Sono innumerevoli in Italia le grotte, le chiese, le cappelle e i santuari in cui fin da tempi remoti si è praticato il culto verso San Michele Arcangelo, sull’esempio di quanto avvenne nel Gargano alla fine del V sec. d.C. Il suo nome significa chi come Dio? e l’iconografia ce lo mostra in lotta contro il demonio, sotto forma di serpente, drago o angelo decaduto, che schiaccia sotto i suoi piedi. La tradizione bizantina lo raffigura spesso con una bilancia in mano, mentre quella longobarda lo ritrae prevalentemente come un guerriero con la lancia o con la spada sguainata nell’atto di colpire Satana. Il suo culto è antichissimo e in località geografiche diverse la figura dell’Arcangelo ha certamente « sostituito qualche divinità pagana, ereditandone attributi » e funzioni (1). In occidente la presenza dei primi santuari di San Michele in aree di influsso bizantino conferma la provenienza del suo culto dall’oriente e in ricordo delle apparizioni nella grotta del Gargano, avvenute l’8 maggio del 490 e il 29 settembre degli anni 492 e 493, si festeggia in detti giorni ( 2 ). La tipologia dei luoghi dedicati a San Michele, insieme a racconti fantastici, leggende di fondazione e riti ha spesso ricalcato il prototipo pugliese, riutilizzando in molti casi spazi aperti e ambienti sotterranei, adibiti in precedenza per altri usi cultuali. Da questo incontro è scaturito un diffuso fenomeno di sincretismo religioso che ha inglobato nel nuovo culto micaelico vecchie credenze pagane e pratiche rituali, che in forma residuale sono giunte sorprendentemente fino a noi (3). Nella lotta per il possesso dell’Italia meridionale i Longobardi attribuirono all’intervento prodigioso del Santo la vittoria nel 647 sui bizantini, avvenuta nel mare antistante la Santa Grotta, che da allora divenne il loro santuario nazionale. In considerazione di ciò diffusero il culto dell’Arcangelo nell’ Italia centro- settentrionale e a lui consacrarono molte cappelle, chiese rupestri e grotte. A dare ulteriore propagazione al culto di Sant’ Angelo in area centrale sono stati i pastori abruzzesi e molisani che per secoli lungo i tratturi si sono recati in Puglia per l’annuale transumanza e a difesa delle loro greggi lo hanno proclamato patrono e protettore. Michele è invocato per difendere la Chiesa contro le potenze demoniache e le anime in punto di morte e nel giudizio finale, per questo è effigiato spesso con una bilancia in mano per la pesatura delle anime (la psicostasia), da sottrarre all’inferno, secondo una funzione che rimanda al mondo dei morti dell’antico Egitto ed anche a Mithra-Hermes (4).
Per rammentare questa peculiare similarità, che attesta la continuità storica del rito sovrumano, va detto che presso gli egizi l’ anima, accompagnata da un difensore che ne perorava la causa, raggiungeva il tribunale di Osiride per essere giudicata con il rito ultraterreno della pesatura. L’anima del defunto veniva messa su un piatto della bilancia, in tutto simile alla nostra stadera, e sull’altro piatto una piuma. Se la piuma pesava più dell’anima, il defunto era salvo, viceversa era condannato alle pene dell’inferno (5). Lo stesso compito, nella religione cristiana, è stato assunto da San Michele, che svolge anche la mansione di psicopompo, cioè conduttore delle anime al cielo. Fra tante realtà devozionali del nostro territorio verso l’Arcangelo, lo studio prende in esame due siti ipogei a lui dedicati, vicini tra loro, ma appartenenti a regioni diverse. Gli eventi e i luoghi, ancora poco noti al grande pubblico, sono stati ben studiati e divulgati, tuttavia meritano ulteriori approfondimenti e precisazioni, soprattutto sul piano etnografico, anche per alcune interessanti analogie che presentano. La grotta di San Michele a Montorio in Valle, frazione di Pozzaglia Sabina (Rieti), e quella di Colli
di Monte Bove, frazione di Carsoli (L’Aquila), sono situate in aperta montagna quasi a mille metri di altezza e distanti dai paesi alcuni chilometri, con un percorso da fare obbligatoriamente a piedi nell’ultimo tratto. Le testimonianze certe fissano in epoca medioevale la frequentazione e l’uso cultuale dei due antri, dove ogni anno si rinnova il pellegrinaggio primaverile in concomitanza della festività di maggio, con una buona partecipazione di fedeli. Un comune sentire li unisce nell’attaccamento alla tradizione, che oggi si incentra sul cammino penitenziale verso le grotte attorniate da boschi, sull’uso terapeutico della roccia, sulla consuetudine di toccare i muri per trarre benefici, sui riti religiosi della celebrazione eucaristica con benedizioni e sulle preghiere invocanti aiuto e protezione. Per concludere, in entrambi i casi, con collettive consumazioni di cibo e bevande. Le due feste conservano molti aspetti di sincera partecipazione religiosa, anche perché, cosa assai rara, non viene promossa alcuna pubblicizzazione degli eventi e tutto si svolge all’interno delle comunità e al di fuori di ogni richiamo turistico. Mentre a Montorio la figura di san Michele appare soprattutto in perenne competizione con il demonio, sia nei racconti mitici che nella pratica cultuale, a Colli di Monte Bove è invece in stretto rapporto con la Vergine madre di Dio, con cui finisce per confondersi. Qui la componente rituale e la dimensione devozionale risultano più stratificate e legate ai significati di salute, fecondità, abbondanza, guarigioni, miracoli, attraverso l’utilizzo della pietra-terra-acqua-pianta e l’usanza dell’incubatio, almeno fino ad un recente passato.
