi, dei ruscelli e dei fiumi, è quasi una sigla “paradisiaca” : non per nulla, secondo il racconto di Genesi c. 2, dal “paradiso terrestre” si diramano i quattro fiumi destinati ad irradiarsi in tutto il pianeta fecondandolo, il Tigri, l’Eufrate, il Pishon (Indo o Gange?) e il Ghicon (Nilo?). Eppure ad un’analisi più attenta, l’acqua è in tutte le culture un simbolo ambiguo, può essere contemporaneamente un segno di vita e di morte, di essere e di nulla, di creazione e di caos. Infatti lo stesso immergersi “battesimale” giudaico (pensiamo a tutte le cisterne per abluzioni del “monastero” esseno di Qumran presso il Mar Morto) e cristiano ha un duplice valore: da un lato è un atto lustrale, che ha la funzione “negativa” di cancellare il male dell’uomo, di far “annegare” l’uomo vecchio, come dirà Paolo (Romani 6,6); d’altro canto, però, è la generazione di una nuova creatura per cui l’acqua è simile ad un grembo fecondo. Cerchiamo, allora, di seguire brevemente i due versanti di questa antitesi. Ecco innanzi tutto l’aspetto mostruoso e caotico dell’acqua, spesso rappresentato dal mare: nel mondo indigeno della Terrasanta, cioè tra i Cananei, il dio Jam, il Mare, era una divinità negativa, ostile, attentatrice allo splendore della creazione operata dal dio “buono” Baal. In questa linea si pone anche la stupenda strofa che Giobbe dedica al mare, raffigurato mentre Dio lo sta imprigionando nella linea del litorale per impedire che esso debordi, sfondando l’armonia cosmica (38,8-12). Illuminante in questo senso è soprattutto il racconto del diluvio (Genesi cc. 6-8) che, com’è noto, riprende un’analoga narrazione mesopotamica : il creato è dalle acque riportato al caos primordiale per cui è necessaria una successiva vera e propria ri-creazione. Il mito della lotta col mare come atto cosmogonico è diffuso in moltissime culture non solo della Mezzaluna Fertile ma anche di orizzonti remoti (India, Cina, America centro-meridionale ecc.). Si configura, così, l’identificazione tra mare e male. Pensiamo al Mar Rosso dell’esodo d’Israele dall’Egitto, simbolo della schiavitù egiziana ormai vinta, o all’esercito assiro dipinto da Isaia durante un’invasione come un fiume che dilaga in una colossale inondazione (8,7-8). Pensiamo a certe dichiarazioni salmiche : «Mi circondavano i flutti della morte...il Signore stese la mano e l’afferrò, mi sollevò dalle grandi acque, mi fece uscire al largo, mi liberò perché mi vuole bene» (Salmo18,5.17.20); «Il fedele ti prega nel tempo dell’angoscia; quando le grandi acque irromperanno, non lo potranno inghiottire» (32,6); «Affondo nel fango d’un abisso, non ho dove appoggiarmi, sono piombato in acque profonde e il vortice mi sommerge...non mi sommerga il vortice delle acque e l’abisso non mi travolga » (69,3.16). Non per nulla nella Gerusalemme perfetta celeste cantata dall’Apocalisse «il mare non ci sarà più» (21,1).

Un rito di purificazione

Tuttavia la forza distruttrice delle acque può essere da Dio incanalata anche verso una funzione positiva, quella della cancellazione del male. Pensiamo alle acque del diluvio destinate a radere al suolo ogni iniquità, ma pensiamo soprattutto ai riti di purificazione e al valore lustrale dell’acqua “santa”. Già nell’antico Egitto il sacerdote, mascherato da dio, “battezzando” il fedele, pronunziava questa formula: «Io ti purifico con la vita e la salvezza. Tu divieni puro e splendente mediante l’acqua della vita e della salvezza». L’acqua in questo modo diventa per eccellenza il simbolo della vita fisica e spirituale. Ed è questo, come è ovvio, il filo azzurro dominante in tutta la Bibbia e in tutte le culture. Già nel mito babilonese della Discesa di Istar agli inferi, questa dea dell’amore vinceva la morte e poteva risalire dalle acque infernali attraverso un’aspersione d’”acqua di vita”. In epoca ellenistica, poi, fiorirà la leggenda della spedizione di Alessandro Magno alla ricerca, nelle oasi d’Oriente, della fonte dell’acqua della vita che comunica l’immortalità. In questa prospettiva la celebrazione popolare di Civitella si lega ad una costante tradizione pagana e biblica. Per la Bibbia, infatti, Dio dona l’acqua nel deserto al suo popolo in “esodo” dalla schiavitù d’Egitto (Esodo c. 16; Numeri c. 20) e da quella di Babilonia, come spesso ripete il Secondo Isaia (35,7; 41,18; 43,19; 44,3). Il giusto è «come un albero piantato lungo l’acqua, verso la corrente stende le sue radici, non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi ed anche nell’anno della siccità non avvizzisce» (Geremia 17,8). L’acqua diventa, quindi, il simbolo della comunione mistica con Dio: «Dio, Dio mio, dall’alba io desidero te solo, di te la mia gola ha sete, la mia carne a te è protesa come terra arida, assetata, senz’acqua» (Salmo 63,2). L’acqua è il segno della comunione eterna con Dio: nella Gerusalemme perfetta descritta da Ezechiele (c.47) e in quella celeste tratteggiata dall’Apocalisse (22,1) il fiume della vita si irradia su tutta la terra arida dell’umanità peccatrice. Si attua così la generazione “battesimale” dei figli di Dio che «nascono dall’acqua e dallo spirito» (Giovanni3,5).
Un’ultima annotazione. È probabile, come si osserva nell’articolo qui a fianco, che spesso nei rituali celebrati lungo i fiumi permangono tracce di culti alle divinità fluviali. Suggestivo è su questo tema il racconto della lotta di Giacobbe con l’essere misterioso alle sponde del fiume Jabbok (Genesi c.32). Certo, la narrazione è fortemente “jahvista” e l’essere che affronta Giacobbe è il Dio d’Israele che trasforma il patriarca in capostipite del popolo ebraico imponendogli il nuovo nome eponimico di “Israele”. Tuttavia, secondo gli studiosi, il racconto è modellato sullo schema mitico- conosciuto anche nel cristianesimo attraverso la leggenda di san Cristoforo- del dio fluviale che reagisce al passaggio di un uomo all’interno del suo territorio. L’arte cristiana antica, come è visibile ad esempio nei mosaici di Ravenna, ha spesso raffigurato accanto al Cristo battezzato da Giovanni nel Giordano anche il fiume, personificandolo in un vecchio che emerge dalle acque col capo avvolto da alghe e coronato dalle chele di un crostaceo, mentre assiste devoto e stupito all’evento salvifico.

Gianfranco Ravasi