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Le ultime carbonaie di Vallepietra

sezione interna di una carbonaia, 1993
sezione interna di una carbonaia, 1993

Non è molto tempo che le ultime carbonaie di Vallepietra, fumanti fino alla metà degli anni Novanta del secolo scorso, si sono definitivamente spente e con esse è finita una secolare attività lavorativa che nel passato era di fondamentale importanza per l’economia locale e spesso per molte famiglie era l’unica fonte di guadagno (1).

L’attività, spesso trasmessa di padre in figlio, era molto diffusa per le grandi estensioni di faggete e di macchia mediterranea in tutto il territorio dei Monti Simbruini e ancora oggi la risorsa del legname costituisce una delle poche voci produttive esistenti in zona, capace di attrarre anche i giovani (2). Vicino al punto di raccolta dei tronchi tagliati (3), trasportati ieri come oggi con l’impiego dei muli per gli scoscesi pendii dei versanti montani, si iniziava a costruire la “piazza”, il suolo spianato e battuto per contenere le dimensioni della carbonaia da comporre.

Dopo aver tracciato la circonferenza, ben delimitata da un solco, al suo centro si cominciavano a porre i primi ceppi uno sopra l’altro, a due a due in modo incrociato, così da formare una specie di torre con uno spazio vuoto all’interno di circa trenta cm. di diametro, chiamato“buco”, che andava dalla base alla sommità. Subito dopo si disponevano in circolo, attorno alla struttura iniziale, i ciocchi in modo verticale, dai pezzi più grossi a quelli via via più piccoli, man mano che si procedeva alla sua costruzione circolare, badando a che la parte più grossa del tronco fosse messa all’insù, per lasciare piccoli vuoti d’aria, indispensabili per la combustione. Nella parte più esterna la carbonaia era ultimata con i rami più sottili, indicati come “mpillicciatura”, fino a raggiungere la definitiva forma a cupola. Alle donne in genere spettava il compito di andare a raccogliere con i sacchi le foglie secche o in alternativa paglia, segatura per coprire integralmente la carbonaia con un involucro che consentisse di spargervi sopra uno strato isolante di terra, avente la funzione di impedire che la legna potesse accendersi e anche di permettere una termoregolazione della grande fornace.

Vallepietra 1980
Raccolta di foglie secche, 1980
insaccamento delle foglie, 1980
insaccamento delle foglie, 1980

La fase successiva era quella dell' "incallatura", che prevedeva l'accensione e il riscaldamento della catasta di legna. Dalla bocca del "buco" si versavano legnetti e brace ardente  per avviare il “foco morto” e quindi per scaldare bene la carbonaia nella sua parte interna più bassa, prestando attenzione a non far sviluppare la fiamma. Tutto

Occorrono molti viaggi per ricoprire la carbonaia di foglie, 1980
la legna viene prima ricoperta di foglie e poi di terra, 1980

questo processo veniva regolato con dei fori, chiamati “spiragli”, praticati all’inizio a filo di terra attorno alla cupola vegetale e distanziati all’incirca di un metro. Essi permettevano di far affluire all’interno l’aria, che poteva essere governata chiudendo e spostando i fori, localizzati in un secondo momento in corrispondenza dei livelli di combustione, affinché tutta la propagazione della temperatura avvenisse ovunque uniformemente. .

accensione della carbonaia, 1980
piccola carbonaia sopra Vallepietra, 1993

Dal diverso colore del fumo, che da essi fuoriusciva, si ricavavano informazioni sul processo in corso (4). Trascorso un certo tempo dall’ “incallatura“, variabile a seconda della grandezza della carbonaia e del legname più o meno secco, il camino centrale veniva riempito di legna e chiuso. Gli spiragli a questo punto si aprivano in alto e il forte calore saliva velocemente verso tutta la zona alta della catasta, dove iniziava la vera e propria carbonizzazione, che poi si trasmetteva per contatto agli strati più bassi, fino ad interessare tutta la carbonaia, che progressivamente si afflosciava e si riduceva di molto nelle dimensioni. Il legname bruciando per calore a poco a poco si trasformava in brace nera. Occorrevano giorni e giorni di sorveglianza e continua attenzione per verificare che tutto procedeva bene, in caso contrario bisognava intervenire con la regolazione degli spiragli o con il compensare locali cedimenti strutturali aggiungendo altra legna.

intervento per mantenere la combustione uniforme,1993

Ci si affidava all’esperienza di una vita, ben sapendo che un errore in quel momento avrebbe vanificato tutto il lavoro. A questo punto la formazione del carbone vegetale si era conclusa ed iniziava la fase di pulitura e di insaccamento. Il carbonaio con “la pala”,”ju piccu” e “ju rastreju”(5) separava il carbone dalla terra per metterlo nei sacchi, che i muli portavano fino alla più vicina strada carrabile per essere venduto. Ma fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, nel racconto di Alessio, vissuto in prima persona, lunghe file di muli, asini e cavalli carichi di sacchi di carbone partivano a notte fonda diretti al paese del Piglio per scambiarli, secondo una forma antica di baratto, con una rispettiva quantità di olio di oliva, con una rispettiva quantità di olio di oliva, non potendolo produrre per le sfavorevoli condizioni ambientali di Vallepietra. Era un lavoro molto duro e particolarmente disagevole, specie per la grande quantità di polveri e fumi acri, eppure nelle parole degli ultimi carbonai si sente nostalgia per quel mondo perduto, legato indissolubilmente alla loro più giovane età.

Le stagioni migliori per il lavoro delle carbonaie erano la primavera e l’autunno, ma anche l’estate poteva andar bene a patto che si avesse a disposizione molta acqua per bagnare all’occorrenza la terra e compattarla, perché il forte irraggiamento la rendeva oltremodo fine e facilmente penetrabile all’interno, compromettendo la corretta combustione. Il carbone più pregiato si otteneva dal faggio e per ogni quintale occorrevano quasi cinque quintali di legna (6). “ Magari ce ne fosse di carbone, ancora me lo chiedono “, così suole ripetere il mio amico Alessio, ma chi mai potrebbe raccogliere la tradizione e continuare questo lavoro?

1 - Sullo stesso argomento si veda MARIO COSCIOTTI, I carbonai di Cappadocia, in Aequa, VII, 23, ottobre 2005.
Tutte le foto sono state scattate a Vallepietra nel 1980 e nel 1993.
2 - Le informazioni sono state fornite da Alessio Rotondi nel settembre 1980 e da Francesco Recchia nell’aprile 1993, gli ultimi carbonai attivi a Vallepietra.
3 - Il taglio del bosco avveniva nel periodo invernale, ma non sempre era condotto in tutto o in parte dai carbonai, che si avvalevano spesso di tagliaboschi e vetturini.
4 - MARIO COSCIOTTI, op.cit.,p.38. Erano indicativi “ i colori del fumo: grigio-bianco
all’inizio, quando la legna emetteva ancora acqua; blu-azzurro, quando la temperatura saliva al massimo; cessavano invece quando la carbonizzazione era terminata “.
5 - La pala, il piccone, il rastrello.
6 - Una carbonaia poteva essere composta da poche decine di quintali di legna fino a diverse centinaia, cosa che si rifletteva sul tempo di lavorazione.

Si veda anche sullo stesso argomento la galleria fotografica in fondo all'articolo Lavori tradizionali nel Parco dei Monti Simbruini nella sezione  album fotografici di questo sito e il video dal titolo Carbonai di Vallepietra 1980-2010.