La grotta e la festa di San Michele A. a Montorio in Valle
Il territorio di Montorio appartenne all’abbazia benedettina di Santa Maria del Piano presso Orvinio, oggi totalmente abbandonata e in grande rovina(6),. Non si hanno notizie storiche su quando e perché ha avuto inizio il culto di San Michele in questa cavità naturale, che nel lato di accesso in passato è stata chiusa con una parete di pietre locali, su cui si aprono finestroni per consentire una adeguata illuminazione interna. La fondazione leggendaria racconta, come si canta ancora in processione o durante le celebrazioni religiose, che sul colle Mandrile, situato al di sopra della grotta, vi era un drago spaventoso e crudele, su cui l’Arcangelo trionfò (7). All’interno vi sono due altari, al di sopra di quello addossato nella parete di sinistra c’è la nicchia con la statua del santo, mentre nell’altro, in posizione più centrale, è incastonato un piccolo mosaico di tessere policrome di età medioevale e probabilmente di scuola cosmatesca (8). In una rientranza dell’antro è stato posto in una teca l’ossario detto degli Eremiti, che secondo la più frequente tradizione orale custodirebbe i morti di colera dei secoli passati. « Da notare, scrive Andrea del Vescovo, che la gente di Montorio venerava qui anche i propri morti, quando il cimitero ancora non c’era, e questo ancora nel 1791 » (9). Dalla grande cavità piuttosto alta e profonda si diramano due condotte, una di dimensioni più grandi rispetto all’altra, che in passato ricevevano acqua dai monti soprastanti. Nelle immediate vicinanze sono ancora ben visibili ruderi di costruzioni, che testimoniano l’importanza del sito religioso per le popolazioni locali. Particolarmente ricca è stata la fioritura di leggende che riguardano soprattutto episodi riferiti a San Michele e alle lotte che affrontò contro il maligno . Il racconto più noto e ricorrente ha come scenario un’altra grande grotta naturale poco distante dalla chiesa rupestre e visibile dal sentiero di percorrenza, chiamata Il Grottone. Qui l’Arcangelo avrebbe ingaggiato una lotta furibonda con il demonio, al termine della quale è volato al cielo da un’apertura creata con le sue ali, le cui impronte la gente vede stampate nella roccia, mentre il diavolo è rimasto dentro le viscere della terra (10). Un’altra pia leggenda narra che il diavolo avrebbe sfidato l’Arcangelo a chi fosse stato in grado di creare la grotta più grande. Il celeste spirito accettò, concedendogli anche una settimana di vantaggio, al termine della quale tornò e il diavolo non aveva fatto che una grotticina, allora San Michele con le ali dispiegate d’un colpo formò una spelonca di grande ampiezza, tale da accogliere l’attuale eremo, da lui sacralizzato e a lui dedicato. Ma le vicissitudini di San Michele non finiscono qui, perché in un tempo lontano gli abitanti della vicina Pietraforte rubarono la statua che stava a Montorio e la trasferirono nel loro paese, nascondendola sotto una coppa di legno, per non farla trovare. Di notte però il santo volle ritornare nella sua chiesa e al suo passaggio gli alberi si piegarono verso di lui, in segno di rispetto (11 ). Da quel momento, visto il suo volere, restò per sempre nella primitiva sede. Un altro fatto particolare, che ritroviamo a Colli di Monte Bove, è quello che i fedeli dicono di sentire nella grotta più interna un rumore simile allo scorrimento di un ruscello sotterraneo, che la tradizione popolare tramanda essere quello del sangue dei santi martiri o degli innocenti. Inoltre delle persone ravvisano di scorgere il volto di Gesù nelle rugosità della parete posta al di sopra dell’altare centrale, modellate in questo gioco visivo dalla fioca luce proveniente dall’ingresso. Senza dubbio un aspetto rilevante sotto il profilo antropologico è costituito da un’antica forma di litoterapia, ancora praticata specialmente durante la ricorrenza festiva di maggio, volta a sconfiggere il mal di testa . I fedeli di ogni età all’interno della grotta fanno il segno di croce con la fronte sopra una vena calcarea che scende dal lato destro, a volte recitando preghiere, per prevenire e guarire emicranie. L’impiego della pietra per la stessa patologia avveniva pure a Colli di Monte Bove. La manifesta volontà dell’essere divino di voler risiedere in un determinato luogo, le impronte nella pietra di origine sacrale e la stessa litoterapia sono fatti che appartengono ad una cultura arcaica che ritroviamo diffusa in aree molto ampie dell’Italia e particolarmente del vicino Abruzzo, dove ancora oggi permane in forma residuale la tradizione di curarsi con lo strofinamento sulle pietre. In questo senso sono famosi i luoghi di culto di Raiano nell’aquilano, di Serramonacesca nel pescarese e di Pretara nel teramano
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A Montorio il pellegrinaggio all’eremo avviene nella festività di maggio, con la partecipazione di molti fedeli tornati dalle città per questa sentita ricorrenza e con il festarolo che porta la statuetta del Santo Patrono, per essere baciata al termine della celebrazione eucaristica. A fine mattinata c’è la tradizionale scampagnata sui prati circostanti per mangiare insieme e in allegria il cibo portato da casa.
Nel pomeriggio avviene in chiesa il sorteggio per designare il nuovo festarolo, che conserverà nella sua casa la piccola statua dell’Arcangelo fino a settembre. Di fatto è il signore della festa e la sua nomina è ritenuta un onore e una benedizione per la famiglia . Le celebrazioni festive per San Michele riprendono a settembre e precisamente nella prima domenica, per la permanenza in paese di numerosi oriundi, prima dello spopolamento invernale. In questo giorno, dopo la Messa, esce la breve processione con la macchina del Santo sorretta dagli uomini e con il grande stendardo raffigurante l’Arcangelo vittorioso sul demonio.
Aprono il corteo due file di bambini con le candele, cui fanno seguito altre insegne religiose e la banda con il festarolo recante in mano la sacra immagine. Nel pomeriggio in chiesa ha luogo una doppia estrazione per eleggere il festarolo che terrà la statuetta fino alla prossima celebrazione primaverile e i membri, di solito tre, del comitato organizzatore della festa, in carica per un anno intero. I loro compiti sono importanti e impegnativi, a cominciare dalla raccolta delle risorse economiche per far fronte ai numerosi capitoli di spesa. Essi riguardano principalmente il complesso bandistico e il concerto serale, le luminarie e i fuochi d’artificio, la distribuzione di rinfreschi a tutti i presenti e a volte iniziative culturali (12). A Colli di Monte Bove invece nella prima domenica di aprile si sorteggiano i due festaroli, che dovranno svolgere il loro servizio sia nei confronti del culto di San Michele che di San Berardo, patrono del paese per avergli dato i natali. Gli eletti restano in carica per sei mesi , con scadenza 1 maggio - 3 novembre. Nonostante la stessa devozione verso i due taumaturghi, per San Berardo ci si prodiga più, maggiori sono le celebrazioni in suo onore e durante l’anno la famiglia in carica semestrale accoglie la statuetta del Santo in casa, che è aperta a chiunque voglia unirsi alla recitazione del rosario. La stessa cosa non accade per Sant’Angelo, la cui statuetta resta in chiesa.
La grotta e la festa di San Michele A. a Colli di Monte Bove
La grotta, di dimensioni più piccole rispetto alla precedente, è frequentata dagli abitanti di Colli di Monte Bove e di Pietrasecca, frazioni di Carsoli. Nel lato d’ingresso è protetta da un cancello di ferro ed è costituita internamente da un piano terra e da uno superiore, cui si accede con una gradinata in pietra. Nella cavità naturale, chiamata in dialetto la rotte de Sant’Agno o la Madonna de Sant’Agno, è stata costruita una specie di cappella absidale intonacata e affrescata sull’arco esterno e nella parete di fondo dietro l’altare. Purtroppo gli affreschi, esposti alle intemperie, hanno subìto perdite di superficie pittorica e si sono in parte rovinati, cosa che ha compromesso l’esatta lettura delle immagini e la loro piena godibilità.
Nell’arco è effigiata in posizione centrale la Vergine in trono che allatta il Bambino, mentre questi benedice con la mano destra e regge il rotolo della Legge con la sinistra. “ Sopra gli spioventi del dossale è iscritto, in lettere greche e con la consueta abbreviazione, il termine di “Madre di Dio” (13). Ai lati della Madonna incoronata vi è una santa sontuosamente vestita e con in mano un giglio bianco, simbolo di purezza. Entrambe sono rivolte verso la Virgo lactans con il medesimo gesto di deferenza, che vuole invitare alla adorazione. Quella alla sua destra è con ogni probabilità Santa Margherita vergine e martire, come suggeriscono le lettere in caratteri capitali ancora decifrabili sul fianco, mentre quella alla sua sinistra è indicata da alcuni come Santa Lucia (14). Chiudono lateralmente il ciclo pittorico San Michele Arcangelo e San Biagio, il cui titolo latino, Blasius, compare nel riquadro sotto i suoi piedi (15). Nel pennacchio sottostante “ vi si scorge un volatile dal lungo collo e dal piumaggio celeste, su un fondo giallo ocra bordato di celeste. Mancano, o almeno non sono conservate, iscrizioni di committenza o di data “(16). Nell’altro spazio affrescato sulla parete di fondo, con una vistosa parte mancante, campeggia in un clipeo blu il busto del Cristo benedicente e in origine probabilmente con il libro nella mano sinistra, fiancheggiato da due angeli ritti in piedi con un giglio bianco tra le dita . Questi ultimi sono di differente grandezza e le loro figure, più alte dello spazio rettangolare che le incornicia, escono dalla bordura rossa del riquadro. L’intero ciclo è databile alla II metà del XIII sec., e dovette essere un luogo di culto importante e frequentato fin d’allora, per giustificare un’opera così pregevole, attribuibile ad un unico artista per stile e fattura.
Le immagini con il loro spiccato linearismo e decorativismo si collocano sulla scia della più osservante iconografia bizantina, modulata però su esempi della tradizione romana e per diversi aspetti ancor più locale. Il pittore, anche se non privo di modi eleganti e gentili, che evidenziano una buona formazione artistica, si limita a presentare su di un unico piano frontale convenzionali figure, motivi ornamentali ripetitivi e un repertorio schematico di forme e colori, con cui vuole esaltare la regalità della Maestà divina e dei santi. Gli abiti sciorinano un campionario di stoffe pregiate, rese con calligrafica minuziosità degli ornati, che finisce per appiattire oltremodo i corpi dei soggetti religiosi. Dagli elementi emersi possiamo evincere che non si tratta di un vero e proprio maestro, ma piuttosto di un collaboratore di bottega che qui riunisce stili, figure, schemi e motivi desunti da diversi cicli pittorici. Il suo linguaggio figurativo in particolare è riconducibile a quello più maturo degli affreschi della cripta del duomo di Anagni (17), della cappella di S. Silvestro ai Ss. Quattro Coronati a Roma (18) e, con le dovute differenze, della chiesa di San Nicola di Filettino (19). In misura minore appaiono riferimenti stilistici con le pitture del Sacro Speco di Subiaco. La maniera dell’artista di Colli mostra evidenti assonanze con quella del pittore Ornatista ed anche del pittore delle Traslazioni, entrambi operanti nella cripta del duomo di Anagni nella metà del XIII sec., o almeno con la tradizione artistica di cui sono gli indiscussi esponenti. « Strette affinità con il Maestro Ornatista di Anagni sono state colte dal Matthiae negli affreschi della Cappella di S. Silvestro ai Ss. Quattro Coronati a Roma, tanto che il Demus ha ravvisato nei due cicli l’intervento della stessa mano » (20 ). Roma è il centro propulsivo, cui fanno riferimento le maestranze attive in tutto il territorio laziale e zone viciniori, nel solco della iconografia bizantina plasmata da apporti regionali. Inoltre all’Ornatista di recente è stato attribuito lo splendido affresco della chiesa di San Nicola di Filettino (21) . Nell’ umile grotta di Colli assistiamo ad uno straordinario incontro culturale tra oriente e occidente e ad un intreccio di motivi figurativi riscontrabili a Roma, Anagni, Filettino, Subiaco. Al riguardo può essere utile ricordare, solo per alcune significative comparazioni, rilevabili però anche altrove, come nella cripta anagnina, oltre ad esserci una Madonna allattante del Maestro Ornatista, troviamo nella conca dell’abside di sinistra due sante rivolte alla Vergine con lo stesso atteggiamento gestuale, e volti di Cristo con i medesimi baffi e barbe bipartite, secondo l’uso del tempo. Nella basilica dei Ss Quattro Coronati troviamo espressa nel modo più alto la raffinatezza di un linguaggio decorativo, che ha attraversato tutto il XIII sec. e che qui ritroviamo, seppure in forma meno eccelsa. Altri selettivi elementi di paragone, che possono indurre ad ulteriori riflessioni, si ravvisano negli affreschi di Filettino. In entrambi i cicli, dietro i soggetti religiosi, si distende un fondo azzurro più o meno intenso, su cui una sottile linea bianca delinea una velatura uniforme o semplici partizioni geometriche. Distribuite diversamente, compaiono identiche corolle di roselline perlinate, che alludono ad un giardino fiorito, probabile simbolo di eterna vita. I volti poi, così vicini alla tradizione della ritrattistica romana, presentano fronti corrugate, simili a quella del Cristo rupestre, come in parte è ancora possibile osservare. Infine i due angeli ai lati del Cristo ipogeo di Colli per certi versi sembrano ripetere debolmente quasi la stessa impostazione grafica di quelli che suonano la tromba nella grandiosa figurazione del Giudizio Universale di Filettino. Null’altro che possibili suggerimenti, veicolati da tanti altri rivoli pittorici comuni. Esaminiamo ora sotto l’aspetto iconologico il tema devozionale qui rappresentato. Il significato generale delle pitture effigiate nell’arco risiede nella ricerca di protezione durante l’intero ciclo della vita, dalla nascita alla salvezza eterna, attraverso la preghiera, la pratica rituale e penitenziale del pellegrinaggio verso un luogo sacro. Ma procediamo con ordine. Santa Margherita di Antiochia di Pisidia, ovvero Santa Marina per gli Ortodossi, è la protettrice delle partorienti, mentre la Madonna allattante è la Mamma celeste per eccellenza, a cui si rivolgevano, ancora fino a pochi decenni fa, le puerpere con ipogalattia per impetrare il latte per la propria creatura. In un tempo in cui sappiamo quanto fosse rischioso il momento del parto e alta la mortalità infantile, pure per la denutrizione. A Colli per favorire la lattazione si raccoglievano all’interno della grotta o nelle immediate vicinanze piantine di Umbilicus rupestris che localmente vengono denominate Cappelle o Cappellette, per metterle e massaggiarle sul seno o per ricavarne un infuso, in virtù delle loro ritenute proprietà curative, derivanti anche dalla sacralità del luogo (22)
. « Quelle che dovevano allattare e avevano un seno duro, che gli faceva male, si mettevano un po’ di quelle cappellette sul seno e ci si smuoveva...se sbrogliava il latte e davano da bere ai bambini » (23). Santa Lucia è la protettrice degli occhi, ma anche delle carestie e San Biagio ha il patronato verso tutti i mali della gola. Due funzioni vitali per affrontare il ciclo dell’esistenza, sempre in lotta contro le avversità e povertà. San Michele è ritenuto protettore dei terremoti, fulmini e pestilenze, nonché dispensatore di acqua. Oltre che alla dimensione fisica e terrena per le necessità materiali e corporali, l’uomo si rapportava con quella sovrannaturale, per combattere il Male, fonte di ogni malattia e sventura, e aspirare al paradiso. Santa Marina infatti si invoca anche contro il demonio e le sue azioni malefiche, così come San Michele Arcangelo, il quale svolge pure la mansione di guida delle anime al cielo, dopo averle contese e sottratte a Satana con la psicostasia.
A supporto di questa interpretazione, relativa all’identità delle due sante e al complesso pittorico, sta il fatto che in molti santuari micaelici alla figura dell’Arcangelo troviamo abbinata la Madonna con Bambino oppure la Madonna puerpera o partoriente , qui sostituita da Santa Margherita, con la funzione di elargire grazie, salute, abbondanza e guarigioni (24 ).
In basso, dietro l’altare, il Cristo pantocratore tra i due angeli sta a ricordare che il suo gesto di benedizione abbraccia amorevolmente tutti gli uomini e che è Lui il Signore del cielo e della terra, a cui si deve ricorrere. Tutti gli altri possono solo intercedere, rendersi nostri avvocati presso l’Altissimo per le umane fragilità. Anche qui da una specie di tromba carsica, posta nel vano superiore, la gente dice di sentire l’eco di un rumore, che identifica nella voce o nelle gocce (di sangue) dei Santi Martiri, udibili però solo da « chi è degno, chi non è degno non sente niente » (25). A Colli questo ripetuto racconto popolare, potrebbe trovare un riferimento diretto e per così dire una giustificazione evocativa nei santi dipinti, morti tutti con il martirio per la fede in Cristo.
Nella parete, a sinistra dell’altare, si trova una piccola cavità, al cui interno i fedeli ravvisano di sentire al tatto una treccia pietrificata di capelli, lasciata come impronta dalla stessa Madonna, che lì si era seduta ed aveva poggiato la nuca (26)
. Nel foro, in un tempo non lontano, si metteva la testa per curare o prevenire emicranie, secondo un uso molto simile a quello presente in altre aree dello stesso Abruzzo. Basti pensare all’eremo di Santa Colomba a Pretara di Teramo o all’eremo di San Venanzio a Raiano (27). Con gli stessi intenti si strofinava la mano sulla treccia, con una pratica che in parte è ancora in uso, per poi passarla sulla testa o su altre parti del corpo. Restando nell’ambito della litoterapia in luogo ctonio, rileviamo che nella grotta-santuario dell’Arcangelo sul Monte Tancia, vicino Rieti, ci sono pellegrini che raccolgono pietre a scopo devozionale e protettivo e prelevano un po’ di acqua grondante da stalattiti per riportarla a casa, proprio come accadeva con ritualità simili a Colli di Monte Bove. Qui nel passato al posto delle pietre era usanza prendere la terra e a volte riempire bottigliette d’acqua, per se stessi o per persone bisognose di cure, come fosse medicina. Un po’ di terra della grotta si prendeva per diversi motivi, collegati tuti al bisogno di salute e fecondità e riguardanti le partorienti, le puerpere, le campagne. Così attestano le seguenti testimonianze. « 40 anni fa so’ parturito e me so’ intesa male, la socera è venuta qua e ha preso la terra, me l’ha fatta prende con l’acqua la mattina e è andato tutto bene » [ anziana devota, 2008 ] (28) . « A chi non c’aveva il latte, si prendeva un po’ di quella terra e si metteva al mangia’ di quella signora che aveva sgravato e si diceva che la Madonna ti faceva scende’ il latte » [ anziana 2012 ]. « La terra che si prendeva a Sant’Agno si metteva agli terreni dove c’erano le viti che fanno l’uva e allora quella scacciava le cose cattive, le magnacozze, per protegge’ la campagna (29) » [ anziana devota di anni 75 ]. In questa serie di racconti e di fatti troviamo importanti aspetti della religiosità e della cultura della civiltà contadina, legata in modo così indissolubile alla Terra, da cui traeva sostentamento e cure. Tanto è prevalente l’elemento “maschile” nella festa di Montorio, quanto lo è quello “femminile” nella festa di Colli di Monte Bove e non solo per divisione dei compiti e ruoli. Mentre nella frazione reatina San Michele è centrale in tutte le forme cultuali, in quella abruzzese predomina la figura della Madonna allattante, a cui si sono sempre rivolti i collesi e gli abitanti limitrofi nelle difficoltà . Per antica tradizione alle donne spetta la prerogativa di portare in processione la statua del santo e nei rilevamenti effettuati i canti che hanno accompagnato il cammino pellegrinale sono
stati tutti rivolti a Maria (30). Solo in una occasione, prima di raggiungere il cimitero dove si posa il simulacro, per essere ripreso al ritorno, le donne hanno eseguito una canzone che unisce la venerazione della Vergine a quella dell’Arcangelo. Così recitano i versi, ricorrenti in tutte le strofe :
«...oh come è bello adorare Maria / e io l’adoro e la voglio adorare / San Michele la grazia ci fa » .
Si capisce però anche dal contenuto lirico, che le ultime parole risultano alquanto estranee al testo cantato ed infatti nella notoria canzone sono spesso sostituite da altre, riferite alla Madonna o a Santa Rita.
Durante il tragitto verso Sant’Agno si recita il rosario e nei punti più difficili della mulattiera ci si aiuta a vicenda. I fedeli al termine della messa in grotta girano attorno all’altare, un tempo compiendo tre giri con le preghiere del Pater, Ave e Gloria , toccano i muri e le pareti della nicchia con la treccia, cui fa seguito il segno di croce e a volte la recitazione bisbigliata di antiche giaculatorie :
« Grotta santa, grotta beata / sia benedetto chi te c’ha piantata / te c’ha piantata l’Eterno Padre / e la Santissima Trinità » (31).
Contemporaneamente si intona coralmente una toccante canzone di congedo, con cui si chiede la licenza di far ritorno a casa.
« Addio Madonna / noi famo partenza / la santa licenza / vogliamo da te ».
Si ripete per due volte, alla terza l’ultimo verso muta in « e la santa benedizion »
Il rituale di rientro nel suo insieme ricalca quello che i gruppi di pellegrini ripetono ogni anno nel santuario della SS. Trinità di Vallepietra al momento di andar via e nella grotta di Colli è abbastanza frequente accompagnare l’uscita con il canto di diverse strofe della canzonetta in lode alla SS. Trinità, che ha nel ritornello le famose parole Viva, viva, sempre viva (32). Assistiamo quindi ad un sovrapporsi e mescolarsi di molteplici esperienze religiose, che fanno parte integrante e fondante della cultura di un popolo e plasmano valori, sentimenti, rapporti sociali e vissuti collettivi, in cui ci si riconosce e ci si assicura, come ad un’ancora di salvezza, nei momenti di smarrimento spirituale o di perdita di orientamento esistenziale.
Note
1 - AA. VV., Santi e Santuari, 1979 Milano, Rizzoli Editore, vol. IV, p. 1407.
2 - DON PAOLO RICCI, San Michele Arcangelo: il santo Patrono, in La Terra nostra Vallecorsa, 1984 S. Elia Fiumerapido, IN.GRA.C. p. 30.
3 - Un solo esempio famoso ed emblematico nel reatino. « Sul monte Tancia in Sabina una grotta, ex oracolo pagano, fu dedicata nel secolo VII dai Longobardi all’Arcangelo ». ALFREDO CATTABIANI, Calendario, 1988 Milano, Rusconi Editore, p. 295.
4 - A. CATTABIANI, op. cit., p. 298
5 - AA. VV., Le grandi civiltà, 1980 Milano, Rizzoli Editore, vol. 1, p. 30.
6 - L’abbazia benedettina di Santa Maria del Piano,
confinante con le proprietà fondiarie dell’abbazia
di Farfa, anch’essa benedettina, compare per la
prima volta in documenti datati 1026-1062. Nei
secoli fu molto potente, tanto da estendere la propria
influenza fino alle porte di Roma ancora nel XV sec.
La tradizione orale la fa risalire al IX sec. d.C.,
attribuendo a Carlo Magno la costruzione della chiesa. SARA VIÀN, Abbazia di Santa Maria del Piano in www.orvinio.it
Montorio ebbe un piccolo nucleo di abitanti già in età romana e al decimo secolo si fa risalire la costruzione dell’attuale chiesa.
7 - Si riporta per intero l’interessante testo del canto, così come è stato possibile ricomporlo dalla viva voce delle persone che lo ricordano:
1- Evviva San Michele 2 - Lucifero in cielo
celeste campione del sommo Creatore
al drago fellone al trono d’onore
la guerra intimò superbo affrettò
3- Il Duce celeste 4- Il drago da spirito
dell’empio desio d’inferno invasato
fellone di Dio fu presto fugato
la spada impugnò ed indietro tornò
5- E mentre abbattuto 6- A colle Mandrile
fuggiva fremente c’è un drago ferale
un fulmine ardente su quel brutto animale
su di esso entrò Michele trionfò
Rit.: Evviva San Michele
che è grande che è forte
sul mostro di morte
lui sempre trionfò.
È probabile che il toponimo Colle Mandrile (recinto di muro per racchiudere i buoi), con quello di Montorio, oltre a rimarcare il tipo di economia secolare di questi territori, abbia una qualche relazione con aspetti agro-pastorali del culto di San Michele, a tutela di armenti e bovini , sulla base di quanto avvenne sul Gargano l’8 maggio 490 d.C.. Si narra che un vitello si allontanò dalla mandria e penetrò in una grotta difficilmente raggiungibile. Il padrone, visto ogni insuccesso per riportarlo a casa, gli scagliò delle frecce per ucciderlo, ma queste inspiegabilmente rimbalzarono sul corpo del torello. Il giorno dopo in quella grotta del Gargano apparve l’Arcangelo e chiese che lì sorgesse un santuario in suo onore.
8 - ANDREA DEL VESCOVO nel suo Blog www.paesisabini.altervista.org, da notizia che si tratta di un altare carolingio, senza citare la fonte, e fornisce informazioni sulle visite pastorali dei cardinali Odescalchi (1833-36) e Corsini (1779 -82). Negli « Acta S. Visitationis Montorii in Valle » di quest’ultimo si legge: « Chiesa rurale di San Michele Arcangelo, sull’altare è collocata una statua lignea dell’Arcangelo ». Sempre in una visita del cardinale Andrea Corsini del 1781 apprendiamo dal suo cancelliere che: « Si trovano in queste diocesi della Sabina molte chiese parrocchiali con il peso di cura d'anime, le quali sono talmente povere e scarse dell'annue rendite che li Parochi e li rettori non possono decentemente mantenersi e sostentarsi ».
www.montorio.it
9 - ANDREA DEL VESCOVO, op. cit.
10 - Sono molto diffuse le impronte su roccia o pietra lasciate dai santi durante la loro vita terrena, spesso associate ad eventi straordinari e miracolosi. Lo stesso Arcangelo nella grotta garganica ha lasciato l’orma del suo piede, a testimonianza della sua costante presenza. Tra le tante piace qui ricordare che all’interno della chiesa di San Benedetto a Roiate vi è un grande masso litico con impressa la forma del corpo sdraiato del santo e che a Subiaco in una roccia situata vicino la scaletta di pietra, che sale al piazzale del Sacro Speco, San Benedetto ha lasciato l’impronta della sua gamba inginocchiata.
11 - A Subiaco si tramanda un analogo racconto, riferito alla venuta di San Benedetto. Quando costui si recò sul monte Taleo per vivere in una grotta, gli alberi si inchinarono al suo passaggio, ed ancora oggi si dice che così sono rimasti piegati lungo il boschetto che conduce al Sacro Speco.
12 - Un breve documentario dello scrivente sulla festa primaverile nella grotta di Montorio con il rituale della litoterapia, relativo agli anni 2009-2011, è stato proiettato a Roma il 16 maggio 2012 nell’Istituto Centrale per i Beni Sonori ed Audiovisivi, per conto della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Lazio, a cura della Dott.ssa Elisabetta Silvestrini. Nella conferenza sono state mostrate foto della festa di Colli, come confronto. Lo stesso materiale audiovisivo è stato presentato a Subiaco il 6-10-2012. www.soprintendenzabsaelazio.it/ rituali terapeutici arborei dell’acqua del fuoco
13 - VALENTINO PACE, Bisanzio e l’Occidente: arte, archeologia, storia. Gli Affreschi della grotta di Sant’Angelo di Monte Bove. Un programma devozionale del Duecento abruzzese, 1996 Roma, ed. Viella, p. 494. Per l’intera descrizione e analisi storico-critica del ciclo pittorico si rimanda all’ottimo lavoro del Prof. Pace, consultabile nel Blog.
L’iconografia della Madonna allattante è estremamente antica e diffusa in Italia ed Europa. Nel Lazio compare in luoghi di culto di : Alatri, Anagni, Amaseno, Bassiano, Capena, Capranica Prenestina, Cave, Fondi, Marta, Orvinio, Piglio, Palestrina, Roma, Sant’Oreste, Sermoneta, Settefrati, Vallerotonda, Viterbo. L’elenco, frutto anche di una ricerca personale sul campo, è ovviamente incompleto. Soltanto con il Concilio di Trento, nel clima controriformistico, si affermò la proibizione di creare immagini ritenute disdicevoli e dannose per il culto. In questo senso il cardinale Federico Borromeo faceva rilevare « la sconvenienza di quelli che effigiano il divino infante poppante in modo da mostrare denudati il seno e la gola della beata Vergine, mentre quelle membra non si devono dipingere che con molta cautela e modestia ». Cfr. WIKIPEDIA.ORG.
14 - L’attribuzione del nome alle due sante poste ai lati della Madonna compare nel sito internet www.regione.abruzzo.it, Grotta di Sant’Angelo – Regione Abruzzo, 2006, senza però essere accompagnata da specificazioni. La proposta di Santa Margherita vergine e martire è convincente, per essere arrivato nel tempo alle stesse conclusioni. Nell’affresco si distinguono 9 lettere scritte in verticale sul suo lato destro. La prima, dall’alto in basso, è una S con il segno abbreviato di santa posto al di sopra, la seconda potrebbe essere una M, ma è molto alterata, la terza è una A, la quarta è una G, la quinta è troppo compromessa per tentare una certa identificazione, la sesta è con ogni probabilità una R, mentre le restanti tre sono chiaramente I, T, A. Il nome di Santa Lucia per l’altra figura, pur con qualche cautela, mi sembra piuttosto plausibile, in attesa di ulteriori conferme. A titolo di cronaca è utile ricordare che una edicola di Santa Lucia si trova poco distante Colli di Monte Bove, lungo la vecchia Via Tiburtina Valeria e sull’antico tracciato processionale in direzione della Sacra Grotta. Qui sostava, ancora a metà degli anni ’80, la statua di San Michele che si trasporta in processione e qui era ripresa al ritorno da Sant’Agno, per essere riportata in paese. Oggi il percorso è diverso, si passa accanto al cimitero e non si parte più la mattina presto, ma nel primo pomeriggio. Inoltre nella chiesa di San Berardo vi è un altare privato dedicato a Santa Lucia, il cui possesso si tramanda di padre in figlio e il 13 dicembre era usanza bagnarsi gli occhi con l’acqua santa per ricevere ogni bene dalla Protettrice della vista, particolarmente venerata dai collesi.
Un grazie particolare va alla Dott.ssa Maria Antonietta Orlandi, autrice di Cultura e Spiritualità a Subiaco nel Medioevo, 2007 Tipografia Editrice Santa Scolastica, per avermi fornito utili informazioni sui caratteri presenti nell’affresco dell’arco frontale.
15 - San Biagio sarebbe stato vescovo di Sebaste in Armenia e tra il 307 e il 323 subì il martirio con la decapitazione, probabilmente all’epoca di Licinio. È venerato dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa. Santa Lucia da Siracusa intorno al 303 d.C. subì il martirio con la decapitazione sotto Diocleziano. È venerata dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa. Santa Margherita di Antiochia di Pisidia nel 290 d. C. subì il martirio con la decapitazione sotto Massimiano. È venerata dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa. Non è certo casuale la scelta di questi tre santi, accomunati dalla medesima morte, nello stesso periodo delle grandi persecuzioni tra la fine del III e l’inizio del IV sec. d. C. e venerati sia dalla Chiesa cattolica che ortodossa. Il mondo bizantino e quello romano mostrano di dialogare non soltanto sul piano artistico e figurativo, ma anche religioso, dopo lo Scisma d’Oriente del 1054.
16 - V. PACE, op. cit. pp. 495-500. Il Professore giustamente osserva come immagini di volatili del XIII sec. sono presenti tanto nella cripta di Anagni che nell’atrio della cappella di San Gregorio del Sacro Speco di Subiaco.
17 - PIETRO TOESCA, Gli affreschi della cattedrale di Anagni, 2004 Subiaco, Arti Grafiche Il Torchio, p. 29. Il grande studioso li data « intorno all’anno 1250 ».
18 - ATTILIA DORIGATO, Storia della pittura, Istituto Geografico De agostini, vol. II, p. 140. In relazione all’oratorio di San Silvestro nella basilica dei Ss. Quattro Coronati scrive : « Gli affreschi, coevi alla consacrazione della cappella (1246), presentano undici episodi illustranti la donazione di Costantino ».
19 - GIANFRANCO RAVASI, La cripta della cattedrale di Anagni, 2008, a cura della Cattedrale di Anagni, p. 16. L’autore riporta l’attribuzione delle pitture di Filettino al Maestro Ornatista, così che devono datarsi oltre la seconda metà del XIII sec..
20 - ATTILIA DORIGATO, op. cit. pp.139-140.
21 - GIANFRANCO RAVASI, op. cit. p. 16.
L’opera pittorica appare potentemente espressiva ed eseguita con libertà di spirito, frutto di una piena maturità artistica. I personaggi, lungi dal rappresentare statici e compassati modelli, vibrano di vita propria e la forma-colore, davvero magistrale, imprime forza al tema trattato.
22 – L’intervista alla signora Silvia Lauri è dell’otto novembre 2012, insieme alle signore Elena e Domenica De Angelis, rispettivamente madre e nonna del sig. Giovanni Anastasi, festarolo del semestre 3-11-2012/1-5-2013. La mia gratitudine a Paolo Emilio Capaldi per avermi rivelato il nome latino della pianta officinale.
« L’Umbilicus Rupestris, noto anche con i nomi di Scodellina, Cappelloni, Coperchiole, Ombelico di Venere, fa parte della famiglia delle Crassulaceae. A questa pianta vengono attribuite proprietà emollienti, detergenti, diuretiche, rinfrescanti. Veniva utilizzata dalla medicina popolare principalmente con il cataplasma, per trattare scottature e ustioni lievi, con il decotto, come detergente, antiinfiammatorio, emolliente. La direttiva del Ministero della Salute (Dicembre 2010) consente di inserire negli integratori alimentari le sostanze e gli estratti vegetali di questa pianta in particolare cita folium, herba.
Riferimento per gli effetti : herba per il trofismo della cute. Un tempo venivano usate foglie morbide sui calli con lo scopo di proteggerli dallo sfregamento della scarpa, dando sollievo e una lenta scomparsa del callo stesso ». www.erbe.altervista.org
Tutto ciò è una conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, che i rimedi fitoterapici della nonna, lungi dall’apparire come un retaggio obsoleto e forse ” superstizioso “ del passato, poggiavano su sperimentate conoscenze di erbe dalle proprietà medicamentose, che si devono sempre più riscoprire e valorizzare. Bisognerebbe recuperare appieno questi preziosi saperi contadini, frutto di secolari osservazioni e verifiche, per ritrovare maggiormente un rapporto di sintonia tra i nostri ritmi biologici e il mondo vegetale.
23 - P. M. L. TABACCHI, Sant’Angelo tra storia e religiosità popolare, in Il Foglio di Lumen, miscellanea, n. 7, 2003 Pietrasecca, p. 17. Al riguardo si racconta che un uomo pregasse la Madonna affinché sua nuora avesse il latte per nutrire il suo bambino, che altrimenti sarebbe morto di fame. L’uomo si addormentò nella grotta e sognò la Madonna che gli diceva di preparare un infuso con un’erba che cresceva vicino al Santuario, per farlo bere alla puerpera. Tornato a casa somministrò l’infuso alla donna che fu subito in grado di allattare.
L’episodio narrato, interessante di per sé, aggiunge l’antichissima pratica dell’incubatio tra le espressioni rituali relative al culto micaelico.
Da tutti i racconti risulta che nella maggioranza dei casi doveva trattarsi di mastite puerperale. « In Abruzzo l’ingorgo del latte è chiamato péle , o pél’ a la sise, e più che da altro, si fa dipendere da aria, colpo di freddo, che prendono le mammelle ». GENNARO FINAMORE, Tradizioni popolari abruzzesi, 1981, Palermo, Edikronos, p.168.
Nella Valle dell’Aniene e in particolare a Vallepietra alla donna con la mastite si dice che ha Ju piu alla zinna ( il pelo alla mammella ) e per lei si prescriveva come terapia, oltre ai soliti impacchi con semi di Lino, impiastri di cenere mescolata ad urina, da applicare sul seno.
24 - GIANLUCA CECCARINI-ANDREA BENASSI, Alcune osservazioni storico-antropologiche sul culto micaelico e sulla sua diffusione nel territorio della Tuscia, pp. 9-10 in www.artestoriatarquinia.it/2002.
25 - L’intervista alla signora Claudia Cerroni è del 6 luglio 2011.
26 – « Se metti la mano là dentro si sente come la forma di quel pane attorcigliato a treccia, se tu fai così senti tutta la treccia, [… ]e la tradizione dice che là si è messa seduta la Madonna e ha lasciato la forma della testa con la treccia », [ giovane devota, 2008 ] .
Per ripetere la stessa posizione con cui la Madonna avrebbe lasciato la sua impronta e stare il più possibile a contatto con la treccia, i fedeli si mettevano seduti con la schiena rivolta alla parete e la nuca nella nicchia.
La tradizione orale sulla vita di San Berardo, morto il 3 novembre 1130, oltre a far menzione di altre impronte litiche, riferisce che agli inizi del XII sec. la grotta era già luogo di culto.
Si racconta che San Berardo, era solito recarsi a pregare in mistico raccoglimento nella grotta. Lungo il percorso che porta al Santuario, su una pietra, nota come la Pietra Spaccata è incisa una croce. La tradizione vuole che sia stato proprio l’indice del Santo a lasciare questo segno…inoltre in prossimità della grotta…la mula del Santo ha lasciato i segni delle ginocchia anteriori su un’altra pietra.
P. M. L. TABACCHI, op. cit. p. 17
27 – EMILIANO GIANCRISTOFARO, Tradizioni popolari d’Abruzzo,1995 Roma, Newton Compton Editori, p.342.
28 - Nel nostro territorio è molto diffuso il culto di Sant’Anna, « protettrice di tutte le mogli e le coppie che desiderano avere un figlio e soprattutto delle donne incinte. “ Le partorienti se raccommannanu a Sand’Anna” », come sanno bene anche le collesi. ARTEMIO TACCHIA, Considerazioni sulla festa e sul culto di S. Anna, in Nessuno vada nella terra senza luna, a cura di Franca Fedeli Bernardini, 2000, p. 31
29 – La magnacozza è un verme parassita che attacca le gemme delle viti e ne mangia le foglie.
30 - Le riprese video, le foto, le interviste appartengono agli anni 2000-2008-2009-2011-2012.
31 - La preghiera è un calco di quella che si dice dentro la grotta della Trinità di Vallepietra e che recita : « Mura sande, mura beate / sia benedetto chi l’ha piandate / l’ha piandate l’Eterno Padre / per le nostre necessità ». ARTEMIO TACCHIA, Il pellegrinaggio di Marano Equo, op. cit. p. 139.
32 – Ancora oggi nel momento di andar via, con le stesse note della canzoncina popolare, si ripete la seguente strofa, estromessa dall’attuale testo scritto:
O Santissima Trinitane / vacci tu su quella terra / i soldati che stanno in guerra / valli tutti a liberar, segno che anche qui, ma soprattutto al santuario di Vallepietra si andava in pellegrinaggio per chiedere
la fine della guerra, di tutte le guerre, e la salvezza di tutti i soldati. « Si dice, i testimoni sono ancora vivi, che una signora si recasse in processione a pregare nella grotta di Sant’Angelo, perché da tempo non aveva più notizie di suo figlio allora militare nell’ultimo conflitto. Il pianto straziante e le fervide preghiere rivolte alla Madonna, commossero tutti i presenti. Improvvisamente dalla roccia sgorgò acqua in abbondanza. Fu il segno di un Miracolo? Il soldato di lì a poco tornò a casa sano e salvo ».
P. M. L. TABACCHI, op. cit. p. 17.
Bibliografia essenziale sulla grotta di Colli di Monte Bove, non consultata :
E. MINCATI, Eremi e luoghi di culto rupestri
d’Abruzzo, Carsa 1996.
G. MARUCCI, Il viaggio sacro, culti pellegrinali e santuari in Abruzzo, Andromeda 2000.
FULVIO AMICI, in Il Foglio di Lumen, miscellanea, n. 10, 2004 Pietrasecca, p. 30, da notizia che il prof. Angelo Melchiorre il 31 luglio 2004 ha tenuto a Pietrasecca di Carsoli una relazione sul culto della grotta di Sant’Angelo di Colli di Monte Bove. Non sono a conoscenza se è stata pubblicata.